Banco di Napoli, 15 a giudizio

Banco di Napoli, 15 a giudizio Conclusa l'inchiesta sui 50 miliardi «regalati» a imprenditori Banco di Napoli, 15 a giudizio L'ex vicedirettore Di Somma sarà processato per peculato, corruzione e concussione -1 prestiti erano stati concessi a clienti non affidabili o sospettati di camorra NAPOLI — E' passato oltre un anno da quel 10 aprile dell'86, quando due finanzieri in borghese bussarono alla porta di casa di Raffaele Di Somma, ex vicedirettore generale del Banco di Napoli, per notificargli un man<dato di cattura. TOtfTarriesto del numero, due. del più grande istituto di credito del Mezzogiorno (e quinto in Italia, con i suol cinquecento sportelli), scoppiò un «bubbone» di cui molti, da tempo, conoscevano l'esistenza. Per almeno tre anni dall'80 all'83,11 Banco di Napoli aveva praticamente regalato oltre cinquanta miliardi ad imprenditori squattrinati, alcuni del quali in odore di camorra. Ieri, ad un anno e due mesi dalla clamorosa operazione di polizia, l'Inchiesta sullo scandalo del «fidi facili» 6 conclusa, il giudice istruttore del tribunale di Napoli Paolo Mancuso ha depositato la sentenza di rinvio a giudizio contro quindici tra industriali e funzionari del Banco. Raffaele Di Somma sarà processato per peculato, corruzione e concussione. Fu lui, so¬ stiene il magistrato, che trasformò l'istituto di credito in una sorta di «pozzo di San Patrizio» a disposizione di imprenditori di dubbia fama, come Domenico Di Maro, altro imputato. E proprio DI Maro, potente costruttore,'-proprietario dei viuaggiooirsMdenziSte •Città Giardino» di Marano, alle porte di Napoli, fu causa involontaria dell'apertura dell'inchiesta. Al magistrati che nell'84 gli chiesero conto dei suol rapporti con 11 clan mafioso del Nuvoletta e dell'origine delle sue ricchezze, l'Imprenditore rispose con candore: «£' vero, i soldi mi mancavano, ma il Banco di Napoli ebbe fiducia in me». Su quali elementi si fondava la fiducia dell'importante istituto di credito? Sul nulla, spiega 11 magistrato, 11 quale sostiene che Domenico Di Maro ha «scippato» al Banco ben 14 miliardi e mezzo sotto forma di prestiti concessi •nonostante il grave stato di illiquidità, del beneficiarlo. Un particolare, 11 fatto che il costruttore non fosse affidabile, che non poteva, non doveva sfuggire. L'inchiesta, estremamente complessa, andò avanti nonostante lunghe e furiose polemiche. Scavando negli archivi e analizzando complicate e tortuose operazioni bancarie, 1 finanzieri riuscirono a dipanare la matassa. Scoprirono ad esemplo che DI'Somnw attraverso 1 suoi ^eglUAeAiPggAi'Cofeiputatl Antonio Manlglio e Guido Samarelll (entrambi ex direttori della filiale di Napoli), Federico Conte, Giuseppe Lezzi, Vincenzo Monte e Antonio uiiano (rispettivamente responsabili del Banco a Caserta, a Foggia, ad Ortanova e a Nola), aveva concesso prestiti senza alcuna garanzia di restituzione ad altri cinque industriali. n più noto è senza dubbio il cavaliere del lavoro Giovanni Francesco Maggio, 58 anni, bresciano d'origine ma casertano d'elezione, il costruttore che negli Anni Settanta riuscì ad ottenere appalti per centinaia di miliardi dalla Cassa per 11 Mezzogiorno. Dal Banco di Napoli gestito da Di Somma il cavaliere del lavoro che per lungo tempo fu presidente degli industriali di Caserta ottenne, secondo il magi¬ strato, fidi per sette miliardi. Molto più del doppio (per la precisione 17 miliardi e mezzo), furono invece incassati da Vittorio Delle Donne, dinamico industriale foggiano del pomodoro, già accusato dai magistrati napoletani di avere Inviato partite, di . goflsfiptrato avariato )n Paei | si del Terzo Mondo. La sua Industria non valeva certo l'entità della cifra erogata dall'Istituto di credito partenopeo. Prestiti senza garanzia furono concessi anche a Vincenzo Prattichlzao, foggiano, Industriale del grano (2 miliardi e mezzo), a Giuseppe Cerciello, imprenditore napoletano (3 miliardi e mezzo), ad Antonio Bifolco, industriale conserviero (6 miliardi) e al padre di questi, Domenico, ex sindaco di Pagani, in provincia di Salerno. Nell'elenco degli imputati figura anche Maurizio Di Somma, figlio dell'ex vicedirettore del Banco di Napoli, n padre Raffaele dirottò nel suo ufficio di broker gli imprenditori, costringendoli a sottoscrivere numerose polizze assicurative. Fulvio MUone