Empedocle muore tra le rovine di Gibellina
Empedocle muore tra le rovine di Gibellina D dramma incompiuto di Hòlderlin in scena per le Orestiadi nel paese distrutto dal terremoto Empedocle muore tra le rovine di Gibellina L'allestimento è dei fratelli Cesare e Daniele Lievi, la scena del pittore Nunzio - Sul palco, occupato da un'alta sezione di cerchio, otto attori con Franco Branciaroli protagonista - Le musiche «neoromantiche» di Marcello Panni sono affidate al percussionista Tamborrino DAL NOSTRO INVIATO ROVINE DI GIBELLINA — Si prova ogni estate una seriazione assoluta, devastante, nel sedersi sulle gradinate della cavea lignea di Gibellina, dinnanzi a noi i resti — tronconi, schegge di case sulT erta sassosa — di un paese che la furia del terremoto ha una volta per tutte azzerato: la sensazione che «morte non avrà signoria», se qui, dove la morte ha steso rabbrividendo le sue grìgie ali d'avvoltoio, ogni estate il teatro, dunque la poesia, dunque la vita rinascono. In questi giorni è in scena, in prima assoluta per l'Italia. Im morte di Empedocle di Friedrich Hòlderlin (17701843), grande torso liricodrammatico incompiuto di cui il massimo poeta tedesco, insieme a Goethe, ci ha lasciato addirittura tre diverse tormentatissime stesure. I fratelli Cesare e Daniele Lievi, trentacinquenne e trentatreenne uomini di teatro di Gargnano del Garda, già distintisi per un bellissimo Torquato Tasso goethiano (Centro Teatrale Bresciano, 1986), hanno affrontato insieme, su stimolo del direttore artistico delle Orestiadi di Gibellina, Franco Quadri, l'improba impresa di dar vita a questo abnorme e informe capolavoro. Cesare, che è valenti- germanista, l'ha tradotto per intero (centoquaranta fitte pagine in versi) e poi adattato a misure molto ragionevoli (un' ora e cinquanta di spettacolo filato): nove sequenze, tratte per lo più dalla prima stesura, in cui, senza certo mettere la sordina ai valori filosoficoespressivi di cui la partitura è estremamente ricca, si cerca tuttavia di evidenziare l'esemplarità, e dunque la chiarezza e la linearità, della vicenda. Poeta-filosofo di trascinan- Un momento di «Empedocle»: late presa sui concittadini, a cui ha più volte illustrato la possibile conciliazione tra Uomo, Natura e Divinità, Empedocle è proprio per questo scacciato dalla natia Agrigento dal sacerdote Ermocrate e dall'ar¬ la regia dei fratelli Lievi si fa apprezzare i , e o ¬ conte Menade. Lo seguono amorose due fanciulle. Panica e Delia; non lo abbandona, caparbio, l'allievo ed amasio Pausania. Ma Empedocle sente ormai d'essersi spinto nella sua speculazione troppo oltre, rimdsad re per una casta, spoglia eleganza ritiene in cuor suo d'essersi macchiato d'empietà verso gli dei. Mentre l'egizio Manes scruta invano nei recessi dell' anima sua, Empedocle finge di partire, rifiutando la corona di re che ora il suo popolo è disposto ad offrirgli: si avvia verso l'Etna, si getterà nel suo cratere, ricongiungendosi così al nucleo pulsante del Tutto. C'è un'altissima sezione di cerchio al centro dello spazio scenico, distinta in due spicchi che vanno e vengono su rotaie, disegnando col loro vario disporsi impossibili arr. >nie geometriche e chiudenoo volta volta nel loro grembo incompiuto i personaggi (la *ce , molto suggestiva, e del ;re Nunzio). Gli attori, otto in lutto, vestono i costumi di Mario Bragheri. una accorta mistione di pepli arcaici e rédingotes e stivali primo Ottocento, tra il nero e il grigio. Al tocco dei casti accordi neoromantici di Marcello Panni affidali al percussionista Giovanni Tamborrino, i fratelli Lievi, più che l'azione o la gestica, tendono a privilegiare, come già fecero con Goethe, i significati e l'aura poetica della ambigua ma pur sempre pregnante parola hòlderliniana. Da questo punto di vista, la loro regia, se delude per qualche eccesso di sorvegliatezza. si fa apprezzare per una misura di casta spoglia eleganza. E gli attori, una volta tanto, non suppliscono ad una certa staticità della vicenda enfatizzando i toni e timbri: al contrario, si forzano di farci "giungere» i loro personaggi con ben controllata e suggestiva misura. Eccellente, in questa attitudine al «levare», è Franco Branciaroli, che contro il suo istinto fa un Empedocle dolorosamente ripiegato a contemplare, con rattenuta commozione, il fallimanto della propria utopia intellettuale. Maurizio Donadoni i un Pausania giovanilmente vitale, ma non mai isterico o sterilmente libellista Cosi l'Ermo crate del Mezzera e il Mecade del Siravo hanno .si l'impeto dei politici, abituati a piegare il nemico, ma non la loro fastidiosa burbanza aggressiva. Mentre Giancarlo Prati in una suggestiva sequenza insinua, con quella sua vocina in falsetto, all'egizio Manes l'orgoglio sofistico del filosofo mago, l'impeto passionale più forte i due registi lo riversano nel duo femminile delle affettuose e vane inseguitrici, Pantea e la fida Delia, che sono due ottime giovani attrici di scuola milanese. Monica Bucciantini e Caterina Vertova. sulle quali andrebbe richiamata l'attenzione di altri registi. Gli spettacoli di Gibellina in genere nascono e muoiono purtroppo qui: questo Empedocle cameristico e quasi liederistico potrebbe essere trasferito al chiuso con profitto dello spettatore intendente. Guido Davico Bonino
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