Ritorno all'Olimpo

Ritorno all'Olimpo VITA DI GIULIANO L'APOSTATA Ritorno all'Olimpo Giuliano ancora bambino scampò per un soffio, trafugato dai preti cristiani in una chiesa, al massacro della sua famiglia perpetrato dalla guarnigione imperiale nel palazzo di Costantinopoli probabilmente su istigazione dell'imperatore Costanzo. Da allora — settembre del 337 — e fino ai ventiquattro anni il giovane principe visse segregato, da ultimo e più a lungo in un remoto villaggio della Cappadocia dove non potè far altro che studiare. Assorbì lentamente dai suoi maestri le meraviglie dell'antico paganesimo e le sublimità del neoplatonismo, si piegò alle loro favole e respinse la fede che aveva appreso da piccolo e praticato devotamente, si esaltò per le teofanie di Cibele c i prodigi di Giamblico, e ridicolizzò quelli del Galileo e dei suoi seguaci. Ripescato dal suo esilio e nominato Cesare nel 355, spedito in Gallia a contrastare gli Alamanni e i Franchi, il mistico sognatore si rivelò grande generale e cinque anni dopo le truppe lo proclamarono imperatore a Parigi. In un curioso scritto autobiografico pubblicato ora dalla Fondazione Valla - Edizioni Mondadori in un volume di sue orazioni dal titolo Alla Madre degli dei. Giuliano ricorderà più tardi con nostalgia la futura capitale della Francia e il suo soggiorno in quegli anni di gioventù c di gloria: la «cara Lutezio» circoscritta all'isola della Senna, tutt'intorno murata e collegata da due ponti in legno alle sponde del fiume «che scorre uguale d'alate e d'inverno, offrendo un'acqua dolcissima e purissima a chi vuole vederla e berla»; il clima mite, propizio ai fichi e alle viti o, se appena ghiaccia il grande fiume, alle ascesi solitarie nelle casupole infreddolite. Rari momenti in un uomo frugale e rigido, scrittore di scarsa tura e nessuna.gaiezza, un principe a cui toccò la lotta per il potere c un credente che si sentì investito soprattutto della missione d'imporre le proprie idee. Giuliano è l'esempio sublime e pietoso dell'uomo travolto da un principio che si fa passione e che, superato dai tempi e dai fatti fino ad essere ridicolo, rischia di trionfare e attuarsi non per un istante ma, se fosse mai possibile, per secoli. Nei tre anni del suo regno l'imperatore non cercò sul trono che l'annientamento della religione in cui era nato e che da decenni ormai era la religione del suo impero. Scrisse, in greco, lettere, orazioni, opuscoli, anch'essi in parte ptesenti in questo sodo volume, a esaltazione dei suoi dèi e delle loro operazioni, a spiegazione delle sue teorie e del suo programma e a scorno dell'avverso, in una mescolanza di elementi contraddittori che Jacques Fontainc illustra nella splendida introduzione, e che erano contrad- dizioni dello stesso carattere dell'autore: filosofia e superstizione, civetteria e confidenza, predicazione e disprezzo, talvolta odio. Giuliano risvegliò e guidò cerimonie in cui si adorava ancora il Sole e si sacrificavano ecatombi a Zeus; s'iniziò a misteri in cui era più facile scorgere la superstizione popolare che le rivelazioni divine; vegliò e digiunò in onore di Pan e di Iside, spalancando loro le chiese ove si veneravano i corpi dei santi e dei martiri. Sedusse e atterrì come un filosofo, un teosofo, un prete e un potente insieme. In qucll'autobiogtafia beffarda ch'è appunto detto il Misapogon o Nemico della barba dalla canzonatura degli Antiocheni nei suoi riguardi, barbuto com'era al modo degli antichi filosofi e, a vederlo, «una scimmia porporata, un selvaggio villoso», c'è un punto in cui Giuliano ricorda come il suo precettore lo ammonisse spesso: «Non lasciarti persuadere a fremere per gli spettacoli dalla moltitudine dei tuoi coetanei che affolla i teatri. Desideri corse di cavalli? Ce n'ì una in Omero descritta alla perfezione; prendi il libro e leggilo. Senti parlare di danzatori? Lasciali perdere: i giovani presso i Feaci danzano in modo più virile. Ci sono anche piante, in Omero, di cui è più piacevole sentire parlare che vederle con gli occhi». Da questo antico mondo dì fantasie Giuliano era uscito, come Alessandro, ma vi rimase aggrappato contro il tempo e contro tutti, se non pochi devoti amici. La sua grande rivoluzione all'indietro era la restaurazione dell'Olimpo di Omero filtrato dall'intellettualismo dei neoplatonici e sposato alla magia degli Orientali. Perciò quando, come racconta ancora egli stesso, restaurò presso Antiochia il culto di Apollo, e il giorno della festa si avviò già immaginando e pregustando dentro di sé la processione, i sacrifici, i cori degli efebi in vesti solenni, al santuario non uovo nulla e nessuno di tutto questo, se non un vecchio sacerdote arrivato da casa con un'oca come vittima pet il dio. «E' terribile — esclamò allora incredulo — che una simile città trascuri a tal punto le divinità». Giuliano scrisse quest'ultima operetta, aspra di toni e di contenuti, alla vigilia della campagna in Persia, dove avrebbe trovato la morte in battaglia per il colpo di una freccia scagliata non si sa da chi, ma certo non da Dio, assicura Voltaire Quando il suo corpo fu deposto nel sepolcro di Tarso, si chiuse un capitolo forse appassionante di storia delle religioni ma certo di pessima politica e di confusa letteratura. La storia riprese come se questo che pure fu «un uomo il quale compì le gesta valorose di un dio», com'ebbe a scrivere un contemporaneo, non fosse mai esistito. Persino i suoi scritti, schiacciati sotto le maledizioni dei Padri all'indirizzo dell'Apostata, non videro più la luce sino a dodici secoli più tardi, ad opera di un ugonotto che li scoprì nella biblioteca del suo maestro e che nei margini dei pochi codici superstiti trovò le insolenze avvelenate anche degli oscuri amanuensi che li avevano, chissà perché, ricopiati. Carlo Carena Giuliano l'Apostata

Persone citate: Alamanni, Antiochia, Carlo Carena Giuliano, Gallia, Iside, Jacques Fontainc

Luoghi citati: Cappadocia, Costantinopoli, Francia, Parigi, Persia, Zeus