Leoni sulla via di Tartessos di Sabatino Moscati

Leoni sulla via di Tartessos ALLA SCOPERTA DI UN FAVOLOSO REGNO DELL'ANTICA SPAGNA Leoni sulla via di Tartessos Erodoto lo descrìve «emporio felice, senza corruzione» e ricco di preziosi metalli - La Bibbia lo chiama Tarsis e narra che le sue navi portavano a Salomone «oro, argento, scimmie e pavoni» - Resta un enigma la sua estensione e dove fosse la capitale - Ma avori lavorati e leoni scolpiti su una tomba rivelano intanto radici orientali e collegamenti con l'Etruria TARTESSOS (?) — Ho visitato più volte la Spagna. Ma a chi mi chiedesse se ho visto la civiltà più. famosa dell'età antica, la sede di un regno tra i più celebri di tutti i tempi, insomma Tartessos, dovrei rispondere che non lo so: forse l'ho vista, forse non l'ho vista. Perché non è del tutto certo dove fosse Tartessos; e dunque, se indubbiamente si può inviare una corrispondenza da quella che fu la sua straordinaria realtà culturale, è bene far seguire al nome, fin troppo preciso, un punto interrogativo tra parentesi. Ma vediamo, prima di cercare di risolverlo, come è sorto il mistero di Tartessos. Sono gli storici greci a darci i primi racconti, abbastanza esatti per far ritenere che si riferiscano a una realtà concreta. Cosi Erodoto, a proposito dei Greci di Samo: «/ Samii partirono dalla loro isola e si misero in mare, ansiosi di raggiungere l'Egitto; ma si videro sviati dalla rotta a causa del vento di levante. Poiché il vento non si calmò, attraversarono le Colonne d'Ercole e per volontà divina giunsero a Tartessos. Quell'emporio era felice e senza corruzione, sicché al ritorno in patria i Samii fecero i migliori affari di qualsiasi altro greco-. Cosa avevano trovato? Ce lo dice quel testo in seguito e ce lo ripetono altri: i metalli pregiati, dall'oro all'argento e al bronzo. Ed ecco i primi ampliamenti del significato di Tartessos, ad esempio nel geografo Strabone: «SI dice che Tartessos, omonima del fiume, era edificata anticamente nella terra tra le sue due foci, e che quella regione era chiamata Tartessos». Non solo: Tartessos era anche un grande regno, aveva come sovrano Argantonios che, per tornare alla testimonianza di Erodoto, divenne amico di altri greci, i Focei, e, dopo avere inutilmente cercato di farli rimanere nella sua terra, li colmò d'oro perché potessero cingere con mura possenti la loro città. A questo punto le indicazioni per scoprire dove fosse Tartessos si fanno abbastanza precise nelle linee generali: certo in Spagna, certo sulle rive di un fiume, certo con accesso alle coste atlantiche. Ma al tempo stesso il problema si allarga, perché Tartessos ci viene presentata come un regno di ampie dimensioni, e dunque le notizie che via via troviamo possono riferirsi non alla capitale, bensì all'una o all'altra parte di quel regno. Altrettanto si dica per le scoperte archeologiche: prima delle quali, però, dobbiamo menzionare un altro aspetto dell'enigma: quello che collega Tartessos alla Bibbia. L'Antico Testamento, infatti, parla di una regione chiamata Tarsis; e l'affinità del nome con Tartessos (che può esserne la forma grecizzata) si consolida nella sostanza quando leggiamo nel primo libro dei Re, con riferimento all'epoca di Salomone e cioè al X Secolo a. C, che Tarsis era una terra lontana, che vi si andava per mare e che vi si trovavano i metalli preziosi: «H re teneva in mare navi di Tarsis, che ogni tre anni arrivavano portando oro, argento, avorio, scimmie e pavoni». Quanto alla ricchezza di Tarsis, c'è il profeta Ezechiele, tra gli altri, a darcene testimonianza: -Tarsis commerciava con te, nel tuo opulento commercio: argento, ferro, stagna e piombo ti dava in cambio». Se ci si chiede a chi si riferisca Ezechiele, risulta chiaro dal testo che si tratta di Tiro, la maggiore città dei Fenici. E allora, fatto salvo qualche dubbio che può restare sull'identificazione precisa tra Tarsis e Tartessos, il cerchio delle testimonianze si stringe: i Fenici ci appaiono insieme ai Greci come i protagonisti di un commercio a largo raggio che nel corso del I millennio a. C. percorreva tutto il Mediterraneo, cer¬ cando i metalli pregiati nel- |l'estremo Occidente e riportandoli indietro per lavorarli e farne fonte di ricchezza. Ma veniamo all'archeologia, i cui risultati incalzano in tutta la penisola iberica. Abbiamo esposto in una precedente corrispondenza le recenti scoperte alle Baleari. Diciamo ora che negli ultimi tempi si sono moltiplicati i ritrovamenti nella Costa del Sole, che ha per centro Malaga, rivelando ad Almuilécar, menti fenici che si datano all'VIII secolo a. C. (la data più antica finora raggiunta) e si caratterizzano come centri stabili, difesi a volte da mura, con ricche necropoli che ne indicano la floridità. Questo è il primo tempo nella riscoperta di Tartessos. Il secondo e più recente è lo sviluppo delle novità sulla Costa della Luce, quella atlantica da Cadice a Huelva. A Cadice sono ancora i reperti tipicamente fenici, e soprattutto i gioielli, a indicare la venuta di genti d'oltremare. A Huelva, invece, è evidente lo svilupparsi di una civiltà locale, che ha il suo abitato al Cabezo de San Fedro e la sua necropoli a La Joya. Ma quel che più impressiona è l'emergere di tutta una serie di abitati nel retroterra lungo il corso del Rio Tinto, il fiume che sbocca nell'Atlantico. Siamo davvero a Tartessos? Tutto sembra suggerirlo: la posizione di Huelva e una duplice foce fluviale, la collocazione sull'Atlantico, il diffondersi di insediamenti interni a testimonianza forse di un regno, certo di un'area omogenea. Ma proprio mentre queste scoperte avvengono, il terzo e ultimo passo nella riscoperta di Tartessos comincia a compiersi: riemerge via via, lungo la direttrice da Siviglia a Cordova e a Valencia da un lato, a Merida e a Cdceres fino a Salamanca e a Valladolid dall'altro, una civiltà che non può certo dirsi fenicia, cioè orientale, ma che si dice meglio orientalizzante perché è da quella ispirata e poi si sviluppa in proprio, ad opera delle genti locali che, ricevuto l'impulso dall'esterno, escono finalmente alla luce della storia. Convergono, a questa riscoperta, conoscenze antiche | j | e ritrovamenti attuali. Ancora una volta i metalli illuminano la via, a partire dagli splendidi vasi bronzei con manico a palmetta che s'irradiano nell'interno della Spagna fino a raggiungere e superare l'area di Madrid. Ed ecco i gioielli del Carambolo presso Siviglia e di Aliseda presso Cdceres: vero e proprio apice della cultura che designiamo col nome di tartessica. Non appartengono più ai Fenici, anche se ne recano l'ispirazione inconfondibile; ma per la ricchezza, per la varietà, per il gusto barocco dell'ornamentazione hanno già un'impronta tipica di questa terra. Analogo discorso può farsi per gli avori lavorati, una creazione tra le più caratteristiche, di cui il gruppo principale viene da Carmona presso Siviglia. Ma il fatto più significativo resta l'estendersi della civiltà tartessica fino al Centro-Nord della penisola e il suo superare le categorie tradizionali della produzione. Tipica e rivelatrice, al riguardo, è la scoperta a Pozo Moro, in provincia di Albacete, di un monumento funerario sui cui angoli vigilano scolpiti altrettanti leoni, che sembrano importati dall'Oriente. Ci accorgiamo, ormai, che la realtà di Tartessos è ben più vasta di quanto immaginavamo; e il nome stesso, a dire il vero, comincia a diventarci più di peso che di vantaggio, perché è troppo legato al mitico regno mentre una realtà sicura c'è, ed è l'origine della civiltà storica spagnola, nel corso del I millerMio a. C, sotto l'impulso dei Fenici e dei Greci venuti dall'Oriente. Quello che abbiamo finora definito il mondo 'tartessico- può meglio definirsi ^orientalizzante^; e j acquista con ciò una dimensione grandiosa, perché trova paralleli anche in altri paesi mediterranei, primo tra essi l'Italia. Proviamo a riconsiderare sotto questa nuova luce quel vero e proprio enigma che sono gli avori lavorati scoperti a Palestrina, nel Lazio meridionale: capolavori d'arte che ben difficilmente furono prodotti sul luogo, ma che, come tutti gl'indizi mostrano, ebbero il loro centro di provenienza nella grande città etrusca di Cerveteri. Orbene, a Cerveteri, presso la costa tirrenica dell'Etruria, si svolgeva un intenso commercio con l'Oriente; e in tale commercio debbono inserirsi gli avori, prima importati e poi rielaborati sul luogo. In Etruria, insomma, si verifica un fenomeno analogo a quello della Spagna meridionale. E anche gli effetti sono analoghi, perché nell'una e nell'altra area gli apporti dall'Oriente danno luogo a sviluppi autonomi, che costituiscono le prime manifestazioni storiche delle civiltà locali. Com'è straordinario il mondo dell'archeologia in cui oggi viviamo! Ci dà rivelazioni specifiche, certo; ma anche e soprattutto ci apre la via a rimeditare, a rinnovare, a ricostruire la nostra più antica storia. Sabatino Moscati Pozo Moro (Albacete). Il monumento funerario «tartessico» con leoni agli angoli (VI - V Secolo a.C, Madrid, Museo archeologico) Casfulo (Cordoba). Sfinge «tartessica» in bronzo (Vl-V Sec.a.C.)