Mitteleuropa, caro vascello fantasma

Mitteleuropa, caro vascello fantasma VIAGGIO IN AUSTRIA, L'EX «CUORE D'EUROPA» AVVILITO DAL CASO WALDHEIM Mitteleuropa, caro vascello fantasma | D cancelliere Vranitzky: «Lo scandalo presidenziale ci sospinge verso l'Urss e per questo dobbiamo aprire alla Cee» - Ma solo gli industriali chiedono j la piena adesione - In un'ambigua danza con la Germania, l'Austria resuscita il mito Centro Europa - «Non è sogno tedesco di potenza», assicura il I vicesindaco di Vienna, Busek - Il regista Corti: «Non dimentichiamo però che sono stati due austriaci a marcare il XX Secolo: Hitler e Freud» I DAL NOSTRO INVIATO VIENNA — Ultimamente Vienna sogna di nuovo di essere Centro di qualcosa. Possibilmente di quella meticcia regione che si chiamava Impero Asburgico, e albergava cittadini ungheresi, cecoslovacchi e italiani, romeni o polacchi, e tanti ebrei. Al sogno vien dato il nome di Centro Europa: nome dotato di magici poteri, giacché gli animi si infiammano nobilmente quando lo pronunciano. Mitteleuropa ha infatti il vantaggio di promettere molto, anche se mantiene assai poco. E di permettere parecchi regolamenti dei conti, di antica oltre che ambigua natura. Promette in primo luogo una patria ritrovata ancorché fittizia, un destino austriaco meno periferico, incolore, non marcato dal mediocre volto di Waldheim. E permette una strana danza con la Germania Federale, Paese dove Mitteleuropa esercita ormai un fascino non meno potente. Danza di seduzione e repulsione al tempo stesso, come d'altronde è sempre stato il balletto fra Vienna e Berlino, fra Austria e Prussia. Terra-madre Gli austriaci insistono come possono sulla diversità del loro mito centro-europeo. Dicono che si apparenta più a quello ungherese, o praghese e triestino, che alla tentazione tedesca, «fortemente politica», di essere ancora una volta popolo di mezzo, Voli der Mute, desideroso di allontanarsi dall'Occidente per meglio «avvicinarsi a Est, via Germania Orientale. Così almeno sostengono i patiti viennesi del Centro Europa, tra cui Erhard Busek, vicesjnd^j^,^ Vienna e" dirigente gel. partito popolare. hi" patte hanno -ragione? pache Vienna è meno antiamericana, più filofrancese della Germania. Ma è significativo che il Centro Europa sia vissuto in entrambe le nazioni come foga da una sgradita realtà. Còme patria per l'appunto, nel senso tedesco di Mutterland, di terra-madre accogliente, Comunità di lingua e di cultura: contrapposta alla più arcigna e virile terra paterna, al Valeriana che ti chiede sacrifici, scelte. A Vienna come a Berlino, Mitteleuropa fa irresistibilmente pensare al Rex di Felli ni: al luminescente bastimento fantasma che senza apparente ragione fa sosta al largo di Rimini per procurare impietriti stupori, e brividi di grandezza. Del Rex non si sa da dove venga, né dove vada. Si sa solo che dentro le sue cabine la vita deve essere lussuosa, differente. Amarcord: che bello struggasi nel ricordo di quel che eravamo prima del grande trauma. Prima di perdere il Centro e di imbruttirci. In altre parole, ce parecchio odio di se stessi in questa fissazione ammaliata sul Rex centro-europeo. Ci disprezzo per quel che l'Austria è diventata: frammento vagante del mondo tedesco, orfano di luogo o — come usa dire oggi, con soporifera frequenza — di Identità. Appartenente a un mondo occidentale che non seduce quasi più pache l'Occidente e purtroppo scommessa politica e non solo cultura, carne e non solo spirito, società complessa e non solo Comunità pastorale. Questo odio di se stessi è così simile a quello che serpeggia nella Repubblica Federale, e che fa sì che la Germania comunista appaia a molti contestatori tedeschi più vera di quella capitalista, più autentica, incontaminata, anti-tecnologica e... esteticamente accettabile. In Austria i toni sono più lucidi, meno rancorasi, non fosse altro pache l'Austria è già Paese neutrale, almeno sulla carta non svolge le funzioni di avamposto e agnello sacrificale dell'Occidente come Bonn-Balino. E pache il legame con il dissenso Est-europeo è più forte Ma anche qui Mitteleuropa è vista con colori più belli e attraenti dell'Europa dell'Ovest, e in particolar rt^^^un!& friJrr1?., «Uss^ AQcjit .qui. _l!OcactaKc4 -appare una nozione dove tutte1 le passioni si spengono: «Ora gli austriaci sono talmente umiliati dallo scandalo Waldheim che tendono penino a dimenticare quel che ha fatto la grandezza dell'Austria nel dopoguerra, mi dice un intellettuale a Vienna, e cioè Usuo essere Paese-rifugio, il più coraggioso ospite di profughi in Occidente». Sapersi nazioni piccole, vinte dalla storia, è infinitamente più elettrizzante, consolante. Tanto più che lo ha detto — a proposito del Centro Europa — un incorruttibile, il cecoslo- vacco Milan Kundera. A Vienna però lo dicono gli uomini di Waldheim. «Ricorda il detto cinese?», quasi mi bisbiglia lo storico Skalnik, consigliere del Presidente. «E' maledizione vivere in tempi interessanti». Non pochi responsabili austriaci, tuttavia, sentono che dal malessere odierno non si può uscire alla maniera degli struzzi. Il cancelliere Vranitzky, socialista, che mi riceve in un ufficio del Parlamen¬ to, sostiene: «E vero che lo scandalo Waldheim à ha messi in una situazione sgradevole, molto faticosa per noi. Mantenere la linea classica, che è quella di un Paese neutrale ma ancorato a Occidente, diventa un po' più difficile: i rapporti con l'America sono disturbati, mentre quelli con Urss e Patto di Varsavia sono addirittura idilliaci. Questo pud creare, lo ammetto, fastidiosi malintesi». Vranitzky, mi hanno assicurato, è un «fautore convinto» dell'apertura austriaca all'Europa comunitaria. Dunque di un ancoraggio più vincolante a Ovest di quanto il cancelliae Kreisky seppe e volle attuare negli Anni Settanta, quando Vienna si esercitava nelle gesticolanti mediazioni fra Est e Ovest, fra Europa e Arafàt, fra Europa e Gheddafi. Ma Vranitzky fa il pesce in barile, è uno di quegli uomini politici (ricorrenti in Europa occidentale) che non amano alzaisi dalla poltrona del passa¬ to prossimo ptt aprire le porte del presente, che vorrebbao presentarsi agli appelli restando accovacciati. Ragion per cui auspica un prudenti ssimo accostamento alla Cee: «Questo solo vogliamo: non perdere il treno del Mercato unico previsto per il 1992». Con uno sguardo d'intesa, il Cancelliae mi fa capire che, anche se volesse, Vienna non potrebbe osare più che un avvicinamento economico: non solo gli austriaci, anche i soviaici sono irrimediabilmente affezionati al suo statuto di neutralità. Ai suoi (preziosi margini di gioco». Irrimediabilmente? A sentire i dirigenti industriali, non si direbbe che l'Austria sia condannata a restare fuori dalla Cee. Mosca certo non gradirebbe, ma l'Armata Rossa che si sappia non è ancora a Vienna. Il 28 maggio, la Confindustria è uscita allo scoperto, con un memorandum di 50 pagine, e ha consigliato la tempestiva e piena adesione alla Comunità: «Per ragioni politiche, perché la nostra reputazione internazionale è intaccata». Fra le righe lascia intendere che anche Waldheim si è troppo divertito a oscillare, quando era Segretario generale all'Onu. Che la dispettosa reazione americana non è caduta dal cielo. Quanto ai (preziosi margini di gioco», ogni dubbio è lecito alla luce (sinistra) del caso Waldheim. Non sono praticamente ridotti a zoo, cancelliere Vranitzky? Oppure la Cee vi intimorisce pache vi irretì rebbe nelle discussioni sulla difésa europea? Vranitzky conferma alcuni miei sospetti : proposito di sotterranee somi glianze fra Repubblica Federale, Germania Orientale, Austria; si dichiara «ardente soste- p, nitore di un'Europa denucleariz"iaìa,e àm-hMtrWsP™* ^p^.t^^s^^^^U-cmfronto Est-Ovest, a cominciare dal territorio tedesco». Ecco dunque che fa capolino il bastimento tanto amato: Mitteleuropa, owtto miraggio del Centro Europa ricucito spiritualmente e pacificato politicamente. «Non progetto politico, corregge però il vicesindaco Busek, ma sentimento, voglia di con venazione. 0 meglio: patria, nostalgia. 1 popoli hanno pur diritto di sognare.'». Ma soprattutto — almeno pa lui — strumento pa distinguasi dalla torbida Germania: «Il Cen- rne Europa propagandato in Repubblica Federale è intriso di vecchie ambizioni imperialiste, insiste Busek, le stesse che condussero aWannientamento degli ebrei». Oppure: «Considerato quel che hanno fatto nel Ventesimo Secolo, i tedeschi che cercano il Centro perduto rappresentano una ipoteca sull'Europa. Ben altra cosa è quando un cecoslovacco o un polacco o un austriaco sottolineano la loro comune identità». Con il che Vienna è miracolosamente discolpata, può definitivamente espellac la radice austriaca del nazionalsocialismo. In psicoanalisi questo procedimento si chiama rimozione. Nel linguaggio comune escamotage, illusionismo pa eludae i fatti. Ambiguità Eppure personaggi come Busek sono uomini d'onore. Dicono che riscoprire il Centro Europa non è disfarsi delle proprie storiche responsabilità: e (pensare assieme a cecoslovacchi, ungheresi e polacchi, una risposta alla tentazione pacifista», è ((sprovincializzare l'Austria». Non pa questo le ambiguità svaniscono: «La Mitteleuropa sognata a Vienna è troppo lirica, troppo derivata dal romanticismo politico per non essere tedesca», afferma Werner Weidenfeld, storico di Magonza. Che cosa significa nella democratica Austria il concetto tanto in voga di Anti-Polifica, usato dai dissidenti dell'impero sovietico pa denunciare l'assassinio della politica perpetrato dai governanti dell'Est? L'espulsione della Gcr mania, insomma, non solo t un escamotage, inquina ogni ragionamento. «E' l'Austria di Al«i/7 che bisogna resuscitare», .prosegue. jBusjk,, un'Austria xhe a differenza della Gcrma•nia «non ha -carattereperché impregnata di influenze così disparate, culturali e di razza». L'unico guaio è che quest'Austria non esiste più, adesso deve avere un carattere. Le culture e i Paesi che la alimentarono sono agonizzanti oltre cortina, gli ebrei annientati. E l'Austria di Musil è stata distrutta anche dagli austriaci, non solo dagli «occupanti tedeschi». Axcl Corti, regista del film Welcome in Vienna, si indigna: «Voglio davvero saperne di più della mia patria, poiché non è affatto un caso che siano stati due austriaci a marcare tanto questo secolo, a ferirlo e rimetterlo in questione così radicalmente: Hitler, il mostro che negava la razza umana; e Freud, il medico che esigeva tanto dall'uomo per la sua guarigione. Voglio capire come mai noi austriaci siamo così crudeli e al tempo stesso così compiacenti. Così dilaniati dalle arti, e votati alla morte e all'autodistruzione». Resta da capire, per concludae, se Mitteleuropa debba intendasi come un varare, una grandezza caratterizzata da una direzione. E quale sia questa direzione. Se conduca vaso l'Europa occidentale, oppure vaso quel Centro di un'Europa «alternativa» che Gorbaciov ha esaltato recentemente a Praga. In tal caso nel mito centro-europeo dell'Austria c'è molta megalomania, e molta rassegnazione. Megalomania, pache Vienna non può riunire quel che Mosca vuol tenae diviso. E rassegnazione, pache l'Occidente è considaato in qualche modo spacciato, vinto culturalmente e moralmente. Il politologo francese Pierre Hassna non si stanca di sottolineare il paradosso della presente situazione: di quest'Europa che pa cosiddetti motivi morali prende le distanze dalla più moralistica delle due superpotenze, quella starunitense, e si avvicina all'Urss, ma con slogan amaicani. A Vienna, il sociologo e storico del¬ l'arte Rcinhold Knoll non mi dice cose differenti: «L'Europa germanica si lascia attrarre dalla Russia esattamente come è avvenuto durante l'era post napoleonica, quando i moti antifrancesi degli studenti tedeschi, nel 1822 e 1830, furono finanziati e sfruttati dallo zar Alessandro pur essendo, nella sostanza, intrisi di parole d'ordine franasi». Nel magma del Centro Europa si dissolve, intanto, la voce di austriaci che dawao furono aedi dell'Impao, pa vocazione politica oltre che spirituale. La voce di Mancs Sperbcr, pa esempio, il filosofo morto a Parigi nell'84. Ecco cosa scriveva nel Wiener Journal cinque anni fa: «Il problema è di sapere se l'Europa tornerà ad essere seduttrice, come lo fu non senza buone ragioni sino all'inizio del XX Secolo. Oppure se continuerà a essere sedotta dal primo che passa. Se vuol essere di nuovo grande, le vie di mezzo non sono possibili: è superpotenza che deve diventare. Superpotenza pericolosa». Tra l'Austria e Manes Spaba, tra l'Austria e Robert Musil, la corrente non passa quasi più. Passa nei sogni, ma i sogni politici del Coltro Europa non sono mai stati del tutto rosei. In Germania, come in Austria, sono spesso diventati incubi. Barbara Spinelli (FINE I precedenti articoli sono stati pubblicati il 9 e il 14 giugno). a ù n è i e i i r ?, m ;cinèfruv ranni fi , a anraagm——'cns* m ;cinèfruvranni fi, a anraagmcns. Vienna. Giochi all'ombra del Municipio (Foto G. Neri). Accanto al titolo, a sinistra Hitler, a destra Freud:-«Non è affatto un easoehesiano rt«ti-di^-tM>st«a>a »m'arcareXanto.questo sefala