Schlesinger: E se l'America si occupasse degli affari suoi?

Schlesinger: E se l'America si occupasse degli affari suoi? Dal Vietnam al Golfo, il parere del celebre storico Usa Schlesinger: E se l'America si occupasse degli affari suoi? Pubblichiamo i brani salienti di questa opinione di Arthur Schlesinger, storico ed ex consigliere del presidente Kennedy, sulla politica americana nel Golfo Persico. L'impegno del presidente Reagan a «proteggere il flusso del petrolio nel mondo libero» aumentando la nostra presenza navale nel Golfo Persico sembra tradire una voglia matta di buttarci in un intervento militare. Ed è anche l'ultima manifestazione dell'idea fasulla alla quale tutte le superpotenze finiscono per cedere: che sappiamo quali siano gli interessi degli altri Paesi più di loro. Perché sinora, come noto, nessuno dei nostri principali amici ed alleati è favorevole alla linea che l'Amministrazione Usa tenta di portare avanti. L'Europa occidentale e il Giappone dipendono ben più degli Stati Uniti dal petrolio che passa per lo Stretto di Hormuz, ma hanno fermamente rifiutato di seguire l'avventurismo alla Rambo del presidente Reagan, anche se noi sosteniamo di farlo per il loro bene. Non si può neppure dare per scontato che i governi arabi siano entusiasti di fronte alla prospettiva di rilanciare la partita militare nella regione. Eppure noi andiamo avanti, nella sovrana presunzione di capire i problemi meglio dei Paesi più direttamente interessati, più direttamente minacciati e più pratici della situazione. Tutto questo è già accadu¬ to, ed è sempre finito in un disastro. L'esempio più tragico è stato il Vietnam, dove l'intervento americano intendeva salvare il Sud-Est asiatico dall'ascesa dei comunisti al potere. Trattandosi di una missione altruistica, il presidente Lyndon Johnson non riuscì a capire perché gli altri membri dell'Organizzazione del Trattato del SudEst Asiatico (Sfato) non mandassero più soldati in Vietnam per aiutare gli americani a salvare i loro Paesi. E nel 1967 inviò in missione Clark Clifford per convicere i governi della Seato ad aumentare la loro collaborazione militare. Viaggiando di capitale in capitale, Clifford non impiegò molto ad accorgersi del fatto che i governi della Scaio non vedevano la guerra del Vietnam con gli stessi occhi di Washington. Non condividevano la valutazione americana del rischio, o delle conseguenze da «gioco del domino» di una vittoria del Vietnam del Nord, e non si sognavano neppure di mandare altri loro ragazzi a farsi uccidere in Vietnam. Clifford giunse alla conclusione che se i Paesi che conoscevano la situazione da vicino non vedevano rischi terrificanti nell'esito di una guerra civile in Vietnam, perché diavolo l'America doveva impegolarsi in modo cosi pesante? Ci rendevamo conto di ciò che stavamo facendo? Decise che non ce ne rendevamo conto, e l'anno successivo, quando divenne segretario alla Difesa, fece del suo meglio per pone fine al coinvolgimento Usa. Il Centroamerica è un altro esempio delle idee fasulle che una superpotenza può avere. La nostra linea di intervento militare si propone di salvare gli altri Paesi dai biechi sandinisti. Ma la maggior parte dei governi latinoamericani ritengono che la nostra politica di militarizzazione del problema esasperi la disperazione e il caos, e abbia probabilità maggiori di favorire, invece che di fermare, il dilagare del marxismo rivoluzionario. Un altro esempio é stato il Libano; e la strage dei marines avrebbe dovuto insegnarci una volta per tutte quanto sia pericoloso intrometterci nel Medio Oriente, una parte del mondo con la quale abbiamo avuto rapporti ben minori che con il Sud America, e che conosciamo molto meno; una parte del mondo, poi, cosi dilaniata da odi storici e religiosi da sfuggire non soltanto alla gestione, ma anche alla comprensione occidentale. In Libano non avevamo la minima idea del pasticcio nel quale ci saremmo messi; e ora, levando il vessillo dell'irriducibile ignoranza, sembriamo sul punto di gettarci allegramente, a capofitto, in quel pasticcio ben più grosso che è il Golfo Persico. Le ultime stramberie dell'Amministrazione Reagan dimostrano sino a che punto non sappiamo ciò che stiamo facendo. L'Iraq ha attaccato una fregata americana, uccidendo 37 marinai. Peggio ancora: nell'84 é stato l'Iraq a inaugurare la tattica di attaccare le navi nel Golfo, provocando cosi le rappresaglie iraniane. Negli ultimi due anni, l'Iraq ha colpito il 50% di navi in più rispetto all'Iran. Eppure l'Amministrazione Reagan, invece di prendersela con il responsabile, premia l'Iraq per l'attacco contro la Stark, distillando tutto il suo veleno e le sue minacce di rappresaglia per l'Iran, che é poi il Paese al quale solo poco tempo fa il nostro Presidente vendeva armi, adducendone la superiore importanza geopolitica. Possiamo soltanto supporre che la nuova linea voglia punire gli iraniani per avere cacciato in tutti quei guai il tenente colonnello Oliver North (e il presidente Reagan). Viene regolarmente brandita la prospettiva che il Golfo Persico possa diventare un «lago sovietico», ma è evidente che una maggior presenza dell'Urss farebbe più che mai di questo Paese l'oggetto dei timori arabi e dell'ira iraniana. Dunque, ci risiamo. Che cosa diavolo crediamo di fare? Quale diritto ci dà l'esperienza per supporre di conoscere gli interessi degli altri Paesi più di loro? Smettiamola con queste idee fasulle da superpotenza, prima che ci costino altre vite, la nostra influenza e la nostra credibilità. Arthur Schlesinger Copyright «New York Times» e per l'Italia «La Stampa»

Persone citate: Arthur Schlesinger, Clark Clifford, Kennedy, Lyndon Johnson, Oliver North, Stark