Turchia, fantasmi khomeinisti di Mimmo Candito

Turchia, fantasmi khomeinisti UN'ONDATA INTEGRALISTA ISLAMICA ALLE PORTE DELL'EUROPA Turchia, fantasmi khomeinisti Nel Paese ufficialmente laico ci sono 57.060 moschee - Molte sono nuove, come quella della Grande Collina, ad Ankara, immenso monumento al nuovo fervore musulmano - H numero delle scuole religiose ha quasi raggiunto quello dei licei statali Nelle università non si discute più di Marx: «I giovani recuperano l'Islam come ideologia» - Un proselitismo inarrestabile DAL NOSTRO INVIATO ANKARA — La settimana scorsa ho passato un intero lungo giorno nei cortili e sui tappeti silenziosi iella Kocatepe Camit, la Moschea della Grande Collina, Manca di marmi severi e di ombre senta voce. Erano le ultime giornate del Ramadan, il mese che i musulmani dedicano al digiuno e al sacrificio. Forse il tempo migliore per capire quanto pesi ora su questo Paese triste, bellissimo, e di equilibri tanto delicati, la minaccia di una risorgenza islamica, un contagio di tensioni religiose e di intolleranze medievali che potrebbe portare i fantasmi di Khomeini alle porte dell'Europa. Mancavo da Ankara da tre anni, e il ricordo che avevo del suo profilo era segnato dalle geometrie austere e noiose degli infiniti palazzi ufficiali, grandi blocchi grigiastri tagliati da /ine*troni cupi. Oggi da ogni parte il suo cielo e sfiorato dalle cupole orgogliose di questa moschea, non ancora finita di costruire. Sa di cemento fresco e di polvere d'intonaco. Qui dicono che è la moschea più grande dell'intero universo musulmano. Forse non è vero, ma non conta granché. Quello che conta e che comunque la Turchia laica dei rigori intransigenti di Ketnal abbia domito edificare il Monumento del nuovo fervore musulmano; e l'abbia fatto gigantesco, con un senso perduto della misura che rivela chissà quali colpe nascoste nella coscienza collettiva di un regime secolarizzato per decreto, secondo i desideri di un generale che amava la Germania di Goethe. Nel lungo porticato che lo circonda, il cortile della Moschea della Grande Collina è fresco di ombre. Ci sono sedie, panche, tavoli di legno grezzo. La giornata per un musulmano è scandito dal tempo dette cinque preghiere che il muezzin chiama dall'alto del minareto. Per guadagnarmi le confidenze mi sono fatto passare per un musulmano della Macedonia; ho inventato anche il mio Paese, si chiama Treptikovo. Entriamo e usciamo dal tempio lasciando e riprendendo le scarpe al di qua del portale di marmo che si apre sul cortile. Si digiuna e si ozia, aspettando il tempo detta preghiera. Ci sono molti vecchi, e alcuni ragazzi che stanno da una parte. Le ragazze hanno la testa coperta da un velo e indossano uno spolverino stinto lungo fino alle caviglie. Parliamo, riparliamo. Detta sapienza del Corano, dell'Occidente confuso e materialista, del Ramadan, del Consiglio superiore dell'Educazione, che ha proibito alle studentesse di frequentare le lezioni con il velo in testa. I vecchi scuotono le barbe facendosi tradurre l nostri discorsi, l giovani dicono che la speranza detta Turchia è l'Islam. Hanno sguardi intensi. Nel porticato del cortile i fedeli cambiano, vanno e vengono in un intreccio continuo di facce nuove. I giovani sono quasi tutti studenti. Gli altri hanno storie di vecchiaia sradicata, ricordi dell'Anatolia lontana, racconti di padri che insegnavano bene ai figli di allora. Mentre quelli di oggi... C'è un'aria distesa, sospesa nel tempo, un ozio sereno. Nell'altro lato del porticato, le bancarelle della Quinto fiera del libro islamico offrono Corani preziosi in arabo, sintesi di traduzione in turco, dispense coloratissime per fanciulli e adulti; e un cofanetto con dieci videocassette supervisionate da Ahmed Sherif (almeno così assicura un cartello, e pare una grossa garanzia). Al termine della lunga giornata, quando il tramonto interrompe il digiuno del Ramadan e viene distribuito il cibo, e l'acqua finalmente, tutti mangiano in silenzio. Con voracità quieta. C'è pane e carne, e una patata; e l'aranciata per chi non vuole il tè. Nel primo buio detta sera è difficile scorgere i fantasmi di Khomeini. Ma l'intransigenza non sta nel parco discorrere di questa gente, né l'intolleranza va al di là di qualche formula fideistica un po' tirata in lungo. Il segno da cogliere è in questa voglia epidemica di religione, nel proselitismo che si allarga e si distende inarrestabile nelle vene di una società che ha il dovere del laicismo. «E' un fervore che la passa trasversalmente», dice un giovane intellettuale con i baffi grigi, Cenale Candar. «Perché è una questione genetica, per noi, fa parte della nostra storia, sono le nostre radici, il sangue che ci scorre dentro», e si tocca il braccio come a mostrare dove scorra quel sangue islamico. Questa trasversalità che ignora le classi è, allo stesso tempo, vera e falsa. La frequentazione di Kacatepe è larga ma non debordante; la moschea sta però sulla cima di un quartiere di piccola borghesia ministeriale. Se passiamo invece nel cuore della vecchia città, tra le case antiche e le viuzze povere, intasate di gente, che sfociano su piazza Ulus, la gloriosa moschea Haci Bayram non basta a contenere tutti quellithe accorrono al richiamo del muezzin: si riempie il tempio, si riempie il cortile, pezzi di cartone stesi a fingersi tappeti di preghiera vengono allargati nette strade tuttintorno, e si riempiono anche loro. Dovunque c'è gente che china la fronte a terra e chiama Allah, E quando si prega, qui tutto il quartiere si ferma, in un silenzio che fa rumoroso il volo dei colombi sulle mura in rovina di Augusto Imperatore. Per non dire poi della provincia, dove la nuova ondata religiosa ha ritrovato subito, agevolmente, costumi vecchi di secoli. Qualche giorno fa, sulla strada per Yassihoyuk, siamo passati da Polatli. E' provincia ma è anche una città di 52 mila abitanti, con soldati in ogni parte e installazioni modernissime della guerra elettronica. I pochi ristoranti di questo paesotto grande e polveroso erano tutti vuoti. «No, non c'è da mangiare», e talvolta la risposta era anche brusca. Nei caffè la gente, solo uomini naturalmente, chiacchierava quieta ma davanti a tavolini sgombri d'ogni bevanda. Abbiamo trovato uno spiedino d'agnello e un'insalata soltanto nell'ultima trattoria; da fuori ci guardavano con qualche indignazione. Qui il Ramadan è osservato rigidamente, chi lo rompe rischia anche d'essere bastonato. Nel viaggio, i paesi perduti dentro l'orizzonte dell'Anatolia si annunciavano da lontano con la punta dei loro minareti nuovi di zecca. La trasversalità di Candar dunque è vera, ma incide in modo diverso nel corpo della società turca. Tocca di meno la città e più la campagna, coinvolge il popolino e ancora sfiora la borghesia, «Ma quello che sta avvenendo nelle università è già la punta dell'iceberg», dice Cen Saraengecti, un altro giovane intellettuale, cosmopolita, inquieto, educato in Svizzera, Quando arrivò Evren, nell'80, con la Quinta Sinfonia di Beethoven e con i suoi carrarmatt, c'era una media di 20 morti al giorno per fatti politici. La società turca stava mutando pelle con una rapidità forse insopportabile, l'urbanizzazione spinta travolgeva equilibri e tradizioni diffusi; la violenza fu una scorciatoia. Destra e sinistra si scannavano, lupi grigi e terroristi leninisti si sparavano addosso a ogni angolo di strada. I militari imprigionarono, torturarono, impiccarono. E per trovare un antidoto alla diffusione del marxismo diedero spazio e appoggio atta propaganda religiosa. Nella Turchia laica voluta dal generale Kemal Pascià, il generale Evren introduceva per la prima volta l'obbligo dell'insegnamento religioso islamico. Forse il giorno in cui Evren prese il potere avrebbero dovuto suonare non Beethoven ma l'Apprendista stregone di Dukas. Oggi nelle università nessuno parla più di Sinistra o di Marx, nessuno o ben pochi, perché la Sinistra ha perso credibilità, è stata battuta, invece si discute molto di teologia e si fa lo sciopero detta fame per permettere alle ragazze di indossare il velo. L'ondata integralista potrebbe anche farsi incontrollabUe. Perfino nell'Accademia militare: 44 allievi sono stati espulsi, un centinaio restano ancora sotto inchiesta; erano la testa di ponte di una •infiltrazione integralista», ha detto Evren, ed è andato a parlarne davanti alle telecamere. Era preoccupato, più ancora che indignato. Prima, nessuno avrebbe osato attentare al laicismo istituzionale delle forze armate. •L'integralismo è oggi un pericolo forse più grave anche del comunismo». In Turchia oggi ci sono 57.060 moschee, molte sono nuove. Ma è nuovo, inusuale, soprattutto il ruolo di centralità che ora hanno nella vita quotidiana del Paese. La società appare costretta a ruotargli attorno, ad accettarne e seguirne le regole. E aumenta con un'accelerazione impressionate il numero delle scuole religiose; nell'84 erano già 716, contro i 1147 licei statali. Oggi il conto è quasi alla pari. Tre anni fa sarebbe apparso stravagante sentire l'invocazione dei muezzin allargarsi su An¬ kara, amplificata dagli altoparlanti che si aprono sui balconcini dei minareti; ma ormai è una parte integrante del paesaggio, come se non fosse Ankara e invece II Cairo o Teheran. Forse una chiave di comprensione finiscono per darla le case dove si è invitati dagli amici turchi a una cena di parole rilassate. Politici, intellettuali, professionisti. E' la borghesia di questo Paese, la sua classe dirigente, e le loro case hanno un'affascinante mescolanza di sapori culturali, mobili disegnati e vecchie scrivanie ottomane, montagne di libri affastellati dentro armadi del vecchio impero, dagherrotipi seppiati appesi accanto a poster del Marna. E' tutta gente di cultura e formazione europea, non c'è dubbio, eppure gli appartiene anche quel vago profumo di bric-à-brac orientale che circola per questi appartamenti e gli restituisce l'ombra del tempo. •Siamo due società, due mondi che convivono», dice Murat Belge, intellettuale marxista atipico, il solo che non respinga il dialogo con i fondamentalisti. «Siamo Europa e Oriente, ma non da oggi e non da Kemal. L'Impero Ottomano si è distrutto in due secoli l'Ibrido fa parte della nostra storia, è la radice del nostro modo di essere». Davanti a un caffè lungo discutiamo di fisiologia e di patologia delle società. Ma alla fine nemmeno lui sa se questa ondata di fervore islamico sia soltanto fisiologica. «I giovani stanno recuperando l'Islam come un'ideologia, non c'è critica, non c'è discussione». Dallo schermo della tv arrivano monotone le prediche di un signore incravattato che spiega due versetti del Corano. Parlerà per tre quarti d'ora. Mimmo Candito Ankara. Ragazzi studiano il Corano: se ne diffondono copie in turco, in arabo, anche in cofanetti di videocassette (Foto G. Neri)