La bellezza nasce in una fabbrica speciale: la nostra mente di Silvio Ceccato

La bellezza nasce La bellezza nasce in una fabbrica speciale: la nostra mente RICERCA tortuosa e insieme rassicurante La fabbrica del bello di Silvio Ceccato sui poteri creativi dell'uomo, sulla carica simbolica che siamo soliti attribuire al prodotto di fantasia, sul millantato credito dell'ineffabile. Qualche pilastro metodologico andrà magari in rovina, i miti orfici non potranno più rifugiarsi nel •mondo dello spirito», pur esso ridotto a bolla iridata, ma l'autenticità del percorso è debitamente garantita. Se però vengono ricusati i blasoni di assolutistiche discipline e cadono di peso le vecchie meraviglie antropologiche, non perde di senso il sogno di cogliere dal vivo il processo metabolico di un Adamo misteriosamente predisposto al »fare» poetico, e di isolarne la frequanza rivelatrice — che anzi l'autore lo alimenta con intatti privilegi nel modello meccanico battezzato Adamo II; perde semmai di senso il «colossale edificio montato dal filosofi nel corso dei millenni» a tutto vantaggio della cibernetica e dei territori contigui. Umanista, musicista e musicologo, prima che si dedicasse alla costruzione di macchine pensanti Ceccato è stato anch'enti prigioniero di quell'edificio (lo dichiara e ne fa ammenda); ha subito il fascino dei grandi 'Sistemi», idealismo in testa; ha mescolato e rimescolato le carte del sapere tradizionale non disdegnando di frequentare figure considerate spurie nel gioco delle correnti (padre Agostino Gemelli, ad esempio); si è tormentato con le domande di ogni compunto novizio («Che cosa si ha di congenito, di innato, e che cosa si ha di appreso, di sociale, nell'atteggiamento estetico?». «Vi è un'età In cui siffatto atteggiamento prende forma?»). Poi il progressivo distacco, l'insofferenza per t'apri ori, per l 'Concetti puri» (si vedano le polemiche osservazioni rivolte a Croce, a Hegel), l'incontro decisivo nel 1953 con un futuro premio Nobel, Dennis Gabor, che lo incoraggia sulla strada dell'automazione, il sostegno dell'ingegnere Enrico Moretti e di Leonardo Sinisgalli nel metter su un ordigno 'intelligente» e, quasi in sincrono, l'intuizione di un dato che considera capitale nell'aggiornata mappa teoretica: «Alla base del funzionamento della nostra mente c'è l'attenzione, con U suo organo pulsante, generatore di stati detti appunto stati attenzlonali, che combinati col funzionamento di altri organi e con se atessi, danno luogo al nostri vari contenuti mentali». A distanza di anni Ceccato, sempre vigile sulle clandestine incarnazioni del verbo, giudica insoddisfacente quel etite' rio di analisi e torna a verificarlo in un più complesso ambito conoscitivo, fino a identificare nell'energia nervosa la fonte dell'intera vita mentale, comprese le 'attività edeniche» («questa energia è sorgente di piacere nel suo espandersi e di Illustrazione di Aubrey Bearcisky dolore nel suo restringersi») e comprese le sindromi della paura, dell'ansia, dell'ossessione e di ciò che agisce oscuramente in noi. Sul tema della memoria in sé e in rapporto al fluire ritmico che propizia la manifestazione artistica, Ceccato confessa di non avere ricette da offrire a chi lamenta carenze, prevaricazioni, improvvisi abbandoni. Tuttavia, dalla quotidiana esperienza di laboratorio e specie dallo studio del modello cibernetico «che percepisce, si rappresenta, pensa, parla, categorizza», è in grado di ricavare alcune ipotesi di lavoro che coinvolgono sia l'ordinario referente sia aspirato cantore, bisognoso più di altri di un arco mnemonico lungo e lunghissimo, di forte 'Condensazione» e di eccellente 'ripresa», ad evitare che «l'opera risulti di frammenti ripetitivi o sconnessi». Ma sono forse le pagine sul barocco (e sul 'barocchismo» e sul •baroccume») affrancato da incrostazioni storicistiche e inteso quale elemento costitutivo del pensiero; o le pagine sulla scrittura musicale e su Monteverdi, quelle in citi Ceccato più felicemente raggiunge il tono che pone al centro del suoi desideri: un andante con brio che di colpo rende significativi tracciati e formule tecniche, diario e idearlo, disegni e passaggi linguistici impèrvi, e giustifica l'ottimismo finale del libro: «Un consiglio che mi sento di dare a chiunque si serva dell'artefatto è di adoperarlo non come la macchina che esautora, ma come lo strumento che potenzia». Quanti trepidano per le sorti dell'»umano-mai-troppo-umanó» si riterranno presumibilmente confortati da un benemerito della nuova scienza.