Anima in carcere di Sergio Quinzio

Anima in carcere ECCO LE APOCALISSI GNOSTICHE Anima in carcere L'antica gnosi torna ad affascinare, e per un meccanismo storico e psicologico simile a quello per effetto del quale, poco meno di duemila anni f$ la gnosi era nata: la delusione, lo sconcerto, l'angoscia per la crisi di un'evoluta civiltà — la civiltà moderna oggi, come l'ellenistica allora — che dopo aver unificato il mondo quasi improvvisamente mostra crepe irreparabili. La «salvezza», per chi osa ancora sperarla, non viene più cercata nel corso degli eventi storici ma, schiacciati da un radicale sospetto nei confronti della storia, totalmente al di là dei suoi confini. Prima della casuale scoperta fatta nel 1945 a Nag Hammadi, nell'Alto Egitto, di una vera e propria miniera di testi gnostici in versione copta, della gnosi si sapeva in sostanza solo quanto ci era stato tramandato — evidentemente con scarse garanzie di completezza e di verità — dagli eresiologi crisriani che l'avevano combattuta. Nel corso degli Anni 70 i testi di Nag Hammadi sono stati finalmente pubblicati: proprio, si direbbe, nel momento giusto per venire incontro alle rinnovate inquietudini dei delusi della storia. Per il lettore italiano la guida alla gnosi è Luigi Moraldi, l'illustre semitista che dopo aver tradotto e commentato un'ampia scelta di Testi gnostici per l'Utet nel 1982, e / Vangeli gnostici per l'Adelphi nel 1984, adesso presenta, sempre per l'Adelphi, Le Apocalissi gnostiche. Le cinque Apocalissi che Moraldi ci propone — di Ad<imo, di Pietro, prima c seconda di Giacomo, di Paolo — non superano, complessivamente, le cinquanta pagine. E si tratta di pagine molto oscure, traduzioni di traduzioni ricavate spesso da codici in cattivo stato, che presentano lacune e costringono non di rado a versioni e integrazioni ipotetiche. Saremmo in paradiso se le difficoltà e le oscurità fossero soltanto queste. Ben più ardue sono queile che derivano dai contenuti dello gnosticismo, estremamente vario nelle sue forme e scuole, ricco di apporti provenienti dalle più disparate fonti, giudaiche, greche, iraniane, cristiane, ed espressi in un linguaggio che mescola insieme elementi mitici, religiosi, poetici, magici, filosofici. Proprio questa misteriosa, insondabile complessità, oggi, sembra affascinare, costituire per molti una specie di antidoto a quella che appare sempre più come la riduttiva concezione di una storia li¬ neare e perciò tutta razionalmente comprensibile. Perfino il titolo Apocalissi gnostiche crea problemi, aggiungendo oscurità ulteriori a quelle già implicite nel genere apocalittico. Secondo l'autorevole interpretazione di Robert M. Grant, lo gnosticismo rappresenterebbe pressappoco il capovolgimento delle concezioni escatologia che-apocalittiche ebraiche dalle quali sarebbe sorto. Delusa l'intensa aspettativa dell'evento messianico dopo i sanguinosi fallimenti delle rivolte antiromane, culminati nel B5 con la distruzione della città santa di Gerusalemme, la salvezza venne cercata non più nello straordinario intervento di Dio, ma in una personale condizione di perfezione spirituale, ottenuta mediante la conoscenza, la «gnosi» appunto, della verità interiormente posseduta. Il mondo e la storia degli uomini venivano di conseguenza abbandonati alla loro irrimediabile negatività. Chi si salva è l'uomo spirituale, «pneumatico», che in realtà è già salvo ab aeterno, perché la sua anima, caduta nel carcere tenebroso della carne, è di natura divina. Gli uomini materiali, «ilici», sono destinati invece a essere distrutti nella finale distruzione della materia. Gli uomini, per così dire, intermedi — gli «psichici», che per gli gnostici erano in massa i fedeli della grande Chiesa cristiana — possono al massimo aspirare a una specie di salvezza di ordine inferiore. Luigi Moraldi preferisce vedere fra apocalittica e gnosi, più che un capovolgimento, un graduale sviluppo. Vede già nei Vangeli canonici una netta lontananza dall'apocalittica, ritenendo le cosiddette «apocalissi sinottiche» con il loro annuncio delle catastrofi che devono precedere il ritorno di Cristo giudice sulla Terra (per esempio, nel capitolo 13 del Vangelo di Marco) come non attribuibili a Gesù: "Non hanno il timbro delle parole di Gesù; sono brani tratti da scritti apocalittici giudaici a Cristo contemporanei». Se questa è l'opinione di numerosi studiosi, non è meno vero che altri sostengono, all'opposto, che la Chiesa delle origini non avrebbe avuto alcun interesse — anzi! — ad attribuire a Gesù gli annunci dell'imminente fine del mondo, dopo che non si erano realizzati con la distruzione di Gerusalemme alla quale erano strettamente connessi. Più credibile mi pare vedere nel giudaismo come nel cristianesimo del II secolo una parallela rimozione, e anche materiale distruzione, dei testi apocalittici: per analoghe ragioni, e cioè per il tra¬ gico fallimento delle rispettive attese della venuta, o del ritorno, del Messia. "Lunga fu la strada percorsa dal genere letterario apocalittico», scrive Moraldi, e le apocalissi gnostiche che presenta (databili verso la fine del II secolo dopo Cristo) ci mostrerebbero "un nuovo aspetto dell'apocalittici». La salvezza non vi è più attesa sulla Terra, ma nell'aldilà; l'interesse, di conseguenza, non è più rivolto alle vicende della storia e del cosmo, ma al giudizio personale che attende ogni uomo; la «apocalisse», cioè letteralmente la «rivelazione», non tiguarda più eventi futuri, ma «è la stessa persona di Gesù Cristo». * * Più che di «un nuovo aspetto», mi sembra adeguato parlare di una radicale diversità, consistente nell'abbandono gnostico dell'orizzonte biblico, che giudica positivamente la creazione — e quindi la corporeità e la sessualità —, per odiare tutto ciò che è materiale e annettere un significato positivo soltanto all'eterno invisibile. L'apocalittica, invece, era rimasta nel solco biblico. L'opposizione fra la gnosi cristiana e la grande Chiesa si tocca con particolare evidenza nell'Apocalisse di Pietro. E' un testo che si scaglia con vigore contro la gerarchia della Chiesa, opponendosi soprattutto all'insegnamento della "morte redentiva del Cristo in croce», giudicato vana adesione "al nome di un uomo morto». "Spirito intdlettuale pieno di luce splendente», il Salvatore è "sereno e sorridente sull'albero» della croce, e "colui al quale sono trafitti mani e piedi con chiodi, costui è la sua parte corporea, cioè il suo sostituto esposto a vergogna». Ciò che è corporeo, transeunte, mortale, non può essere che negativo. La fede nella morte redentrice di Cristo non è dunque lavacro e santificazione come per Paolo, ma è un «insudiciarsi». Il testo conserva ancora una viva eco di questo dibattito antico di quasi venti secoli. Le ragioni del contendete non erano secondarie. La vittoria della Chiesa sulla gnosi (sebbene sia avvenuta non senza subirne pesanti influssi, com'è mostrato dai lunghi secoli dell'ascetismo monastico, in cui l'eterno e l'invisibile soffocano la temporalità e la corporeità) ha reso possibile e aperto la via a quel mondo intimamente storico che è l'Occidente nel' la sua intera bimillenaria vi cenila. E' la stanchezza, è I; delusione di questa storia che oggi ci fa nuovamente sentire il fascino del pessimismo gnostico. Sergio Quinzio

Persone citate: Gesù, Hammadi, Luigi Moraldi, Moraldi, Robert M. Grant

Luoghi citati: Alto Egitto, Gerusalemme, Nag Hammadi