Le Sette Meraviglie, che erano una dozzina di Carlo Carena

Le Sette Meraviglie, che erano una dozzina DOPO CHE IL RITROVAMENTO DEL COLOSSO DI RODI E' FINITO IN UNA BEFFA Le Sette Meraviglie, che erano una dozzina Non si finisce mai di stupirsi. Meraviglie nate e accreditate duemila anni fa, tornano a far parlare improvvisamente di sé quando una ruspa sembra risuscitarle dagli abissi dove le scaraventò un terremoto; e poi scompaiono di nuovo come nella burla di Sotto la sua mano di Piero Chiara. Certo il Colosso di Rodi era la più risonante delle Sette Meraviglie del mondo antico: sette o anche più di una dozzina, come i Sette Sapienti e oggi i Sette Grandi. Gli elenchi degli autori variano, aggiungono e sottraggono secondo le epoche, le simpatie, le ambizioni. Si parte da uno più sottile ed essenziale in un epigramma del II secolo aC, per giungere a quell'indefettìbile old cwiosity shop che è la Storia naturale di Plinio e ai più tardi poeti cristiani. n concetto e l'espressione sono anch'essi di età ellenistica, età tutta di meraviglie e di bizzarrìe. Si designarono cosi le opere più subordinane dell'uomo, che per bellezza, dimensione, sfarzo, singolarità, ingegnosità rivaleggiassero o superassero la natura, più cauta e ferma e poco incline a fare salti. L'elenco primitivo e canonico (sette è un numero canonico) comprendeva, oltre al Colosso rodiese, le Mura in mattoni di Babilonia su cui, a detta di Erodoto testimone oculare, potevano circolare anche le quadrighe; la Statua in oro e avorio di Zeus a Olimpia opera di Fidia; i Giardini di Semiramide ancora a Babilonia; le Piramidi di Menti, il Mausoleo di Alicamasso e infine il Tempio di Artemide a Efeso, costruito a prova di terremoto ma incendiato nel 356 da un pazzo per farsi un nome — si chiamava Erostrato — e ricostruito ancora più splendido dagli Efesini. Nelle interpolazioni successive si fanno strada l'Altare di Delo, il Palazzo Reale di Ciro, le Statue di Meninone a Tebe, il Tempio di Zeus a Cizico, la Torre Luminosa sull'isola di Faro ad Alessandria, la Statua del dio medico Asclepio a Epidauro e quella di Atena sull'Acropoli di mano ancora di Fidia Quando poi tocca a Roma di dominare il mondo, fanno la loro comparsa il Campidoglio e il Colosseo, e ancora Santa Sofìa di Costantinopoli, e il Tempio di Salomone a Gerusalemme; infine, quando l'inflazione promuove la paccottiglia, persino l'Arca di Noè. Di ognuno di questi prodigi umani, i viaggiatori, gli storici, i poeti danno descrizioni dettagliate o leggende strepitose. In alcuni l'arte profuse capolavori sublimi; altri non furono che «un'inutile e stupida ostentazione di ricchezza», come Plinio bolla le Piramidi. Il tempo o le generazioni dell'uomo hanno avuto spesso to¬ talmente ragione della grandezza o della fragilità del loro sogno: come per le somme statue fidiache, descritte ancora da Pausania e Strabone in termini di elogio struggente, ma quasi subito manipolate e presto defunte. In altri casi la loro solida imponenza si erge ancora fra i deserti della Nubia e lungo le rive dei grandi fiumi mesopolamici; ovvero i loro resti hanno trovato scampo all'ombra remota dei musei moderni. Chi, come a suo tempo l'imperatore Adriano, turista scostumato al punto di lasciarvi la sua firma visita oggi Tebe nell'Alto Egitto, perdendosi tra le soggioganti immensità di Luxor e di Kamak, s'imbatte nelle due statue colossali di Meninone, l'antico re etìope figlio dell'Aurora, impassibilmente assise oltre i millenni nella saldezza del loro monolito di venti metri, e un tempo, a detta persino di Tacito, emananti una voce ben percepibile al levar del sole, quasi per salutare l'arrivo della loro madre. Non cosi, certo, poteva avvenire dei Giardini di Babilonia che coi loro terrazzi e gli alberi svettanti oltre i tetti del Palazzo Reale sembravano sospesi nell'aria fragrante: creati, secondo un racconto non delle Mille e una notte ma dello storico Curzio Rufo, da re Nino per amore della propria sposa Semiramide — o secondo Diodoro, ch'è ancor meglio, da un suo successore per la propria concubina presa in quella reggia tutta pietre e in quella pianura desolata da una languida nostalgia del proprio Paese di praterie e di boschi O, degno questa volta di Racine, il Mausoleo di Alicarnasso: la tomba voluta dalla moglie disperata a gloria del satrapo Mausolo. a metà del IV secolo, dopo che già ne aveva inghiottite le ceneri mescolate a spezie. E se là sulla spiaggia turca dell'Egeo, nel porticciolo odierno di Bodrum al confine anche psicologico tra mondo greco e levantino, quasi più nulla testimonia del sontuoso edificio in marmo di 45 metri d'altezza, una parte almeno dei fregi, turbinanti della battaglia delle Amazzoni effigiate forse da Scopa, e una reliquia delle trecento statue che ne ornavano i colonnati si osservano in una delle sale del British Museum, accanto agli altri restì dello sventurato Artemisio di Efeso. Che l'abnorme abbia più spesso soverchiato nella fantasia degli uomini anche per le Sette Meraviglie del mondo la ino bulinatrice di Fidia e dei 40 scultori all'opera ad Alicamasso, non stupisce. Ci da presumete che non molto diversi sarebbero le presenze e i risultati in un elenco moderno, con dentro la Statua della Libertà, e fuori la Veduta di Delfi di Vermeer. Carlo Carena

Persone citate: Curzio Rufo, Diodoro, Faro, Noè, Piero Chiara, Racine, Tacito, Vermeer