L'ultima fuga 10 anni fa

L'ultima fuga 1 Panni fa L'ultima fuga 1 Panni fa Da allora un solo episodio: il bandito Graziano Mesina non è rientrato da un permesso speciale Quattrocento detenuti, settantadue del quali condannati all'ergastolo, «densità» che non si registra in nessun altro supercarcere italiano. Sotto la Rocca di San Giacomo, cittadella spagnola trasformata in penitenziario nel 1858, c'è il mare splendido dell'Isola d'Elba, le spiagge piene di turisti. Quassù, prima del ponte che separa la liberta dalla prigione, si vendono scialli e conchiglie, portaceneri con una vela dipinta e cofanetti. Sono souvenirs fatti dai detenuti. Il reparto degli ergastolani è composto da tre piani di celle con i vecchi ballatoi verniciati d'azzurro. Chi deve rimanere qui per il resto della sua vita vive in celle singole, arredate con gusto. I mobili sono acquistati nella falegnameria del carcere, le tendine sono state cucite nella sartoria interna. Sulla scheda personale degli ergastolani, accanto alla voce «termine della pena» c'è scritto: «mai». L'infermeria sta all'ultimo piano della cittadella. Superato il cancello s'incontra una chiesetta sulla destra, lo spaccio e il campo sportivo. Il carcere ospita anche la biblioteca, il cinema e le officine per il lavoro dei detenuti. Una volta questa fortezza era chiamata Portolongone, il nome era più tetro e dava l'idea di un destino immodificabile. Adesso la sede ha cambiato 11 nome, ma non la sorte di molti reclusi. Da questo supercarcere la fuga sembra impossibile. Nell'81 il maniero venne definito l'inferno dei suicidi. Era scoppiata una specie di epidemia psicologica e si erano uccisi in tre, portandosi appresso storie brutte e disperate. Avevano 71, 33 e 43 anni. In quei giorni il prefetto di Portoferraio intervenne ad un convegno sull'argomento (i penitenziari sulle isole, simbolo di isolamento dal resto del mondo) spiegando che «se per il territorio la presema degli istituti comporta effetti di segno opposto o comunque valutabili positivamente sotto alcuni aspetti, quelli nell'ambito carcerario sono senz'altro negativi'. Aggiunse: «Si voleva relegare il più lontano possibile e isolare anche geograficamente dal contesto sociale, alla stregua dei lebbrosi, i reclusi che molto spesso ve- nivano visti più come animali feroci che come uomini da inserire pienamente nella società'. Da allora Porto Azzurro sembrava voler assolvere a quest'ultimo compito: aiutare i condannati a passare la vita fra le sue mura. Il carcere pubblica anche un mensile dalla testata che spiega tutto: «£a grande promessa'. Il cronista di punta porta addosso un nome ed una storia che tutti ricordano, Lorenzo Borano ergastolo per il sequestro e l'omicidio di Milena Sutter. Ed è lui, il biondino dalla spider rossa, a dire e scrivere: -Pian piano scopri che puoi andare avanti, se lo meriti hai certi spazi e intravedi la fine del tunnel'. E' qui da anni anche Pietro Cavaliere bandito famoso, quasi mitico. E1 in galera dal 3 ottobre del '67. La fine della sua avventura fu scritta in un casello ferroviario abbandonato a Villabella, frazione di Valenza Po, suo ultimo rifugio dopo la quattordicesima ed ultima sanguinosa rapina. Oggi Cavaliere è considerato un buon giornalista. E' l'editorialista del mensile che cura assieme a Bozano e Sartorelli, ex rapinatore. Cavallero è giudicato anche un buon ergastolano, si merita spesso giorni di permesso per tornare a casa. L'anno scorso il direttore del carcere dipinse cosi la calma quasi insolita di questa prigione isolana: «Qui do oltre dieci anni non c'è un'evasione. Certo è successo che qualcuno non sia rientrato dai permessi e il caso di Mesina è il più eclatante, ma sono episodi sporadici. Anni fa due detenuti fecero persino gli inviati speciali fuori delle mura per riprendere con le telecamere il Rally dell'Elba da una delle zone più suggestive dell'isola. Abbiamo una tv a circuito chiuso, se ne occupano i carcerati. Le celle, che vengono aperte alle otto del mattino e richiuse alla sera, sono per la maggior parte singole ed in ciascuna c'è un piccolo televisore'. Lo scorso autunno gli ergastolani si sono messi anche a recitare. Hanno messo in scena «Arsenico e vecchi merletti», horror grottesco di Joseph Kesserllng. Un rapinatore ha vestito i panni del poliziotto, l'anarchico Gianfranco Bertoli, carcere a vita per il massacro con bombe a mano davanti alla questura di Milano, era il medico pazzo. Fra il pubblico Paolo Dongo, che ad Ascoli sgozzò nell'ora d'aria il marsigliese Albert Bergamelli, e Paolo Pan, l'amante diabolico di Franca Ballerini. Non recitò Mario Tuti, regista del dramma di ieri. d. cr.

Luoghi citati: Milano, Porto Azzurro, Portoferraio, Valenza