Soldatini di piombo alla conquista del Messico di Giorgio Pestelli

Soldatini di piombo alla conquista del Messico Al Festival è approdato «Montezuma», rara opera di Gratin su libretto di Federico II Soldatini di piombo alla conquista del Messico SPOLETO — Dopo la foresta equatoriale del Parsifal, ecco i boschetti di pini, le siepi potate e i soldatini di piombo dell'opera settecentesca: proseguendo nel disseppellimento di rarità (che nelle ultime stagioni aveva avuto mano felice con La colombe di Gounod e L'Ivrogne corrige di Oluck) il trentesimo Festival ha riportato in scena il Montammo. (1755) di Cari Heinrich Graun su' un libretto in prosa di Federico n messo in versi italiani dal poeta di corte. Montezuma è citata con riguardo in tutte le storie dell'opera per una particolarità formale, la prevalenza di •cavatine» (cioè arie brevi senza ripetizioni) contro il modello solenne dell'aria tripartita col da capo; la tesi sottostante è che l'opera di Graun, scuotendo 11 gioco di formalismi e barocchismi, indicherebbe quella via della semplicità e aderenza alla natura cosi bene accetta nella seconda metà del secolo. Federico n, traendone la trama dall'A1zlre di Voltaire, nella conquista del Messico da parte degli spagnoli di Cortes intese rappresentare un contrasto paradigmatico fra europei civilizzati e frodolenti e selvaggi buoni e gabbati; è anche probabile che nella dabbenaggine di Montezuma, che butta le braccia al collo agli invasori per onorare la virtù dell'ospitalità, il grande Federico volesse illustrare il principio che un principe inerme è fonte di guai n regista Winf ried Bauerfelnd, con il conforto dello scenografo e costumista Martin Rupprecht, punta tutto sullo spettacolo, sul movimenta sull'interesse teatrale, manomettendo qua e là il testo: molti tagli. Cortes trasformato da soprano in baritono, accentuandone cosi l'enfasi rodomontesca, spagnoli che Irrompono dal fondo della sala e parlano fra loro in lingua madre, con lo stesso effetto che ci faceva, nei film di guerra di una volta, sentire soldati tedeschi e giapponesi taroccare nella loro lingua; inoltre, Federico Et si aggira garbatamente in scena, si sdoppia in Montezuma, accompagna sul flauto traverso la prima aria di Erissena. confidente della regina. Sui tagli (le arie più interessanti ci sono tutte) si può rimpiangere solo la soppressione di una scena corale centrale, forse resa impossibile dalle piccole dimensioni del Caio Melisso; e poi, a rno' di risarcimento, qualche aria viene cantata negli Intervalli, teatralizzati anche loro, fra il pubblico nel ridotto dapprima incredulo e poi divertito. Anche il direttore Hubert Soudant è solidale con l'im¬ postazione della scoperta teatralità: ha fatto un eccellente lavoro con la Rantos Collegium Chamber Orchestra (che viene dall'Australia), ottenendo linee chiare e dinamica scattante, tanto più difficile quanto più il tessuto musicale è scarno; si è poi fatto apprezzare per la prontezza con cui passava dagli spigoli taglienti e prussiani di Graun alla, flessuosa tenerezza dei lamenti:' che contengono forse le pagine più belle dell'opera, a cominciare dalla cavatina Ah dtnflessibil sorte cantata da Montezuma in carcere: qui il soprano Alexandre. Papadjakeu, cantando a mezza voce sul lieve pizzicato degli archi, ha reso palpabile il sogno dell'età aurea, toccando la punta più commovente della serata. Molto brava Jenny Drivala nella parte della regina, cui Oraun assegna un pirotecnico virtuosismo vocale; cosi come Jonathan Green, Penelope Lusi e Monique Baudouin, anch'essi Impegnati nelle loro brave colorature; Gloria Scalchi, Ni; ckolas Karousatos nelle altre parti, ' assieme a Jili Muti che è Federico II. Insomma, ad onta di qualche modernizzazione un po' radicale, lo spettacolo c'è; e 11 pubblico se n'è accorto manifestando convinto la sua simpatia. Giorgio Pestelli

Luoghi citati: Australia, Gratin, Intervalli, Messico