Al robot manca il buon senso di Piero Bianucci

Al robot manca il buon senso La Conferenza scopre i limiti dell'Intelligenza Artificiale Al robot manca il buon senso Si può insegnare alle macchine il gioco degli scacchi, ma non a preparare la colazione - L'enorme sapienza dei gesti comuni dell'uomo, che richiedono molteplici operazioni del cervello DAL NOSTRO INVIATO MILANO — Isolati alla periferia di una città che i nubifragi hanno trasformato quasi In una laguna, dopo quattro giorni di seminari e dibattiti. 2300 scienziati dell'Intelligenza Artificiale incominciano a trarre le conclusioni della loro Conferenza biennale. Venerdì ripartiranno per i 33 Paesi da cui sono arrivati. Nella valigia avranno una decina di volumi, in tutto parecchie migliaia di pagine, dove sono riassunte le relazioni ed è delineato lo stato dell'arte della più avveniristica tra le frontiere dell'informatica. Alcuni sono rapporti disperatamente tecnici, altri sono saggi di vasto respiro, che spaziano ira cultura scientifica e umanistica alla ricerca di una nuova sintesi d'intellettuale: la macchina che pensa, legge, parla, vede e agisce ha ugualmente bisogno di filosofi e di ingegneri, di informatici e linguisti, di matematici e psicologi. Sarebbe più facile costruire l'Intelligenza Artificiale, ha detto Marvin Minsky, padre di questa disciplina, se sapessimo che cos'è l'intelligenza naturale. Turing, altro pioniere delle macchine pensanti, ha ideato un celebre test: mettete in una stanza chiusa un uomo e una macchina; stando in un'altra stanza interrogateli: se non riuscirete a distinguere l'interlocutore umano da quello meccanico, allora siete in presenza di Intelligenza Artificiale. •In realtà — dice Luigi Stringa, direttore del maggior centro di ricerca italiano di Intelligenza Artificiale — siamo molto lontani dal poter tentare un test di Turing. La cosa più difficile non è tanto insegnare alle macchine nozioni complicate e specialistiche. I Sistemi Esperti dimostrano che questo sappiamo già farlo. Il diffìcile è mettere nel computer quello che comunemente chiamiamo buon senso-. La questione del buon senso è fondamentale per capire quale strettoia l'Intelligenza Artificiale oggi cerca di superare. Vediamola. Si può pensare che giocare a scacchi sia un'attività intelligente e preparare la colazione un'attività banale. In realtà è il contrario. Per giocare bene a scacchi non occorre l'intelligenza, ma soltanto un perfetto dominio delle poche rigide leggi della scacchiera. Per preparare la colazione, invece, senza saperlo, impegniamo una quantità di cultura sommersa e di soluzioni originali. Per questo è facile costruire un robot che vince a scacchi, ma per ora non c'è un robot capace di preparare la colazione. Uno dei problemi di chi lavora nell'Intelligenza Artùiciale sta nell'estrarre la cultura sommersa che consideriamo banale senso comune. Per esempio, se preparando la colazione ci cade il cucchiaino, lo raccogliamo, lo laviamo e torniamo ad usarlo. Sotto questi semplici gesti, c'è un'enorme sapienza: nozioni di igiene, conoscenza dei batteri e delle infezioni che producono, preveggenza sanitaria. Un robot, se gli cade un cucchiaino, non sa più che fare. Buona parte del lavoro del prossimi anni consisterà proprio nel decifrare il buon senso e calarlo nelle macchine. Un altro problema sarà quello della cosiddetta conoscenza incerta Per noi parole come alcuni, qualche, un po' hanno significati ben chiari. Sappiamo che «un po' di uova» vuol dire tre o quattro uova, ma «un po' di riso, non vuol dire tre o quattro chicchi. Queste nozioni sono molto difficili per una macchina, n convegno di Milano, oltre a registrare i progressi dell'Intelligenza Artificiale, ne ha dunque anche definito 1 limiti. D trasferimento nella macchina di conoscenze umane solo apparentemente banali è uno di questi. Poi ci sono i limiti della comunicazione uomo/computer in linguaggio naturale. Da dieci anni se ne parla come di un traguardo imminente. -Oggi — dice Renato De Mori, professore all'Università canadese Medili — abbiamo macchine che riconoscono 20 mila parole, ma non ancora con la sicurezza che le può rendere di uso pratico. Quindi si preferisce realizzare il dialogo d.retto uomo/ macchina in amoiti limitati: per esempio, i bollettini meteorologici vengono ormai tradotti in varie lingue da computer. Ora stiamo studiando un sistema che, partendo da temperatura, pressione, umidità ecc. genera automaticamente il testo del bollettino meteorologico. Altre applicazioni sono alla sicurezza del volo: sto lavorando a una macchina che ascolta i dialoghi tra piloti e torre di controllo e lancia l'allarme quando coglie qualche errore. Qui le parole in gioco sono 150, connesse sintatticamente, e con le varianti dovute alla diversa pronuncia degli operatori: non è poco-. Quanto alla visione artificiale, le macchine riconoscono già bene gli oggetti fermi. Ora si sta passando a quelli in moto e alla rappresentazione stereoscopica. Tomaso Poggio, da tempo emigrato negli Stati Uniti al Mit, è tra i ricercatori più noti in questo campo. In Italia ci lavorano molto bene i gruppi di Tagliasco a Genova e di Cappellini a Firenze. Cosi come sul linguaggio si distinguono i gruppi di Torino (Cselt e Facoltà di informatica). Nel caso della visione le difficoltà stanno ancora nei limiti del computer. Basti pensare che la retina di un occhio comprende 100 milio¬ ni di cellule visive specializzate e quattro strati di neuroni, ciascuno capace di compiere miliardi di operazioni al secondo. Per non parlare dell'elaborazione dell'immagine che compie il cervello, ancora molto più complicato: il 60 per cento della corteccia cerebrale è coinvolto nell'elaborazione dell'immagine, 100 mila cellule lavorano al riconoscimento dei bordi degli oggetti. Soltanto 11 riconoscimento dei bordi richiede una potenza di elaborazione dieci volte superiore a quella del più potente computer oggi esistente. A che punto è l'Italia nella corsa all'Intelligenza Artificiale? 'Ci difendiamo molto bene — dice Giovanni Guida, professore all'Università di Udine, coautore di un "libro bianco" finanziato dall'Iri sullo stato di questa tecnologia in Italia —, siamo tra i primi in Europa, e competitivi con il Giappone. Gli Stati Uniti sono più avanti, ma abbiamo ancora carte da giocare. La nostra cultura, che ha radici umanistiche, e l'arte di arrangiarsi, tipicamente italiana, ci rendono particolarmente adatti alle ricerche sull'Intelligenza Artificiale.. A proposito, un solo dato: il «libro bianco» elenca ben 150 aziende italiane che operano nel settore. Ci sono tutte le premesse perché il nostro Paese vinca questa nuova sfida tecnologica. Piero Bianucci

Persone citate: Cappellini, Giovanni Guida, Luigi Stringa, Marvin Minsky, Renato De Mori, Tagliasco, Tomaso Poggio, Turing