Il problema Metastasio di Massimo Mila

D problema Metastasio RISVEGLIATO DA UN SAGGIO DI STENDHAL D problema Metastasio Fu proprio Stendhal a saivere: «Che ridicola trappola è quella che ci fa preoccupare dei problemi del potere, e solo dei problemi!». A parte il potere, una verità sacrosanta, che fotografa un vizio culturale dei più fastidiosi, quello della problematicità. Non c'è argomento, per quanto noto, classificato, debitamente registtato nei testi scolastici, che nelle mani di certi studiosi non diventi un problema, il problema Rossini. Il problema Manzoni. Il problema Michelangelo. Il problema Garibaldi. Il problema Mussolini. Effetto di ambizione, naturalmente. Irresistibile desiderio di far vedere che mai nessuno aveva capito niente di quell'argomento prima che io 10 degnassi della mia geniale attenzione critica. Eppure è proprio Stendhal che con la sua Vita di Metastasio, a quanto pare mai tradotta in italiano e ora pubblicata da Passigli nella traduzione di Maria Cristina Marinelli, induce a riflessioni che, a rigore, dovrebbero essere intitolate, per quanto ridicolo possa sembrare, «il problema Metastasio». (E di «curioso problema critico» parla infatti anche Mario Luzi nella sua Prefazione). Problema Metastasio! ma andiamo! che senso ha? Un problema Metastasio, il più chiaro, limpido dei poeti, la glasnost scodellata in endecasillabi ben torniti e in armoniose strofette di settenari! Eppure il «problema» salta agli occhi appena si accostino un paio di citazioni. «E stato 11 poeta della musica. Egli allontana il più possibile il ricordo dell'aspetto reale e triste della vita. La sua amata musica, dalla quale mai ha separato i suoi versi, non è in grado di definire caratteri. Sono opere portate a un tal grado di idealità, che non bisogna assolutamente leggerle, ma solo ascoltarle assieme alla musica». Metastasio: «l miei drammi sono di gran lunga più sicuri del pubblico favore recitati dai comici che cantati dai musici». E uno studioso come il Pirrotta, nelle Scelte poetiche di musicisti, lo ptende in parola; «Delle musiche non si dava molto pensiero. E tanto meno diede segno di riconoscere alla musica una propria validità ed autonomia artistica». * * Allora, come la mettiamo? poeta della musica, poesia per musica, verso che suona e che non crea? Oppure un nobile drammaturgo che vuole, come scrive il Gallarati, «adattare i contenuti del melodramma ai nobili ideali della tragedia» e deplora anche lui, sulla scia delle innumerevoli satire e parodie del melodramma inaugurate dal basilare Teatro alla moda di Bene detto Marcello, il processo di deterioramento che le «sonatine di gola» hanno indotto nel melodramma riducendo «il nastro teatro drammatico ad un vergognoso e intollerabile miscuglio d'inverosimili»? Una spiegazione di queste contraddizioni si potrebbe forse tentare, una spiegazione che evitando i pasticci disastrosi del sincronico si attenga al criterio diacronico, cioè, in parole povere, al rispetto della cronologia, fondamento e base d'ogni sapere storico. Metastasio poteva anche aver cambiato idea. Non era cocciuto piemontese come Vittorio Alfieri. Era un uomo di mondo, sensibile alle influenze dell'epoca e del tem po che passa. Si osserva che le memorabili prese di posi zionc «antimusicali» sono quasi tutte consegnate nella lettera a Francois de Chastel lux, che è del 15 luglio 1765, Argomenti simili («Quando la musica aspira nel dramma alle prime parti in concorso della poesia, distrugge questa e se stessa») erano nell'aria. Si sarebbe tentati di pensare alla Prefazione àc\V Alaste di Gluck e di Ranieri de' Caizabigi, ma purtroppo X'Alceste è del 1767, la lettera del '65, Tuttavia la Prefazione del l'Aitate è l'epitome di argomenti e discorsi che tra Parigi e Vienna occupavano ormai interamente lo spazio teatrale. Cosa c'è di strano a pensare che Metastasio, ormai di 69 anni, avesse altre idee sul melodramma di quando ventiquattro anni scriveva la Didone abbandonata e a trentacinque l'Olimpiade, cioè i più melodiosi ed eufonici suoi poemi drammatici? E collaborava (e conviveva) con quell'affascinante creatura che doveva essere la Romanina, cioè Marianna Benti Bulgarelli, che lo introdusse nell'Olimpo della musica, facendogli conoscere nef ' pròprio 'sa-' lotto Hasse, Pérgolesi, Vinci, Leo, Alessandro Scarlatti, e morendo giovane (ma era di quindici anni più vecchia di lui) lo lasciò proprio erede universale. Metastasio uno e Metastasio due, allora? Metastasio a venticinque/trent'anni, e Metastasio a settanta? Possibilissimo cambiare, in così lungo aevì spatium. Sebbene il debole per le cantanti gli sia sempre rimasto, e se la famosa Marianna Martinez (questa di quarantasei anni più giovane di lui!) non fu propriamente sua allieva di canto a Vienna, come sembra ritenere Stendhal, fu però una sua creatura, disccpola per l'arte drammatica e la cultura generale (epfdRmdbtddtnd (mentre per la composizione era allieva di Haydn!). Va bene. Ammettiamo pure che Metastasio vecchio fosse più portato al rispetto delle esigenze drammatiche. Resta però che non sfiorirà mai la vaghezza melodiosa delle sue arie e l'arte inarrivabile del lprp trapasso dal recitativa «L'aria e il canto — dice Stendhal — cominciano dove comincia la passione... Tutto quanto ne prepara le esplosioni sta nel recitativo». * ★ Commentando la stupenda aria di Mcgade nc\\'Olimpiade, «Se cerca, se dice...», Stendhal individua le ragioni anche drammatiche, non soltanto lirico-melodiche, dell'aria. «Quand'anche il più grande talento drammatico ne declamasse i versi, per quanta tenerezza mettesse un abile attore nel recitarli, non li direbbe che una volta: non dipingerebbe che uno dei mille modi in cui è straziata l'anima di Megacle. Ma ognuno di noi sente confusamente che al momento dì un addìo così crudele, in venti modi diversi e pieni di passione sì ripete all'amico che resta al fianco dell'amata adorata: "Ah no! Sì gran duolo Non darle per me...". L'amante infelice dirà questi versi con tenerezza infinita, e pur con rassegnazione e coraggio, e poi ancora con un po' di speranza in una sorte migliore, e ancora con tanta disperazione di fronte al destino avverso». A questo migliore Stendhal ci appelliamo per confutare l'affermazione che «Metastasio allontana il ricordo dell'aspetto reale e triste della vita» e per respingere il suo invito superficiale: «Gioite, abbandonatevi al naturale oblio della trama di un'opera drammatica, dimenticate il teatro, siate felici, in fondo al vostro paltò». Eh no! come sarebbe allora che «è difficile leggere senza far cadere qualche lacrima La clemenza di Tito o il GiuseppcP». E se qualcuno volesse ridurre la poesia di Metastasio ai fiorellini galanti delle arie, vada a leggersi, nel secondo atto della Clemenza di Tito, il lungo straordinario recitativo a due, tra Tito e l'amico Sesto, che ha complottato contro di lui ed è ormai condannato a morte. L'imperatore vorrebbe scoprire quale mai pazzia abbia potuto spingere l'amico a tentare il regicidio, e Sesto, affranto, tace e si schiva per non scoprire nell'amata Vitcllia la perfida mandante. E i due si girano attorno, indagano cautamente, in un dialogo che Shakespeate avrebbe potuto firmare. La data relativamente giovanile della Clemenza di Tito, che è del 1734, appena un anno dopo XOlimpiade, impedisce di attribuire questa superba scena a maturazione senile del senso drammatico. E del resto, se volessimo insistere sulla spiegazione cronologica delle sagge intenzioni «gluckiane» manifestate dal vecchio Metastasio nella sorprendente lettera al Chastellux, ecco, due anni dopo, un'altra lettera, che ti fa cascar le braccia. «Ella vorrebbe da me alcuni drammi senza arie, scrive a un ceno Daniele Schiebeler, ed io per toglierle questo desiderio dovrei spiegarle il sistema teatrale che dalla lettura degli antichi e dalla lunga esperienza ho creduto dovermi formare in mente... Le dirò solo succintamente ch'io non conosco poesia senza musica». E allora non resta che ricorrere a uno di quegli spregiudicati fiori di lingua che talora la nostra classe politica ci propone: vattelappesca! Sembra incredibile, ma il «problema Metastasio» esiste, e come! Massimo Mila A.M. Zanetti: «Marianna Benti, la Romanina» (Fondazione Cini)

Luoghi citati: Parigi, Sesto, Vienna