Il geologo: «Manca in Italia una cultura della montagna»

Il geologo: «Manca in Italia una cultura della montagna» Il geologo: «Manca in Italia una cultura della montagna» «In Valtellina i fenomeni di sollevamento sono in corso da migliaia di anni» - «Troppi enti e senza il potere per imporsi» «La causa vera e più generale che provoca i periodici e critici dissesti in Valtellina, come in altre zone delle Alpi, è costituita da fenomeni di attivo sollevamento che sono in corso da migliaia di anni». Il professor Augusto Bianconi è docente di Geografìa fisica all'Università di Torino ed è uno specialista di problemi idrogeologici, dei quali si è occupato ripetutamente anche in Valtellina, zona che conosce molto bene. Giusto nella Val Tartano, colpita dalla frana che ha causato crolli e vittime, è stata identificata una faglia, una spaccatura negli strati profondi del suolo, trasversale rispetto alla Valle dell'Adda fino alla testata della prospiciente Val Masino, alla quale i geologi hanno dato proprio il nome della sorgente del torrente Tarlano, la «faglia del Porcile». Il professor Bianconi ha compiuto ricerche e sopralluoghi nella zona. «Un processo di sollevamento recente e ancora in corso favorisce i dissesti geologici in due modi: da un lato i movimenti lungo le linee di frattura creano squilibri sui versanti che, proprio per questo, - sono soggetti a erosioni e frane "intense; dall'altro il sollevamento in atto genera letti di fiumi e torrenti particolarmente ripidi, per cui le acque di precipitazione, che si formano abbondanti per la configurazione a muraglia del versante meridionale alpino, formano masse di detriti che precipitano a valle con forza irresistibile. La Val Tarlano ha una gola di erosione molto simile a un ripido canyon», spiega il geologo Bianconi. — Fino a che punto in queste situazioni si può stabilire la responsabilità dell'uomo rispetto agli squilibri naturali? E' possibile intervenire in qualche modo per impedire che accadano disastri come quelli della Valtellina? «In primo luogo si tratta di una cultura relativamente nuova, non soltanto per l'Italia, ma certo particolarmente per l'Italia. Le ricerche finalizzate su questi argomenti del Consiglio nazionale delle Ricerche si fanno da non più di una ventina d'anni. Non si può dire, che non si sia fatto niente. Si potrà fare anche di più, ma gli organismi dello Stato hanno già speso molto denaro per accumulare notevoli quantità di conoscenze che prima non c'erano e che a tutt'oggi sono in corso di completamento. E' vero che il numero di opere sbagliate sul territorio, sia di tipo urbano, sia di viabilità, sia di altro genere, fino agli Anni Settanta è stato enorme. Ma è enorme, tutte le volte che si presenta il caso, anche la resistenza delle comunità locali a consigli di interventi che eviterebbero i disastri, come sarebbero eventuali sgomberi preventivi e distruzioni di opere a rischio. D'altra parte gli enti competenti non sono dotati dei poteri per imporsi». — Secondo lei ci sono opere di difesa o preven z.ionc che lo, Stato o gli enti interessati, locali o nazionali,, potrebbero progettare ed'eseguire nelle zone più esposte dal punto di vista geologico? «Non è possibile provvedere in modo generalizzato ad opere di difesa attiva in questo campo. Nessuno è in grado di progettare imprese del genere in un territorio come il nostro. I fenomeni di instabilità idrogeologica sono endemici lungo tutta la catena alpina e in modo a volte anche più grave nell'Appennino. L'unico mezzo possibile per ridurre il rischio idrogeologico è prò muovere a livello nazionale un grande progetto di boni fica montana con operazio ni di rimboschimento gene ratizzato. Ma nemmeno in questo caso i risultati sarebbero rapidamente paganti. Le pertinenze territoriali oggi sono troppo parcellizzate e divise tra Comuni, Comunità montane, Province, Regioni e vari ministeri. Occorrerebbe avere, come esistono in altri Stati, delle speciali "Agenzie di Bacino" con lutti i poteri necessari ad autorizzare o a proibire interventi sull'ambiente». — Professor Bianconi, si sa che il fondovalle della media Valtellina lungo il corso dell'Adda, dal lago di Como oltre Sondrio, fino a un paio di secoli or sono era paludoso e che l'antica strada che risaliva la vallata, la via Valeriana, per questo era a mezza costa del versante Nord. Oggi la Statale 38 corre accanto al fiume. Si sa che i pascoli estivi sui 1500 metri, un tempo curatissimi, dagli Anni Cinquanta in poi sono stati abbandonati. Questi mutamenti secondo lei influiscono sui disastri? «La situazione idrogeologica della Valtellina è relativamente giovane. Si presenta così da 11-14 mila anni, che non sono poi molti. L'uomo si comporta con il territorio come la sua cultura dell'ambiente gli insegna. Il fatto che gli antichi valtellinesi evitassero il fondovalle e curassero le alte malghe estive per il bestiame, era frutto di esperienza secolare. Ma una cosa è certa: che dissesti naturali in Valtellina ne sono accaduti in tutte le epoche in cui è stata abitata dall'uomo. Fra quei monti non c'è mai stata un'era di paradiso idrogeologico. Oggi stiamo accumulando altre esperienze, altra cultura dovuta ai mutamenti della società. Non credo che la colpa dell'alluvione sia della Statale 38, né dei pascoli abbandonati. E' che dobbiamo fare in fretta a farci una cultura che prevenga i disastri secondo il modo di vivere d'oggi». Franco Pierini

Persone citate: Augusto Bianconi, Bacino, Bianconi, Franco Pierini, Professor Bianconi

Luoghi citati: Como, Italia, Sondrio, Tartano, Val Masino