Così Viani narra di schiavi e sogni infranti

I verdi diventano gatti? I verdi diventano gatti? Così Vianinarra di schiavie sogniinfranti LOCARNO — Non si è verdi senza fatica, non si è ecologi per puro buon cuore. Forse abbiamo accettato (noi, in Italia) il successo elettorale degli ambientalisti come un fatto troppo ovvio e la pretesa che abbiano un programma politico «ragionevole» e di facile attuazione non tiene conto del resto, delle premesse emotive, di una controversa e pur indiscutibile fede. Così ci tocca magari andar a lezione all'estero, per sapere quali fantasmi e quali favole possano uscire da una cultura verde e con quali significati. E il festival di Locamo è il luogo adatto, perché vi si proiettano film giovani di tutto il mondo, e le riflessioni sui grandi temi non hanno patria, possono venirci da dietro casa come dal Giappone. Pensavamo ai volti pacifici e all'apparente sicurezza dei deputati verdi, guardando il film del trentenne giapponese Masashi Yamamoto, // giardino di Robinson. Vogliamo dire che Yamamoto fa al caso nostro perché racconta gli incubi di una esemplare ragazza verde, di una malata della scissione natura-città che oggi colpisce tutti. Ma Rumi, la ragazza giapponese, è speciale come i personaggi delle favole. Spinta dal mal di città, si ritira a vivere in una immensa casa vuota dentro un grande giardino incolto. Se i lunghi corridoi, le file di stanze vuole raccolgono le sue paure notturne, il bisogno di ritrovare i suoi pensieri segreti, gli alberi, l'erba, gli arbusti, le foglie, sembrano la promessa del giorno, l'offerta di una natura che chiede cure assidue, ma assicura in cambio la protezione, il mondo diverso, la noncittà. Dapprima Kumi pensa che la corte eterogenea dei suoi amici (negri, punk, bianchi, bambini) possa trasferirsi dalla città e costruire nella natura, riconquistata e «ripagata» con le sue mani, una comunità felice. Poi, alle prime liti nella beata colonia che ricalcano le zuffe cittadine, s'accorge che la sfida aperta è tra lei e la natura, che deve pagare innanzitutto il suo debito di coscienza (perché sono scappata e cosa mi aspetto). E' una discesa alle radici, solitaria verifica di sé in fondo alla quale c'è forse una trasformazione in gatto o in pianta E allora? Possiamo impadronirci della metafora per tentare delle suggestioni più generali? I verdi sono degli alieni che ritorneranno gatti, dopo avere reso deserte le città? Yamamoto è un poeta, non un saggista, tira un po' per le lunghe e magari pa¬ FIRENZE — Lorenzo Viani, il pittore anarchico morto cinquantanni fa, suscita simpatia. Il suo mondo di poveri, derelitti, carcerati e vagabondi, è sofferto e coerente. Va avanti diritto, con le sue verità crude, per tutti i cinquantaquattro anni di vita dell'artista, senza lasciar mai filtrare un'immagine di benessere o di borghesia. E' il mondo della darsena di Viareggio, dei paesi toscani con le prime lotte di classe, delle grandi capitali europee affamate, la testimonianza di un'epoca difficile e anche il modo di denunciare i mali sociali dei primi trentanni del nostro secolo. Di fronte a quei personaggi dipinti, muti di dolore, pazzi o spiritati, ma forti e dignitosi, si ammira l'artista, ma si è incuriositi anche dall'uomo Viani, protagonista a sua volta di quegli anni. L'occasione di conoscere meglio l'uno e l'altro è una rassegna antologica, appena inaugurata nella Sala d'Arme di Palazzo Vecchio, che conclude in questa città, a fine settembre, il giro iniziato nell'86 con tappe a Roma, Viareggio, Milano, Parigi. E' la più grande mostra sul pittore (ma a Firenze ci sono 30 quadri in meno, per mancanza di spazio), dopo quella viareggina dell'82. Lorenzo Viani è un singolare personaggio e un artista di dimensione europea. Nato a Viareggio nel 1882, ha a padre Rinaldo che Iaconi al servizio di don Carlo di Borbone. Ma lui, Lorenzo, passa la sua infanzia tra il molo e la darse- sticcia come molti esordienti, ma l'ultima parola del suo film non è della ragazza gatto, che sparisce in una buca profonda alle radici dell'albero che ha vagheggiato, è di una bambina proterva che sembra incarnare la forza dell'innaturalità, la baldanza di tutto ciò che è artificiale. Lei rompe l'aria del finto Eden con i suoi aeroplanini radiocomandati, senza piegarsi ai miti di Kumi, senza promettere un nuovo regno della natura. No, corregge Yamamoto, la mia speranza è proprio nei bambini, nella possibilità di frequentare con naturalezza il giardino e la città, nella libertà di non crearsi ricatti intellettuali in nome della natura. Questa libertà rappresenta una forza che, dice Yamamoto, qualche volta si può chiamare Dio. Ma, a questo punto, Yamamoto ipotizza una nuova generazione di verdi, la cui origine non sia più il dilemma città-albero, quanto una conciliazione quasi religiosa della natura vegetale e artificiale. Lui si comporta da postverde, mentre per i politici verdi italiani, divisi nei loro gruppi d'origine da un'amichevole litigiosità, è ancora da scrivere la prima parte della favola: stabilire che posto avranno le piante nel mondo riconciliato. Stefano Reggiani Lorenzo Viani: «I seminatori» (na, simpatizzando per gli anarchici. E' un ribelle, non ha voglia di studiare, ma legge Victor Hugo, Walter Scott, Zola, Dostoevskij e altri. Conosce uomini di spicco come Leonida Bissatati, Andrea Costa, Plinio Nomellini, Giacomo Puccini, D'Annunzio, sociologi come Pietro Gori e socialisti come Vico Fiaschi e Luigi Salvatori. 1911, particolare) tra le opere espostLe forti impressioni di quegli anni, accompagnate dall'ossessione del pensiero della morte, che confida un giorno alla madre, passano nei primi dipinti e disegni, che il vecchio Fattori considera •pieni di errori, ma di buoni errori». Afa è soprattutto Parigi, la meta libertaria e deludente, che fa maturare Viani. In ! I ste a Firenze in Palazzo Vecchio quella città, che lo attrae per la sua storia rivoluzionaria, i suoi fermenti politici ed artistici, l'artista soggiorna tre volte, dal 1908 al 1912. Ma sempre si amareggia, perché i suoi sogni non coincidono con la realtà. Lo scrittore Richepin ad esempio, come ricorda Piero Pa! cini nel bel saggio del cataI Ioga, che Viani considerava un modello per le sue capacità di indagare i mali sociali, gli appare invece un terribile e ricco borghese. La sofferenza degli anni parigini è rappresentata in una serie di drammatici dipinti, eseguiti dal 1908 all'll, che traducono in modo molto personale i nuovi spunti da Van Gogh, ToulouseLautrec, Picasso, Van Dongen, Laermans e altri. La Consuetudine, per esempio, un grande carboncino del 1910 circa, presenta una fila di uomini schiavi, appoggiati al muro. La Parigina, la Signora col crisantemo, il Filosofo sono già simboli di morte e di solitudine. Ma quelli che meglio riflettono la miseria di Parigi sono i poveracci della Ruche, cioè del dormitorio pubblico di rue Dantzig, che Viani frequenta ogni giorno, e i ^maledetti, di Dio- dei lungosenna e dei giardini pubblici. Tutti riaffioreranno come un incubo, quindici anni dopo, nel dipinto Albergo dei poveri fI925-27;, un grande pannello lungi] sette metri, che vediamo sezionato in più quadri dall'infelice intervento degli eredi. Tra il primo soggiorno parigino e l'Albergo ci sono intense esperienze di vita e di lavoro. Dieci cartoni, disegnati a carboncino e Alla gloria della guerra1.; del 1911, rintracciati qualche anno fa, sono un angosciato documento contro il conflitto di Libia. Un libretto dallo stesso titolo, curato dall'artista e da Alceste de Ambris, stampato dalla Camera del lavoro di Parma, gli procura un arresto e il carcere. Ancora in quell'anno, 1911, il pittore tiene comizi anarchici a Pisa e, raccomandato dal poeta Ceccardo di Roccatagliata, è ospite a Parigi del filosofo greco anarchico Georges Brissimizachis. Il ritorno in Toscana, nel 1912, s...nola l'artista a riprendere la tradizione e a mescolarla con le novità caprese a Parigi. Ecco di nuovo mendicanti e pellegrini, ma sullo sfondo il mare di Viareggio, un Cieco con ricordi di Van Gogh, anarchici apuani e toscani come quel simpatico Peritucco coi fiocco rosso, o con la cravatta verde, le gote accese, lo sguardo deciso. Sfilano, davanti a noi, viandanti, uomini legati alla terra e al mare, cavatori, mogli e vedove di marinai, chiuse in un sobrio dolore. Ciascuno scavato nella propria psicologia. Le radici culturali e affettive con la terra di origine sono ancora più evidenti nelle grandi tele come la Benedizione dei morti del mare ed il Volto Santo, del 1914-16, un'indovinata miscela tra primitivi italiani e francesi contemporanei. L'ultimo periodo di Viani, tra la fine degli Anni Venti e la morte nel 1936, sembra meno ruggente, ma altrettanto disperato. La malattia gli ispira quadri con cliniche ed ospedali con matti. I protagonitti sono però sempre gli uomini, coi loro mali e col loro senso della morte. Maurizia Tazartes