La presa del potere di Achille I di Ezio Mauro

■ ma ■ # Jft ■ ■ , Lei presa del potere di Achille I Una conquista fatta con il montaggio di vari «strati» ed eredità del partito ■ ma ■ # Jft ■ ■ , Lei presa del potere di Achille I La prima conquista è nel gruppo berlingueriano di Minucci, Angius, Pecchioli e Tato - Poi sono arrivati i vecchi amici della Fgci (Petruccioli, Ventura, Terzi) - Un sostegno anche dall'area della nostalgia ingraiana, con Bassolino e la Castellina - Infine i giovani colonnelli: Fassino, Luigi Colajanni, Veltroni DMA-Tre anni dopo, I ROMA — Tre anni dopo, nel pomeriggio di venerdì la congiura del caso, della curiosità, della liturgia comunista ha finalmente replicato in tutti i suol particolari 11 rito sontuoso dell'arrivo del Capo, che si ripeteva ogni pomeriggio alle quattro per il ritorno al partito di Enrico Berlinguer, e che dopo di lui era andato smarrito. Come allora, la radio comunista del servizio d'ordine ha spedito alle Botteghe Oscure 11 segnale che l'auto era all'ultimo ponte e stava arrivando; gli uomini della vigilanza, dopo tanti anni, sono tornati a schierarsi a guardia . sul portone; il branco nervoso dei cameramen e dei fotografi ha capito e si è appostato, finché la Ritmo del partito è arrivata, l'autista ha visto la calca e per ragioni di sicurezza ha puntato dritta sulla vetrata d'ingresso, come se volesse sfondarla, per frenare all'ultimo momento. I due battenti si sono aperti di colpo perché l'arrivo era atteso e Achille Occhetto. da solo, ha dovuto • attraversare sotto gli occhi di tutti quei dieci metri di partito che formavano 11 suo primo percorso pubblico da leader comunista. Lo ha fatto quasi di corsa, un po' sorpreso dai flash e uh po' innervosito dal curiosi, dimenticandosi persino di aprire la portiera alla moglie che viaggiava dietro di lui, senza saper bene cosa fare delle mani nel momento in cui veniva fissata dalle tivù la sua prima vera immagine da Capo. Poi se l'è infilate in tasca, con una timidezza berllngueriana, e davanti alle domande del cronisti si è stretto nelle spalle In un'abitudine nattiana. Ma la gente che lo ha seguito fino all'ascensore «nobile* del partito, non cercava somiglianze, prove di ereditarietà, certificati di discendenza. Semplicemente, voleva verificare di persona, con un'occhiata, se per Achille Occhetto si era finalmente aperto quel •baldacchino invisibile' sotto il quale camminano ancora in tutto il mondo (come ha scritto nel suo romanzo Manuel Vazquez Montalbàn) i segretari comunisti, e che per 11 pei era rimasto chiuso dal gior- no'' in cui è mòrto Berlinguer. "■' " I V. Chi' avesse potuto forzare -Mò sbarramento di "guàrdia. peOmnratscnslarcvinu•Aqmgvsdmd1mcscnnnndaMcspasmtsfctmbcqfdss per salire su, girare l'angolo e guardare, avrebbe trovato Occhetto con le spalle al muro di un corridoio comunista, per un attimo imbarazzato davanti a due vecchi amici che lo avevano fermato per gli auguri, e adesso stavano scherzando tra vaticinio e scaramanzia: •Avrai novanta voti contro: In risposta prima silenzio, poi un lampo: .A dire il vero, io spero di più.. E' una risposta in parte comoda, ma In gran parte vera. Perché nel momento in cui è uscito dalla zona minata riservata al Delfino (in un partito In cui o si sta sul •gradino in più,, che Giorgio Amendola riservava comunque al segretario, o nella nomenklatura si è uguali tra gli uguali) Occhetto ha rilevato di non poter raccogliere sul suo nome né l'unanimità dei voti né l'unità delle anime comuniste, ma ha anche dimostrato di avere in mano 11 comando del partito, o almeno la sua maggioranza; comunque la fetta più pesante del potere comunista. La presa del potere occhettlana non ha precedenti nella cronaca politica Italiana, perché non assomiglia né allo sfondamento mudano del Midas, né al concordato interdemocristlano che apri la strada a Ciriaco De Mita. Questa è piuttosto una conquista di strati comunisti, un assemblaggio di gruppi politici, un montaggio di apparati periferici, un dosaggio di eredità, investimenti, scommesse, consuetudini, convergenti nel sostegno all'uomo che per una fortuna generazionale e una crescita accorta si è fatto trovare al punto giusto nel momento in cui il pei aveva bisogno di inventarsi un capo nella leva successiva a quella che l'ha governato fino ad oggi, senza quel salto di generazione troppo brusco per le sue abitudini. ' " H primo' strato, il più 'massiccio,'è formato dal lascito berlinguerlano: una posizione politica, un'area, un sistema di relazioni e di riferimenti interni, in sostanza, un gruppo che chiedeva soltanto di essere riconosciuto, ricementato e riusato, dopo che aveva visto giorno dopo giorno consumarsi e appassire la sua Identità politica e di potere nella transizione nattiana e nel chiaroscuri del compromesso tra 11 segretario e Napolitano. Un blòcco che è scattato compatto all'appello di Natta nel nome di Occhetto (da Angius a Minucci, a Pecchioli, a Tato) e che anzi ha preparato l'operazione vicesegreteria, se bisogna credere alla destra Interna, che conside¬ ra Aldo Torto rella 11 gran regista occulto della sollevazione postelettorale di base: quella protesta che doveva spedire dalla periferia alle Botteghe Oscure — attraversando tutto il corpo del partito — l'attesa e la pretesa di un cambiamento, facendolo apparire ormai inevitabile. Poi c'è la complicità politica della vecchia Fgci. degli anni in cui Occhetto era segretario: un legame generazionale e culturale, fatto di ambizioni e di delusioni. In una sorta di fratellanza da terza liceo o da scuola ufficiali che ha legato insieme per anni fino ad oggi, con Occhetto, le storie diverse di Claudio Petruccioli, de) segretario toscano Quercini, di Michele Ventura, persino del «destro» Riccardo Terzi, che infatti nonostante la sollevazione riformista si è pronunciato a favore del vicesegretario. Quindi, ci sono i pezzi di nostalgia ingraiana vecchia e nuova, oggi che 11 passaggio dalla sinistra al centro di Occhetto non è più considerato un tradimento: l'amicizia stretta con Luciana Castellina, il legame solidissimo con uomini come l'ex segretario campano Bassolino e il segretario della Puglia, San tostasi. Poi c'è la piccola ma significativa forza di attrazione esercitata sulla de- stra del partito, fino a scheggiarla, portando sul nome di Occhetto (più che sulla sua politica) il consenso «incondizionato- di Giancarlo Pajetta, ti si di Nilde lotti, persino un nuovissimo dissenso rispettoso da parte del sacerdote storico della destra. Paolo Buf alini. Sótto questo strato di capi storici, si allarga il filone trasversale della generazione più giovane, cresciuta negli anni berlingueriani, silenziosa e timorosa nell'ultima fase incerta, in cui però proprio Occhetto — pur nelle cautele del suo ruolo difficile e delicato — ha funzionato da punto di riferimento magari sommerso ma costante, per Piero Fassino a Torino come per Luigi Colajanni a Palermo e per Walter Veltroni a Roma. Dietro i giovani, che sono ormai dei colonnelli con funzioni di comando, via via sono venuti rispondendo ad Occhetto pezzi di partito: la Sicilia, dove lui aveva lavorato da segretario e dove ha lasciato uomini suol come Michele Pigurelll; 11 Piemonte, tra Pecchioli e Fassino; il Veneto con De Piccoli; il Lazio che nell'ultimo «attivo» romano ha funzionato addirittura da capitale della polemica contro la destra comunista; l'Emilia difficile da conquistare: ma Occhetto l'ha viaggiata, studiata, blandita, ha tenuto proprio a Bologna 11 precongresso un anno fa, e alla fine persino un «destro» come Ouerzoni ha votato per lui. Infine, ci sono i punti d'appoggio sparsi sapientemente nel partito, a livelli diversi, da Veltroni alla guida dell'ufficio stampa a Fabio Mussi alla testa dell'Unità, per bilanciare Gerardo Chiaromonte, agli uomini che curano il coordinamento della segreteria, e che sono tutti occhettiani, cominciando dall'ex segretario del Veneto Ariemma per arrivare all'ex condirettore di Rina¬ scita Ottolenghi Restai scita Ottolenghi. Restano i rapporti politici e di consultazione con gli intellettuali di partito come Vacca, Badaloni e Luporini, i rapporti amichevoli e di frequentazione con 11 gruppo che va in vacanza a Capatolo come Asor Rosa, Bolaffi, Placido e Marramao. Resta, soprattutto, 11 rapporto con Alessandro Natta. Due uomini diversi nello stile, nel linguaggio e nelle abitudini, che continuano a chiamarsi per cognome ma che dopo la morte di Berlinguer si vedono ogni mattina, quando Occhetto entra nella stanza di Natta dopo che 11 rito della lettura dei giornali è terminato, e discute le informazioni politiche, le impressioni e le Idee che il segretario comunista si è appuntato sul suo diario di bordo. Solo una volta, due mesi fa. Natta ha parlato ad Occhetto della vicesegreteria come di uno sbocco che bisognava ormai «preparare». Poi silenzio, fino alla notizia comunicata all'interessato solo cinque minuti prima che la conoscessero gli altri membri della segreteria. Con questa scelta. Natta ha in realtà compiuto 11 primo compito che aveva assegnato a se stesso, quando il giorno della sua elezione annunciò a chi lo aveva votato che fin da quel momento avrebbe cominciato a preoccuparsi delia successione. Oggi, questo ruolo di precettore del Delfino è concluso, Occhetto più che un vice è un leader alla pari. Imprevista, ad attraversare gli strati su cui si è consolidata questa presa del potere, c'e soltanto la sommossa della destra, che non può erodere la solidità del comando occhettiano, ma può intaccare l'autorità della leadership, ripetendo a voce più o meno alta la raffigurazione pessimista dell'ultimo libro di Napoleone Colajanni, secondo cui il vero cemento, la vera base del consenso su cui Occhetto galleggia come e più di Berlinguer è «il settarismo, l'anima massimalista del partito». Dal fondo, partendo da qui, vien su la maledizione da oracolo comunista pronunciata mesi fa nel confronti del leader di domani da Antonello Trombadori: • Occhetto vicesegretario? Va bene, subito. Purché lo faccia avita.. Ezio Mauro