Contro l'Iran un embargo fantasma

Contro l'Iran un embargo fantasma Ambiguità legislative possono aver favorito le forniture su cui indaga il governo Contro l'Iran un embargo fantasma Esisteva soltanto un generico «indirizzo» emanato nell'84 - Gli ordigni potrebbero essere arrivati a Teheran attraverso Paesi terzi - Il mistero del fatturato boom della Valsella ROMA — Ci sono mine italiane nel Golfo? L'ipotesi è sempre più probabile mentre il governo ha ordinato un'Inchiesta. La decisione di Palazzo Chigi è arrivata dopo una breve smentita dalla Farnesina che giovedì sera, con un comunicato di poche righe, ha precisato che «non risultano concesse alla Valsella Meccanctecnica di Brescia licenze di esportazione verso l'Iran nel periodo '81-84'. Un documento molto laconico inviato a fronteggiare il crescere delle informazioni provenienti dalla Francia (fonte il settimanale L'événement du jeudi) e parzialmente confermate dalla Svezia che avevano di colpo inserito la società lombarda tra le protagoniste della guerra del Golfo. Secondo il giornale parigino, la Valsella avrebbe partecipato tra 181 e l'84 con le svedesi «Bofors» e «Nobel Kemi» alla fornitura di un milione di mine (500 mila anticarro, 250 mila an¬ tiuomo, 250 mila di vario genere tra cui marine) all'Iran. La smentita della Farnesina riguardava la concessione di autorizzazioni per la vendita di questi ordigni a Teheran e non parlava dell'eventualità che fossero invece stati venduti all'Iraq. Ed è questa la tesi sostenuta, invece, a Stoccolma dall'ex direttore commerciale della «Nobel Kemi» Lundberg che, dopo aver precisato che la dogana svedese aveva definito l'operazione 'perfettamente legale», aggiungeva che la destinazione finale delle mine italiane era Baghdad e non Teheran. Dalla sede della Valsella (che dall'85 appartiene per il 50 per cento alla Guardini, società controllata al 65 per cento dal gruppo Fiat) anche ieri non è venuta una sola parola di commento a queste notizie. Per saperne di più sull'andamento della società tra 1*81 e l'84 bisogna affidarsi, per esempio, al¬ l'annuario internazionale Italìan Defence Industrie che nella edizione del 1985-86 riferisce che la Valsella ha avuto nel 1981 un fatturato di 10 miliardi. neU'82 di 80 miliardi e mezzo, nell'83 di oltre 106 miliardi. Un exploit di mercato improvvisamente svanito nel 1984 quando la società è passata al 100 per cento sotto il controllo della Borletti. Perché il boom e poi il crollo? In un servizio sulla Valsella il quotidiano milanese Il Sole-24 ore il 9 novembre 1984 lo spiegava cosi: «La spinta è venuta dal conflitto Iran-Iraq: le forniture verso l'area del conflitto hanno rapidamente raggiunto il 90 per cento del fatturato, ma si jono via via affievolite verso la fine dell'83.. In quello stesso giorno l'amministratore delegato dell'azienda bresciana Paolo Torsello rivelava che l'azienda aveva firmato nuovi contratti per 60 milioni di dolla¬ ri cercando di diversificare la propria clientela perché 'nel passato l'azienda aveva commesso l'errore di dipendere troppo dall'area mediorientale'. Dunque provengono veramente dalla Valsella le mine che infestano il Golfo? La risposta vera, rivelando quali contratti sono stati autorizzati in quell'epoca, dovrà darla l'Inchiesta del governo. Per ora la Farnesina ha soltanto smentito la concessione di autorizzazioni di vendita all'Iran, non all'Iraq (la moltitudine di mine disseminate nelle acque del Golfo d'altra parte è di incerta nazionalità). E poi, come hanno dimostrato inchieste e polemiche che hanno attraversato i partiti in occasione del risvolto italiano dell'Irangate nel novembre scorso, è molto probabile che forniture destinate ad altri Paesi siano arrivate in Iran e Iraq attraverso quella che nel gergo dei servizi di sicu¬ rezza si chiama 'triangolazione'. L'allora ministro per il Commercio con l'estero Rino Formica, socialista, in un'intervista a La Stampa aveva definito l'affare delle armi italiane all'Iran «un uerminaio». D'altra parte un vero e proprio embargo nei confronti di Teheran non c'è mai stato. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giuliano Amato (ora vicepresidente del Consìglio dei ministri), rispondendo per il governo alle interrogazioni sul caso, disse che vi era soltanto un -indirizzo» assunto dal governo italiano nel maggio 1984, mai tradotto in un 'divieto generalizzato» che però aveva fatto calare le esportazioni di armi dall'Italia all'Iran dai 484 miliardi nel 1983 ai 4 miliardi e mezzo nell'84. Nell'85 e nell'86 non ci sarebbero state esportazioni verso Teheran. Ma verso Baghdad? c. m.

Persone citate: Borletti, Giuliano Amato, Guardini, Lundberg, Paolo Torsello, Rino Formica