Un giorno a Venezia coi «turchi» di Pierangelo Sapegno

Un giorno a Venezia/ coi «turchi» Spariti i saccopelisti, i problemi dell'invasione estiva restano Un giorno a Venezia/ coi «turchi» I turisti «ricchi» sporcano lo stesso e non rispettano i divieti - Il direttore dei musei: «La città non riesce a governare la massa» L'assessore Saivadori: «Voglio un turismo di élite della civiltà» - Mancano segnaletica, vigili, strutture e la Serenissima esplode DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA — Il turista giapponese ha un colpo di sonno. Si sdraia accanto al confessionale di don Oiovannl Fabblanl e s'appisola: non lo svegliano tutti quelli che passano vicino, le visite guidate in Inglese, francese, tedesco, il brusio ininterrotto della Basilica di San Marco. Nell'atrio della chiesa, sotto il busto di Giovanni XXIII. due biondi vichinghi si mangiano le pesche, e i noccioli scivolano furtivi sul pavimento. Mamma, li turchi: sono arrivati sui pullman, sbarcano dai vaporetti, assediano calli e campi. Può una città d'arte difendersi dagli invasori? Non ci sono più saccopelisti, a San Marco e nelle piazze, -quelli che odiano yuppies e gioco in Borsa ma che amano per davvero Klee o il Tintorettoscriveva polemico -il Manifesto»; non ci sono più. sconfitti dai divieti e dagli idranti, e l'assessore che li ha battuti, Augusto Salvadori, proclama: •Calma, fiòj, i turchi dopo qualche secolo li abbiamo cacciati indrìo un'altra volta-. Eppure, l'occupazione continua, disordinata, massiccia, irruenta, fra chiese, musei e palazzi, fra canali, rii e rami. E Venezia città d'arte, cornice di suggestioni, perde un po' della sua magìa e del suo fascino, travolta com'è da sette milioni di turisti ricchi, poveri, pendolari, permanenti o di passaggio, che occupano luoghi d'arte e osterie e fast food quasi con la stessa stanchissima abitudine. Qui mori Wagner, si fermò Byron, qui venivano Sartre. Simone de Beauvoir, Hemingway. Oggi più nessuno, ma frotte di turisti. Mamma 11 turchi. Il professor Giandomenico Romanelli, direttore del musei veneziani, però li difende: -Non giudicateli troppo male: non sono killer. Sono anche vittime di città come questa o come Firenze che non fanno nulla per governarli-. L'Invasione comincia sul Canal Grande. I vaporetti sembrano affondare davanti ai pontili di San Marco. Quando scaricano la gente è come se tirassero un sospiro di sollievo, e s! alzano subito di fronte agli imbarcaderi. Ogni cinque rrunuti maree di gente si riversano nella piazza più famosa di Venezia. Altri ne arrivano dalle calli tutt'attorno. Quando il sole picchia, l'Invasione abbandona i colombi e si sposta tutta verso la Basilica o il Palazzo Ducale, a cercare l'ombra. Nell'atrio, davanti all'ingresso della chiesa, due giovani con le divise napoleoniche del '700 mostrano 1 divieti: non si può entrare scollati o in minigonne o calzoncini. Iris Friedli. la tedesca bianca e bionda che ci prova, viene fermata e invitata in tedesco maccheronico a mettersi un golfino sulle spalle. .Verboten, bitten...-. A furia di gesti lei intende e quando ha inteso obbedisce con uno sguardo di sfida che sembra incenerire i due custodi. Dentro, è ressa. Sugli scalini che portano alla Pala d'oro, bivaccano in tre. due donne e un vecchietto sorseggiano le coca cola. Due francesi parlottano davanti al confessionale, una mamma tedesca, a giudicare dalle urla, sgrida e schiaffeggia la sua creatura santa per chissà quale marachella. Il giapponese continua imperterrito 11 suo pisolino. Una voce al microfono: -Signore e signori, vi ricordiamo che siamo in una chiesa. Vi preghiamo di cantare con noi per cinque rntnufi il Padre nostro-. E il coro attacca in latino Pater Noster. Non uno prova ad accompagnare il canto. La signora elegantissima chiama il marito per uscire: •Hai finito? Andiamo?- Fuorì. è vietato mangiare panini sulle strade o sui marciapiedi, bivaccare e sporcare. E' vietato, ma lo fanno tutti, sotto i portici delle Procuratie e davanti alla chiesa. Stesse scene al Rialto e all'Accademia. Nel palazzo delle Fabbriche vecchie, poi. è un accampamento. Cosi, tra le voci sul numero chiuso a Venezia e i vari divieti alle tribù del sacco a pelo e alle falangi del panino, una folla di giornalisti passa dall'assessore che l'anno scorso proibì pure ai gondolieri di cantare O sole mio. C'è l'inviato del Washington Post, quello del Figaro. Il giornalista della televisione svizzera, ci sono appena stati quelli di Le Monde e del New York Times. Quello della televisone svizzera ha un dilemma da risolvere: chi è più maleducato? L'italiano o lo straniero? E l'assessore: «Non esiste una graduatoria dell'inciviltà. Né la maleducazione è patrimonio di un popolo anziché di un altro. Certo che non si capisce perché quel turista che passando per la Svizzera non bivacca sul lago di Lugano e non imbratta il Duomo di Basilea, da noi invece si comporta in maniera diversa. E non si capisce perché noi dobbiamo essere meno severi degli svizzeri-. Il giornalista del Figaro, invece, è più polemico: ma lei vuole un turismo d'elite! Risponde Salvadori: -Si di élite della civiltà.. E aggiunge: -Vede, Luigi XV disse: dopo di noi il diluvio, lo dico: dopo di noi la storia deve continuare non vergognandosi di noi-. Non si vergogna Salvadori. ma attorno a lui c'è chi ar¬ rossisce. Che possono fare le città d'arte di fronte alle invasioni dei turisti? -Intanto, aiutare i barbari-, afferma Roberto Carrain. presidente dell'Azienda di Promozione turistica: -Non c'è segnaletica, non ci sono strutture idonee, si deve facilitare il visitatore, non dirgli: non venire che è chiuso Mancano i vigili? Non è rero; mancano i vigili per Venezia, quelli die non dirigono il traffico ma conoscono le lingue e sanno chi è Tinloretto-. E Romanelli: -Molte volte è colpa delle città se i turisti diventano come i nuovi turchi-. Allora. Salvadori? -Lo dico anch'io benvenuto al turista, ci mancherebbe altro. Benvenuto al turista che rispetta la città, però. Il mio compito è quello di tutelare il patrimonio di Venezia,. E allora. -transenniamo se ce n'è bisogno mettiamo i tappeti nella Basilica, vietiamo bivacchi a San Marco-. Dice cosi e al Chioggia. di fronte al Palazzo Ducale, ordina un caffè. Il giovanotto dietro il banco glielo prepara, e quando lui lo sorseggia comincia a canticchiare: -Che bella cosa, "na iumàta 'e sole...- Sempre più forte: • O sole, o sole mio...- E l'assessore butta giù il caffè e scappa via. Pierangelo Sapegno