E sui tasti di Tyner corre la storia del jazz
E sui tasti di Tyner corre la storia del jazz Il grande pianista a Torino in un memorabile concerto con Sharpe al basso e Hayes alla batteria E sui tasti di Tyner corre la storia del jazz TORINO — Ancora jazz a Torino, un altro appuntamento azzeccato con un pubblico che riesce a colmare il «Big» e applaude, ammirato, un altro gigante del Jazz, McCoy Tyner, 11 quarto asso di un poker che nelle ultime settimane, con Barbieri, Blakey e Baker, ha tenuto banco In questa fine di primavera. Accadeva l'altra sera, una sorta di anticipo sul fastoso programma dei prossimi Punti verdi, i «Punti Jazz» quest'anno (con Hancock, Gordon, i Manhattan, Vaughan, Puente e B.B. King). Folto il pubblico in chiusura di una stagione che ha visto (con gli auspici dell' Alca) 11 Jazz protagonista a Torino con i grandi nómi a sostegno di un'attività presente settimanalmente con i migliori solisti nazionali. McCoy Tyner è probabilmente il massimo pianista vivente (nel mondo del Jazz). C'erano tutti ad ascoltarlo. Tra 11 pubblico abbiamo visto il pianista Mario Rusca, 11 trombettista Flavio Boltro, il bassista Furio Di Castri. Solista ma anche autore di un proprio mondo, imprescindibile se vogliamo dall'esperienza coltranlana, Tyner esprime un Jazz molto moderno nel suoni ma assai compenetrato nella tradizione afroamericana C'è In Italia un musicista come Luigi Bonafede (11 miglior pianista Italiano) che ha passato metà della sua esistenza ad ascoltare questo Jazzista. CI sarà un motivo. In effetti Tyner aveva esordito in sordina. Poi divenne celebre come «accompagnatore» di Coltrane. Tentò la strada del solista, ma con scarso successo: la crìtica stentava a eliminare l'Ingombrante fantasma coltranlano ogni volta che doveva esprìmersi su McCoy. Cosicché questo geniale artista ha fatto per anni la figura del gregario mentre gli compete 11 ruolo di protagonista. E che protagonista. Il fatto è che è difficile catalogare McCoy Tyner: l'uomo esce dagli schemi, ha una sua personalità assoluta, non rassomiglia a nessun altro pianista. Ha inventato uno stile che non ha niente in comune con ciò che hanno fatto gli altri «modallsti» della sua stessa generazione o di quella successiva. Non Imita nessuno. Per questo la crìtica si è sempre trovata disarmata nei suoi confronti e talvolta ha preferito evitare l'ostacolo tacendo. Molto male perché Tyner non è solamente il primo e unico pianista di Jazz ad avere ca¬ pito che cosa stava Inventando Coltrane alla fine degli Anni Cinquanta ma ha, in seguito, trovato egli stesso un modo per portare avanti quel discorso. Un discorso assai vasto che — a nostro avviso — tende anche a ricapitolare tutta la storia del Jazz, sfuggendo alle etichette ma cercando nell'africanismo (da Ellington a LeRoy Jones) un punto fermo per fronteggiare la situazione attuale: e cioè difendersi dagli yuppies (1 Marsalis, 1 Brecker, 1 Corea, gli Hancock) e dai geni onnipotenti (Miles Davis). Autore di un ampio •book», Tyner ha svolto un programma molto elastico nel quale il passato classico (Monk, Basie) si alternava all'originalità di un repertorio personale. Su quella tastiera scorre la storia del Jazz (anche Fats Waller, se vogliamo) con un'Intensità che coinvolge tutto l'uditorio. A dare man forte a tale autentico mostro sacro c'erano il bassista Avery Sharpe (eccellente anche come solista ricco di idee e di trovate) e il batterista Louis Hayes. Hayes aveva fatto parlare di sé ai tempi del suo esordio (1959) quando suonava con Horace Silver. Era un buon allievo di Max Roach. Ora (ha 49 anni) è maturo per entrare nel capitolo riservato ai grandi Di Roach ha mantenuto il gusto per un suono terso e secco. Anche una precisa sensibilità per la poliritmia nasce forse da un incontro con 11 grande maestro. Tuttavia in Hayes c'è un piacere e una voglia di fare musica e di inventare swing e ritmi che purtroppo in Roach si sono perduti da anni' Franco Mondin!
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