Superphénix, è quasi un addio

Superphénix, è quasi un addio Nuova fuga di sodio: 3 anni per i lavori, ma potrebbe essere una condanna a morte Superphénix, è quasi un addio Il neodirettore aveva ventilato una riapertura del surgeneratore in autunno - Lo slittamento i blocca l'ambizioso programma nucleare di Parigi - I tecnici: «Nessun pericolo ambientale» CREYS-MALVILLE (Lione) — I tecnici di Superphénix continuano a ripetere che non c'è alcun pericolo. Che la nuova fuga di sodio liquido dal «serbatoio di servizio» del reattore nucleare non deve destare alcun allarme. E che il programma per riparare la più moderna delle 48 centrali atomiche francesi, ferma ormai dal 26 maggio, sarà rispettato. Ma a Creys-Malville l'Imbarazzo è evidente. Non tanto perché il «bariletto» che tre mesi fa aveva cominciato a perdere 28 litri di sodio liquido l'ora, adesso ne sputa fuori almeno 35: il problema è un altro. E' quello del destino del più grande surgeneratore mai costruito, dell'impianto considerato all'avanguardia della tecnologia atomica civile. E nel destino di Superphénix. dopo tante mezze verità e tante dichiarazioni rassicuranti, si affaccia un lungo periodo di inattività: forse due o tre anni. Con il risultato di rallentare, se non di bloccare definitivamente, le ricerche nel campo dei surgeneratori. I pareri, naturalmente, sono diversi, gli esperti si rimpallano le tesi. I tecnici di Creys-Malville sostengono che il guasto non intacca il particolare sistema di funzionamento del reattore che, a differenza di quelli delle centrali convenzionali, ha la capacità di rigenerare una parte del suo combustibile, producendo plutonio. La fuga del sodio liquido, usato per il raffreddamento, viene definita un « barcate problema di idraulica- che, per di più, si è verificato non nel grande recipiente che contiene il «cuore» radioattivo del reattore, ma nel «serbatoio di servizio». Quello che serve a conservare le barre di combustibile e che entra nel circuito attivo della centrale soltanto durante le periodiche fasi di caricamento. Ma il «bariletto» è anche una specie di «rete di salvezza»: se si dovesse produrre un incidente nel «cuore» di Superphénix è soltanto nel recipiente ora fuori uso che gli elementi radioattivi di combustibile potrebbero essere messi al sicuro. Questo è il grande problema che, da ieri, cominciano ad ammettere apertamente anche i reponsabili della centrale e che la nuova fuga di sodio liquido ha ingiganti¬ to. Vediamo che cosa è successo e quali potrebbero essere i rischi immediati e futuri. La falla nel serbatoio si è prodotta l'8 marzo scorso: i tecnici di Superphénix hanno lavorato, da allora, in due direzioni. Localizzare l'origine della fuga e tentare di arrestarla. La localizzazione è avvenuta ai primi di aprile ed è stata già una doccia fredda sulle speranze di una rapida riparazione del danno: la falla, infatti, è proprio nel fondo del «bariletto». Qualsiasi intervento è impossibile senza l'estrazione del contenitore in acciaio (alto quasi dieci metri) dalla spessa «camicia» in cemento che lo racchiude e lo protegge. Il tentativo di arginare la fuga era riuscito il 15 aprile con un procedimento che aveva ulteriormente raffreddato il sodio liquido (già normalmente a una temperatura di —230 gradi) per renderlo meno fluido. Arrestata la perdita, le operazioni di riparazione sarebbero state più facili. Ma adesso il sodio liquido ha ripreso a colare nell'intercapedine tra le pareti in acciaio e la «camicia» di cemento. Questo non solo rende più urgente la ri¬ parazione ma — •teoricamente-, secondo i tecnici — aumenta il pericolo di un incendio dal momento che il sodio liquido è infiammabile se entra in contatto con l'ossigeno. Per ora tutto è sotto controllo: nell'intercapedine è stato iniettato gas argon per scongiurare la micidiale miscela tra ossigeno e sodio liquido. E' evidente, però, che il programma di riparazioni, già preparato in maggio, adesso non può subire rinvii. E' un programma in tappe diverse. Prima di tutto, dal «bariletto» debbono essere ritirate 16 barre di combustibile che saranno introdotte nel settore stoccaggio del «cuore» del reattore. Poi si dovranno pompare le 700 tonnellate di sodio liquido e soltanto allora si potrà smontare il serbatoio. La prima fase di questo lavoro comincerà tra pochi giorni: 1*8 luglio, sembra. E alla fine dell'estate il serbatoio sarà estratto dall'impianto. Ma che cosa succederà a Superphénix? Il nuovo direttore della centrale, Pierre Schmitt, che proprio oggi sostituirà per un •avvicendamento già programma¬ to- l'attuale direttore Gilbert Labat, ha un suo piano. Rimettere in funzione il reattore in autunno, sia pure a potenza ridotta. La garanzia di sicurezza sarebbe affidata al reparto di stoccaggio contenuto nel «cuore» del surgeneratore. Ma contro questa ipotesi non si sono dichiarati soltanto gli ecologisti: anche gli esperti del Servizio nazionale dell'energia nucleare sono quantomeno scettici. In caso di incidente grave, senza la «rete di salvezza» del serbatoio di servizio, gli effetti potrebbere essere catastrofici. La decisione, si diceva ieri a Creys-Malville, sarà presa in settembre. Ma la prospettiva di un arresto della centrale fino al completamento di tutte le riparazioni appare molto probabile. E per realizzare un nuovo «bariletto», rimontarlo e sottoporlo ai test di funzionamento occorreranno almeno due o tre anni, oltre a un costo di cento miliardi di lire. Per Superphénix, fiore all'occhiello del programma nucleare francese, potrebbe anche significare una condanna a morte. e. s.

Persone citate: Gilbert Labat, Pierre Schmitt

Luoghi citati: Parigi