I profughi non piacciono a Levico di Giuliano Marchesini

I profughi non piacciono a Levito Tra polemiche e pregiudizi oggi arrivano 236 polacchi dal centro di Latina I profughi non piacciono a Levito Affannose riunioni, poi una specie di compromesso: 70 andranno nella colonia della Cri, gli altri nell'ex manicomio di Pergine Valsugana - Il Comune: «Diffìcile impatto socio-culturale» - Una metafora per non parlare di razzismo? DAL NOSTRO INVIATO LEVICO TERME — Che fatica ospitare 236 profughi polacchi. Levico sembra «rassegnata a ricevere», tra polemiche e qualche pregiudizio, quella gente che non può trovare sistemazione nel centro di Latina. Quando tutto era predisposto, qui in questo paese nel verde della Valsugana c'è stato chi ci ha ripensato, e avrebbe preferito che la «scalcinata» colonna fosse dirottata. Dopo affannose riunioni, s'è trovata una specie di compromesso. I profughi polacchi arriveranno oggi in serata e il gruppo sarà diviso: una settantina saranno accolti nella colonia permanente della Croce Rossa di Levico, una grande villa di stampo asburgico in cui ci si occupa anche di bambini in affidamento; gli altri avranno alloggio poco lontano, a Pergine Valsugana, nei padiglioni dell'ex manicomio. Ma di fronte a questo pic¬ colo esodo, ci sono inquietudini senza giustificazione, vaghi timori e dichiarate, impietose contrarietà. Tra l'altro, il giorno di Ferragosto, la giunta e i capigruppo consiliari di Levico hanno approvato quel documento nel quale si rileva che «la struttura indicata è inadeguata ad accogliere un numero tanto elevato di ospiti in età adulta, in quanto è dimensionata per ragazzi». Si esprimeva inoltre preoccupazione per il futuro della scuola materna e delle elementari ricavate nell'edificio della colonia. Fin qui sembrerebbero soltanto problemi logistici. Ma la nota dei pubblici amministratori aggiungeva che la comunità di Levico «manifesta perplessità per l'impatto socio-culturale che tale presenza provocìierù: Levico, poco più di 3000 abitanti, un piccolo lago in cui si specchia il bosco, e le terme che risalgono all'im¬ pero austriaco. Circa 10 mila turisti, in questo periodo. Adesso si aspettano anche i profughi polacchi. Ma con quel timore di «impatto socio-culturale». Che cosa vuol dire, in sostanza? Dato che il sindaco è in vacanza, risponde il vicesindaco, Antonio De Carli, democristiano, che prima di tutto vuol togliere di dosso all'amministrazione un po' d'imbarazzo dovuto alle polemiche. Dice che qui c'è «uno grande tradizione di ospitalità». «Noi li accogliamo volentieri, i profughi. Ma inserire oltre 200 persone in una comunità piccola come la nostra, pur psicologicamente preparata a ricevere stranieri, può creare dei problemi, sia perché quella gente non ha risorse economiche, sia per via dell'inserimento educativo, scolastico. E, poi, bisogna pensare a cercare un'occupazione a quegli ospiti, trovare per loro forme di lavoro». Qualcuno, da queste parti, si mette in allarme anche al pensiero che, dopo questi polacchi, «ne arrivino tanti altri». «Noi — ripete il vicesindaco — siamo aperti a tutti. Però devo dire che una colonia permanente di profughi potrebbe metterci in difficoltà». Alla base delle riserve espresse nel paese, ci sono anche palesi malumori di operatori economici. Dice Giuseppe Peruzzi, de, assessore all'industria e all'artigianato: «Si, hanno protestato albergatori e commercianti, perché questa è una località turistica. Di preciso, però, i motivi non li conosco. E le confesso che non so nemmeno io cosa significhi quell'impatto socio-economico di cui si parla nel documento: io la nota non l'ho votata, e non sono d'accordo su certe cose. Guardi, durante la guerra i miei genitori erano rifugiati in Moravia. Problemi di ospitalità non | ne hanno avuti. Non dovreb- bero averne nemmeno i profughi polacchi». E Mario Valentinotti, socialista, assessore alla cultura, ammette: «Quel documento è stato stilato in un momento di confusione. I problemi, dal punto di vista umanitario, devono essere superati. Restano, purtroppo, quelli logistici». Ma fuori, per le strade di questo incantevole centro della Valsugana, c'è chi ripete discorsi aspri contro quell'esodo da Latina. Dice uno di Levico: «Chissà che cosa può capitare qui, con tutta quella gente. Sì, io capisco le loro esigense, per carità. Ma bisogna anche capire che questo è un luogo di villeggiatura: la nostra stagione dura qualche mese, e non mi pare sia il caso di portare qui dei profughi. Potrebbe anche essere indecoroso. Per esempio, se qualcuna di quelle donne se ne va in giro a prostituirsi, non è mica un bel vedere». Per il titolare di un albergo, «l'importante è cìie dopo qui non ci siano travasi di gente spersa per il paese». «Insomma, ho paura che Levico diventi come Latina. Io non discu to sul fatto che quelle siano persone da aiutare, ma se davvero volevano aiutarle potevano metterle un po' per località. Che so? Quattro o cinque famiglie per paese. Penso che nessuno avrebbe rifiutato». L'albergatore non vorrebbe pronunciare la parola, ma alla fine dice: «In fondo, non siamo mica razzisti». Poco lontano c'è una turista belga. Ascolta, poi sbotta: «Sarebbe ora di farla finita con queste storie. Gli italiani che vanno all'estero, spesso si lamentano di essere trattati male. Ma poi, quando in casa loro arriva gente da fuori, vorrebbero scacciarla». In questo centro soprattutto intento al turismo, giungono stasera i profughi di Latina: settanta donne, sessantasette uomini, novantanove bambini. La spe ranza è che Levico e Pergine Valsugana non li considerino ospiti di serie inferiore. Giuliano Marchesini

Luoghi citati: Latina, Levico Terme, Pergine Valsugana