II poeta riscopre l'ottimismo

II poeta riscopre l'ottimismo II poeta riscopre l'ottimismo Eloisa e altri tocchi di classico DAL NOSTRO INVIATO MILANO — Con una sorta di carica dei centocinquanta si è chiusa in gloria ieri sera, alla Rotonda della Besana, la quinta edizione di «Milano-Poesia», festival internazionale di poesia, musica, danza, teatro, performance e video. La festa della poesia che ha costituito una novità del festival (oltre all'inedita partecipazione di tre poeti sovietici), ha messo insieme — in una concelebrazione finale tradotta in una sarabanda di interventi d'ogni genere, dal minlconcerto a fulminei esempi di morfc in progress — i superstiti dell'ottantina di autori-attori che si sono alternati sul palco della Besana in sette serate, e 115 colleglli, o complici, operanti sulla piazza di Milano. Quella che potrebbe apparire un'operazione culturale per pochi intimi ha trovato invece, nella formula adottata per «Milano-Poesia» dagli organizzatori (la Cooperativa Intrapresa, l'Ente «Milano Suono» e la rivista Alfabeta, nelle persone di Mario Giusti, Antonio Porta, Giovanni Raboni e Gianni Sassi); la chiave per un successo al di là delle aspettative: una media di sei-settecento spettatori ogni sera, distratti solo a tratti dall'accattivante Cafè Portnoy di Antonio Piccinardi. Quale la formula vitale, all'insegna dell'«ottimismo della poesia- o, prendendo a prestito versi di Marinetti, dell' «immaginazione senza fili-, delle «somme di vibrazioni-f La «multimedialità» del festival, da un lato: acco- II manifesto di Milano-poesmunare e far interagire, cioè, linguaggi artistici ed espressivi molto differenti tra loro eppur confluenti in una stessa direzione culturale, talora di alta godibilità spettacolare talora meno, ma sempre stimolante. Il porre l'uno accanto all'altro, in un a volte irriverente potpourri, personaggi agli antipodi per età, categoria artistica, formazione. I nomi? Ecco Giovanni Giudici, Roberto Senesi, Francesco Leonetti, con gli ex «Novissimi» Nanni Balestrini ed Elio Pagliarani (e doveva esserci anche Edoardo Sanguineti), il greco Nanos Valaoritis, lo spagnolo José Agustin Goytìsolo, il Joe Jones cofondatore (con Georges Maciunas) del movimento Fluxus, e l'eccezionale sassofonista americano Steve Lacy. C'è il poeta sudafricano ia, il festival chiuso ieri sera Breyten Breytenbach, un bianco che ha pagato con sette a*ini di carcere l'opposizione a\Yapartheid imposta dal regime razzista di Pretoria. Reduce da Lupo solitario ecco David Riondino continuare la sua propedeutica pseudosocratica irridendo Milano, descritta in un'atmosfera post-Cernobil con una satira pungente e azzeccata. Si esibiscono Maurizio Cucchi e Valentino Zeichen, mentre buffoneggia un po' Guido Oldani e si propongono i giovani del «progetto forma» di Raboni: Patrizia Valduga, Riccardo Held, Giancarlo Pavanello. Gabriele Frasca, Bianca Tarozzi. E i sovietici? Eccoli, Rimma Kazakova, Maris Ciaklais e il capodelegazione Vladimir Sokolov, segretario dell'Unione scrittori di Mosca. Leggono nella loro lingua sorprendentemente musicale, preceduti dall'interprete, versi che esprimono sentimenti e sensazioni, nostalgie e speranze: non c'è traccia di «sperimentalismo», di «provocazione», il pubblico di giovani applaude con calore ugualmente. Sokolov, 59 anni, nato nella regione di Kalinin, accetta sorridendo l'intervista, fumando una dopo l'altra aspre sigarette russe: «Come mi trovo in un festival dedicato soprattutto alla poesia d'avanguardia? Ma l'avanguardia è già storia, io mi considero un poeta d'avanguardia... ». Conferma i mutamenti portati da Gorbaciov anche negli ambienti letterari? «Certo. E sono cambiamenti rivoluzionari. Si pubblicano opere moderne che prima non si osava neppure proporre agli editori. E si dònno alle stampe testi degli Anni 30 e 40 rimasti finora nei cassetti: del Dottor Zivago di Pasternak si è già parlato in Occidente, ma ora saranno pubblicati anche romanzi un tempo all'indice come Cuore di cane di Bulgakov e Lo scavo di Andrej Platonov, costretto negli ultimi anni di vita a fare lo spazzino per vivere. Ora non accadrebbe-. Ci sono ancora gruppi legati alla vecchia leadership letteraria, nostalgici dei tempi di Breznev? «51, anche se a parole si dichiarano, naturalmente, per la glasnost e la perestroika». Quali i poeti italiani che apprezza di più? «Leopardi e Ungaretti. Fra i moderni? Sanguineti, no?-. Maurizio Spatola Ci sono libri che accompagnano, pagine che ognuno si porta dietro perché vi ritrova una parte di sé. Una specie di valigia personale, senza etichette e senza adesivi: i giudizi dei critici, gli schemi e le interpretazioni letterarie sono rigorosamente lasciati fuori, il rapporto fra l'io e il libro resta personalissimo e misterioso, un colloquio con la pagina nel tepore dell'io che diventa anche riflessione su di sé e il mondo. Madame Bovary e Robinson Crusoe, Don Chisciotte e Lord Jim. Ognuno ha i suoi libri e le sue compagnie, le sue atmosfere e le incursioni nelle lande dell'immaginario. E ognuno ha i suoi classici. Un tocco di classico è il titolo di un'antologia pubblicata in questi giorni da Sellerio. che raccoglie una serie di articoli usciti l'estate scorsa sul Manifesto. Una trentina di piccoli saggi, accompagnati da una raccolta di brevi profili, che nelle ultime pagine mettono in luce autori e romanzi di cui si parla. Sono classici riletti e ripresentati in chiave di attualità: «Come se fossero usciti ora. Un gioco culturale per l'estate, il più divertente che ricordiamo-, scrivono i curatori del volume. Sul Decameron Regole? Nessuna. Successioni cronologiche? Neanche. L'unico criterio dell'antologia è -l'arbitrio che regola la simpatia verso il personaggio-. E infatti al saggio su Erodoto segue quello sul Decameron, alla Chanson de \ Roland il saggio su Moby Dick. Qual è allora il segreto della raccolta? Di essere una valigia con biancheria disparata: camicie fintamente casual ma eleganti, profumo di quell'intellettualismo chic cosi caro ad alcuni degli intellettuali che scrivono sul Manifesto: ma anche abiti pratici, robusti, fra i quali il lettore troverà di certo colori e taglie adatti a riconsiderare in modo stimolante i classici .riletti» sull'antologia. C'è parecchia roba in questa valigia. E ognuno vi scoprirà i personaggi della letteratura che ha amato o lo hanno tradito, gli scrittori che gli hanno parlato e fatto compagnia, e metterà a confronto il suo filtro di lettura con quello degli autori dei saggi. Potrà forse esprimere perplessità davanti alla rilettura piuttosto macchinosa che Nadia Fubini fa di Madame Bovary, ma non potrà non lasciarsi incuriosire dalle osservazioni di Remo Ceserani sugli ambienti-simbolo (la scuola, la chiesa, il giardino di palazzo della nuova classe borghese), del Decameron. Nel cammino lungo le pagine dell'antologia ci sarà tempo per la sosta. Chi è Robinson Crusoe? Un naufrago quasi involontario che in quell'isola di solitudine si inventa il mondo e interroga la Provvidenza, o l'uomo che, come scrive Alfonso M. Iacono, «esiste in quanto possiede?-. E' il «perfetto utilitarista che considera gli altri come mezzi da usare o annientare- o non è quel giovane conquistato dalla voglia di viaggi e avventure che proprio sull'isola diventa borghese suo malgrado, veste i panni di quell'uomo calcolatore, ma anche metodico e modesto che aveva sempre rifiutato di essere? I classici sono miniere da scavare. Tanti filoni, e ogni cercatore d'oro ha le sue chiavi di lettura. Rossana Rossanda ha scelto «due libri sull'amore inquietante-: la corrispondenza di Abelardo e Eloisa, e una novella di Tolstoj, La felicità domestica. Tolstoj giovane «Due testi che non circolano molto. L'uno, la corrispondenza, mi restituiva un'immagine femminile, quella di Eloisa, molto forte, molto poco tradizionale come donna afflitta e vilipesa: un'immagine amorosa e non dipendente. Dall'altra parte mi divertiva indicare un Tolstoj giovane, che per un'unica volta nella sua vita, credo, scrive mettendosi nei panni di una giovane donna, ma poi, subito dopo, se ne vergogna. Questi due testi sono stati per me una scelta dettata dal gusto della lettura, ma anche dalla possibilità che offrivano di dimostrare come sono state immaginate e raccontate le figure femminili-. E nel suo breve saggio, partendo da Tolstoj e Eloisa, Rossanda scrive: «Forse dovremmo noi donne di oggi, guardare con attenzione a quel che gli uomini hanno pensato e scritto di noi. Conosco librerie nelle quali il testo d'un uomo non entra. E non so quanto sia un modo di affermare noi stesse, simbolo, o negazione dell'altro. impoverìmen to-. Anche Luciano Canfora, professore di filologia greca e latina all'Università di Bari ha scelto due classici: Erodoto e Aristotele; lo storico greco del quinto secolo avanti Cristo che racconta il mondo persiano a lui lontanissimo; e il filosofo per eccellenza, ideale protagonista del capitolo conclusivo dell'antologia «riletto» attraverso la storia avventurosa delle vicende patite dai suoi libri. «Che cosa fa Erodoto? Compie l'operazione di avvicinare a sé un mondo remoto. Raffigura una storia cruciale e importantissima del mondo persiano, la caduta dell'usurpatore, la fine di Cambise e l'assunzione al potere di Dario, immaginando che il processo si risolva, soprattutto nella parte conclusiva, attraverso un dibattito di tipo politico caratteristico della democrazia ateniese. Clie cosa compie Erodoto con questa scelta? Una forzatura fra lontano e vicino. Fa parlare come se fossero polìtici ateniesi, i notabili persiani, dal cui dibattito emerge l'affermazione di Dario. In ciò ho visto una situazione del tutto analoga alla nostra: far parlare oggi con problematiche nostre i lontani classici-. Erodoto il magnanimo, che giudica gli acerrimi nemici persiani con generosità. Erodoto il saggio, per il quale la presunzione che acceca è il pericolo numero uno, la ùbris come la chiamavano i greci, che spinge l'uomo a identificare come prodotto della propria forza ciò che invece è capriccio degli dei. Mauro Anselmo

Luoghi citati: Milano, Mosca, Pretoria