La via al governo di Popper
La via al governo di Popper La via al governo di Popper L'articolo del filosofo Popper (La Stampa, 7 agosto) può considerarsi una lezione in quanto la politica — quando totalmente tale è — rappresenta un particolare della Filosofia veduta come scienza. Questo in quanto indica o dovrebbe indicare — a uomini e società — la via più prossima al giusto progresso ed il metodo o i metodi per raggiungerlo dopo lo studio ponderato delle infinite necessità dei singoli come dell'insieme, necessità in perenne trasformazione verso il futuro migliore. In effetti, il reale per la politica pratica sarebbe quello indicato dal Popper: due grandi raggruppamenti di persone, idee, interessi, valori tendenti a diverse soluzioni dei vari problemi che non risultino contrarie e contrapposte nei fini essenziali del giusto progresso umano, ma bensì marciami su due vie parallele, il più possibile percorribili, e sempre pronte ad incontrarsi nei giusti compromessi. In fondo è quanto avviene nella cultura in genere, nella scienza dopo Galilei Gli stessi fini si possono raggiungere anche nel metodo della «proporzionale consensuale» purché, come giustamente afferma il sen. Bobbio (La Stampa, 9 agosto) si abbiano presenti le diversità di ordine storico, so¬ ciologico, politico, economico e culturale che stanno alla base della democrazia. Attualmente in Italia, ove il «pluralismo consensuale» ha forse raggiunto il suo massimo, si tende a rifiutare il compromesso, nel nome del consenso e della pluralità, probabilmente perché quel tipo di contratto, pur essendo presente in natura nella stessa materia vivente, avrà superato 1 margini del lecito. Cosi l'Italia, elogiata negli scorsi anni da Galbraith quale ottimo «banco di prova», si trova nella condizione di esperimentare la forma di vita associata del futuro, quale per molti è la forma «consensuale», ma anche «bloccata» in ogni minima necessità operativa per 1 troppi che interpretano il «pluralismo consensuale» nella forma esclusiva del «prò domo mea». Renzo Manganelli, Firenze L'attuale fase politica, oltre ad essere caratterizzata da una estrema fluidità di maggioranze, possibili o desiderate, è anche animata , da un dibattito serio su quella che dovrebbe essere la riforma elettorale da adottare per il nostro sistema. Ho l'impressione che come riforma, quella del collegio unico uninominale, non incontri 1 favori delle minoranze politiche perché si vedrebbero precluse il Parla¬ mento, diversamente da come avviene per l'attuale sistema che glielo garantisce. Se questi sono i timori, e mi parrebbero legittimi, avrei da proporre un meccanismo che, inserito nel collegio uninominale, ugualmente potrebbe rispondere sia al desiderio dei riformatori e, al tempo stesso, tutelare le minoranze. Nella ripartizione del territorio in collegi, essi saranno distribuiti per il 65% dei parlamentari da eleggere individuando al loro interno il 35% di «grandi collegi». Avverrebbe che: nel totale del 65% dei collegi. gU eletti saranno coloro che avranno conseguito un voto in più degli altri concorrenti, e nel rimanente 35% di «grandi collegi», verranno eletti per il 20% i secondi in assoluto, per 1110% i terzi e per il 5% 1 quarti. Avremmo cosi il 65% del Parlamento eletto, diciamo a primo scrutinio, e il rimanente 35% (1 secondi, terzi e quarti) a secondo scrutinio. Garantiremmo, almeno credo, la governabilità e l'alternanza al potere e conserve remmo le minoranze che, in democrazia, rappresentano il sale della politica. Ignoro quanto sia perseguibile que sta mia ipotesi ma, a prima vista, potrebbe anche fun zlonare. Celestino Ferraro, Napoli
Persone citate: Bobbio, Celestino Ferraro, Galbraith, Galilei, Popper, Renzo Manganelli
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