Le ambasciate e l'oro

Le ambasciate e l'oro Le ambasciate e l'oro ENRICO SERRA Multinazionali, commercio estero, liberalizzazione finanziaria denunciano il ruolo sempre più importante dell'economia nei rapporti internazionali. E' dunque vero, come sostengono alcuni, che i ministeri economici hanno ormai soppiantato il ministero degli Esteri nel ruolo guida del Paese? A me pare che si debba approfondire meglio il rapporto, sempre esistito, tra politica estera e politica economica. Non a caso, storicamente, l'invio dei consoli, incaricati di favorire i commerci, precede l'organizzazione della diplomazia professionale. Quest'ultima, non più limitata alle questioni di pace o di guerra, finì con l'occuparsi di tutu' i rapporti con altri Stati, tra cui ovviamente quelli economici. Basti pensare alla natura mercantile della diplomazia veneziana e di quella genovese. Oggi una parte cospicua dell'attività diplomatica, non facilmente valutabile ma di certo superiore a un terzo del totale, riveste natura economica: ha appunto il compito principale di regolare l'interscambio evitando che questo possa andare a scapito degli interessi generali del Paese. Infatti un'operazione può essere vantaggiosa da un punto di vista economico, e svantaggiosa dal punto di vista politico, come appunto potrebbero diventare certe vendite di armi. Non basta negoziare un accordo economico, occorre anche controllarne l'esecuzione e gli effetti. E' quanto solo il ministero degli Esteri può fare per il tramite delle sue rappresentanze diplomatiche. Cosa tanto più importante oggi per il moltiplicarsi degli organismi multilaterali, retti da statuti speciali < con compiti dei più diversi. Anche l'attenzione che la Farnesina porta allo sviluppo economico dei Paesi del Terzo Mondo costituisce in realtà un fatto politico di primaria grandezza, perché è su quel fronte che si giocherà, molto probabilmente, il futuro dell'umanità. Il ruolo guida del politico sull'economico mi pare così dimostrato. Ma proprio il «caso italiano» ci offre controprove indiscutibili. Nel 1914 l'economia italiana dipendeva quasi esclusivamente dai rapporti con gli imperi centrali, con la Germania soprattutto. Ciò non impedi all'Italia di entrare in guerra proprio contro questi ultimi. Una situazione, in parte analoga, si presentò all'Italia nel 1939-'40. Le si aprivano davanti rosee prospettive di commerci con tutti i belligeranti, a condizione di rimanere fuori dalla mischia, come appunto consigliavano anche le finanze esauste e i magazzini militari vuoti in seguito alle guerre d'Etiopia e di Spagna. E invece... Infine, vorrei ricordare che quando De Gaulle ritornò al potere nel 1958, impostò un programma di grandeur che parve sproporzionato alle risorse economiche della Francia tanto che un noto e reputato economista, l'ex premier Antoine Pinay, si dimise dal governo in segno di protesta. Anch'io fui tra coloro che preannunciarono il fallimento della politica gollista. Ed ebbi torto. Non solo De Gaulle attuò gran parte del suo programma, ma fece del franco una delle più forti monete europee, al punto da osare di sfidare per qualche tempo persino gli Stali Uniti con la famosa «guerra dell'oro». A chi gli chiedeva il segreto del suo successo, De Gaulle rispose press'a poco cosi: in un esercito ben ordinato l'intendenza deve seguire le truppe, non precederle.

Persone citate: Antoine Pinay, De Gaulle

Luoghi citati: Etiopia, Francia, Germania, Italia, Spagna, Stali Uniti