Lo Zimbabwe cancella i fantasmi bianchi

Lo Zimbabwe cancella i fantasmi bianchi L'abrogazione dei seggi riservati agli ex coloni mette in pericolo un delicato compromesso razziale Lo Zimbabwe cancella i fantasmi bianchi Nello Zimbabwe il .miracolo- è durato otto anni, forse perfino troppo per un Paese che doveva cancellare i fantasmi di una feroce guerra razziale. L'ex Rhodesia era un modello di convivenza cui guardava con il fiato sospeso tutta l'Africa meridionale, alla ricerca di una ricetta da applicare in futuro anche all'ultimo bastione bianco, il Sud Africa. A Harare, sotto la guida di un leader, Robert Mugdbe, al quale tutti riconoscevano la rara capacità di conciliare rigore ideologico e pragmatismo, sembrava si fosse trovato il compromesso per tutte le contraddizioni: una struttura produttiva capitalista controllata dai 135 mila bianchi conviveva con un governo marxista in mano agli otto milioni di negri; l'adesione al .Fronte della fermezza, contro V apartheid di Pretoria non impediva il rientro dei coloni fuggiti in Sud Africa dopo l'avvento dei neri al potere. In fondo, nulla sembrava cambiato in quella che era stata una colonia modello dell'Impero britannico fin dalla fine dell'800, quando fu occupata da Cedi Rhodes, eroe .alla Kipling, della conquista dell'Africa: anche se non era opportuno ricordare che soltanto 40 anni fa un autorevole deputato rhodesiano aveva affermato, tra il consenso generale, che «non esistono indigeni intelligenti in questo Paese, e quindi le loro opinioni non valgono nulla». Ora il miraggio si è dissolto: il Parlamento, su richiesta di Mugabe, ha abrogato t «enfi seggi riservati ai bianchi: erano la garanzia che la mediazione inglese aveva imposto nel 79 al nuovo regime nero quando, con t patti di Lancatter House, si era conclusa la secessione di Ian Smith che, per difendere il regime segregazionista, si era ribellato anche a Sua Maestà. Smith aveva resistito 14 anni, aggirando le condanne e l'embargo dell'Onu grazie all'aiuto di Sud Africa e Portogallo e alla ipocrisia di molti Paesi europei, che anteponevano i buoni affari all'ideologia. Bla il crollo dell'Impero lusitano lo aveva lasciato solo e circondato da Paesi neri, mentre i costi della guerriglia sembravano ormai eccessivi anche ai più irriducibili coloni. Ora la situazione della comunità bianca (tra cui oltre 1500 italiani) non cambia, le garanzie della sua influenza non stavano certo nella piccola rappresentanza parlamentare, ma piuttosto nel controllo dell'economia e dei posti-chiave dell'amministrazione. Ma all'Harare Club e al Royal Sports Club, i circoli della capitale dove il tempo sembra essersi fermato all'epoca della regina Vittoria, è tornata la paura. Mugabe, per altro, l'aveva promesso a chiare lettere: •Oli accordi di Lancaster House per me sono un pezzo di carta — aveva gridato in un comizio, dopo il trionfo elettorale di tre anni fa — I bianchi non hanno risposto alla politica di riconciliazione, sono rimasti 1 razzisti di sempre». Semplici concessioni alla demagogia, comprensibili dopo un trionfo elettorale che aveva consegnato allo Zanu, il partito di Mugabe, una schiacciante maggioranza assoluta. Il vero Mugabe, avevano pensato i bianchi, era il lea¬ der che aveva assicurato alla minoranza le grandi tenute agricole, con una legge che consentiva l'esproprio solo a prezzi di mercato e con il consenso dei proprietari. E poi, in Parlamento non sedeva forse Ian Smith, simbolo vivente di questo Paese a due facce, l'uomo che aveva lottato per .salvare, la Rhodesia dalla marea dei negri, che poteva prendere la parola e difendere, senza paura di essere zittito, l razzisti sudafricani? In un'Africa ferita dalla carestia lo Zimbabwe poteva esibire una economia florida: agricoltura moderna e autosufficiente, un'industria temprata dalla lunga autarchia imposta dalle sanzioni contro la secessione, investimenti stranieri assicurati proprio dalla presenza dei murungu, i bianchi Ma nell'85 Mugabe ha avviato la sua offensiva che punta alla creazione di un regime a partito unico e alla realizzazione dell'ennesimo .socialismo africano.. Nel governo hanno iniziato ad avere più spazio le tesi dei •falchi, come il ministro dell'Interno Enos Nicola; sui redditi è stata imposta una tassa del sessanta per cento; è arrivato il divieto di esportare valuta e l'obbligo di rinunciare alla doppia cittadinanza. E poi, l'ultimo campanello d'allarme: Ian Smith sospeso dal suo seggio per avere «fatto propaganda» all'apartheid. Venerdì Mugabe ha raccolto in Parlamento il frutto del suo paziente lavoro, senza neppure attendere il 1990, data di scadenza dei patti di Lancaster House. «Nessuno vi rimpiangerà», ha gridato il ministro della Giustizia al deputati bianchi che lasciavano l'aula (ma cinque di loro hanno votato a favore del provve¬ dimento e non sono usciti): forse è una previsione troppo ottimistica. L'abbandono di una linea moderata, infatti, rischia di far saltare il fragile compromesso su cui si regge il Paese: il controllo dei bianchi sull'economia e le strutture dello Stato è un ostacolo difficile da superare, e Mugabe non è abbastanza forte per poter ignorare l'ostilità della minoranza bianca. Perché il leader dello Zanu deve ora regolare i confi con l'altro suo nemico storico, il padre del nazionalismo zimbabweano, Joshua Nkomo, che con il suo partito, lo Zapu, controlla l'etnia Ndebele e la provincia meridionale del Matabeléland. Nkomo ha già accusato il capo dello Stato, che appartiene alla etnia maggioritaria degli Shona, di «volere uno scontro etnico». E' quanto probabilmente sogna Botha, gran protettore della comunità bianca, che cerca soltanto un'occasione per entrare in scena, magari sotto le spoglie il un movimento di liberazione contro il «dittatore marxista di Harare». Domenico Onirico

Luoghi citati: Africa, Harare, Portogallo, Pretoria, Rhodesia, Sud Africa