Gli urli al saxofono di Coltrane sono lenzuola di suoni

Gli urli al saxofono Gli urli al saxofono di Coltrane sono lenzuola di suoni JOHN Coltrane mori il 17 luglio 1967 a soli quarantun anni, all'apice della fama. I suoi innumerevoli estimatori, sparsi in tutto 11 mondo, accolsero la notizia con doloroso stupore. Nessuno sapeva che era gravemente malato. E' vero che, da almeno un anno, qualcuno aveva notato che il sassofonista, durante i concerti, si comprimeva ogni tanto con una mano il fianco destro, ma non ci aveva fatto troppo caso. Invece Coltrane aveva un cancro al fegato. I medici lo avevano avvisato, ma egli non ne aveva fatto parola nemmeno col parenti e con gli amici, e si era rifiutato di curarsi. Aveva continuato la sua vita di sempre. Soprattutto, aveva continuato a suonare, a sperimentare senza posa, a provare nuovi strumenti, in pubblico e in privato. Si lasciò ricoverare all'Huntington Hospital di New York il giorno prima di morire. Forse è 11 caso di sottolineare che simili episodi di stoicismo e di attaccamento alla musica non sono rari nel mondo del jazz. Ne possiamo citare almeno due che abbiamo visto coi nostri occhi, quello della pianista Sweet Emma Barrett che, condannata all'immobilità dagli anni e dagli acciacchi, riusciva ancora, alla Preservatici» Hall di New Orleans, a suonare blues meravigliosi con la sola mano destra; e quello del sassofonista e flautista Roland Kirk, colpito da emiplegia, che si era fatto modificare la meccanica degli strumenti per poterli azionare col braccio rimasto valido. Tutti, poi, ricordano gli ultimi mesi di Charles Mingus, ridotto a trascorrere le giornate su una carrozzella, dalla quale peraltro dirigeva la sua orchestra. Coltrane era giunto alla notorietà assai tardi per un jazzista, a circa trent'anni, in coincidenza col suo debutto nel gruppo di Miles Davis. Prima, quantun- que avesse militato — fra gli altri — con Dizzy Gillespie é con Johnny Hodges, non si era mal messo in luce. La sua statura di maestro del jazz si manifestò in pieno dopo il 1960, cioè dopo la fondazione del suo quartetto con McCoy Tyner al pianoforte, Jimmy Garrison al contrabbasso ed Elvin Jones alla batteria. Ma incontrò ancora (almeno per altri tre anni, stando a certe recensioni italiane) forti resistènze anche fra i critici non sospetti di passatismo. Ha lasciato moltissimi dischi, perfino troppi. Il neofita che voglia o sia costretto a limitarsi all'essenziale può acquistarne una dozzina o poco più. Ma deve scegliere bene e ascoltare ogni particolare con attenzione e ripetutamente. Solo ' cosi gli sheets of sound», cioè le «lenzuola di suoni» di Coltrane gli si riveleranno in pieno, ed egli potrà cogliere nel profondo il significato di quella tensione consumante, di quegli urli strumentali al sax tenore e al sax soprano, del desiderio di non concludere mai e di annullarsi nel proprio suono. In ordine di tèmpo, 11 primo disco da consigliare è il provvidenziale First step. SWP»p«W»WWfl Wflfl ricavato di recente da una trasmissione radiofonica del 1951, nel quale Coltrane — più o meno — è già l'artista che si rivelerà al mondo cinque anni dopo. Non solo: sembra evidente che, se c'è un sassofonista tenore che ha influito sui suoi anni formativi, questi è Dexter Gordon, il protagonista del film Round midnight di Bertrand Tavernier, più anziano di lui di circa tre anni. Obbligatorio è pure l'ascolto di Tenor madness di Sonny Rollins (Prestige) dove i due colossi del sax tenore si misurano in un confronto rimasto storico; in Moniti Trane della Milestone si può capire in qual modo il linguaggio pianistico disarticolato di Thelonious Monk abbia insegnato a Coltrane il gusto della libertà e dell'esplorazione tenace. Il sodalizio con Miles Davis è abbondantemente documentato, ma il gioiello più prezioso è forse l'album Kind of blue, nobilitato anche dalla presenza di Bill Evans. Gli altri long playing essenziali sono tutti a suo nome. A nostro avviso, non si può prescindere da Coltrane jass, dove 11 nostro esplora le risorse del sax tenore fino a ottenere sdoppiamenti di suono. Seguono My favorite things, nel quale è contenuto l'omonimo capolavoro al sax soprano, e Ole che suggella l'attrazione che Coltrane provava per i ritmi del flamenco e la sua ammirazione per l'arte di Eric Dolphy, chiamato a collaborare col quartetto. Tutti e tre questi long playing sono dell'Atlantic, mentre quelli che seguono appartengono all'Impulse, l'etichetta che si assicura le registrazioni del maestro fino alla morte. Selezionando al massimo, segnaliamo Duke Ellington & John Coltrane, un altro incontro di giganti; Africa/Brass, che sottolinea in pieno l'interesse di Coltrane per il continente nero, ancora con l'apporto di Dolphy; la stupenda suite A love supreme, un inno religioso che rappresenta uno dei massimi vertici del jazz contemporaneo; Ascension, l'album di Coltrane più vicino al jazz informale; Om, un omaggio alla religiosità dell'India che tenta di gettare un ponte musicale fra l'occidente e l'oriente; e infine Expression nel quale, alcuni mesi prima di morire, Coltrane propone in due brani stupendi un jazz da camera che rifiuta ogni compromesso con la musica dei bianchi, dotta o leggera, e nello stesso tempo mette da parte la gamma dei suoi mezzi espressivi consueti In una nota di copertina il critico americano Nat Hentoff ha scritto di lui queste meditate parole che hanno il valore di un epitaffio profondamente sentito: -Negli anni estremi della sua vita, l'insistente e crescente preoccupazione del maestro fu di calare nella sua musica il significato dell'essere, l'unicità della vita, l'assoluta necessità della pietà e della mutua comprensione, per far sì che la vita sia qualcosa di più. di un banale e ottuso esistere». Franco Fayenz

Luoghi citati: Africa, India, New Orleans, New York