Una valigia vuota per nascondere gli enigmi della vita

Una valigia vuota per nascondere gli enigmi della vita Una valigia vuota per nascondere gli enigmi della vita Manganelli compone una sinfonia metafisica con rumori e voci Quasimodo e le parole della vita IL fascino discreto di un romanzo come .La valigia vuota- di Sergio Ferrerò, risiede in una suspense che dura, impalpabile come un pulviscolo, fino all'ultima pagina: una sospensione dei sentimenti e dei moventi, che contrasta felicemente con la nettezza dei gesti, delle situazioni, degli sfondi naturali, con un linguaggio preciso che nulla concede al morbido e all'indefinito. Nitido è il profilo del borgo marino dove arriva con la barca Mario Torga. sedicente scrittore, attratto dalle storie terribili che sono accadute in quello scoglioso ricetto durante l'ultima guerra. Sotto le rovine del castello, dove è leggenda che i Saraceni avessero nascosto un tesoro, nella cappella ricavata da un'umida grotta, nei cunicoli della montagna, i tedeschi hanno compiuto massacri, aprendo una lunga sequela di ritorsioni e sospetti. Frammenti di verità sembrano cogliersi nelle parole di una pazza che si aggira nei dintorni come una cagna, nei vaneggiamenti del maestro collaborazionista che rimpiange la cultura e la disciplina teutonica: tali da suggerire, shakespearianamente, un «racconto detto da un idiota, pieno di urlo e di furore». Per il resto, il paese si chiude a riccio intorno allo sconosciuto giunto a risvegliare fantasmi molesti. Non per malvagità, la cattiva fama di cui gode è ingiusta, e quando Mario rischia di annegare, la gente mani- lafe&tftjijer lui una fln;iaffet^«,; (pos a,n sollecitudine.^Non ; parla neanche il ragazzo Nicola, insensibile alle lusinghe di avventurose escursioni. Anzi, il gesto apparentemente protervo con cui frantuma gli occhiali dell'ospite potrebbe rivelarsi 11 segno di una precoce saggezza. Calpesta quelle lenti per impedirgli di vedere, di ostinarsi in una ricerca inutile e forse morbosa. «La scuola della si racconti ingiust San Fruttuoso (da «La riviera Il confronto di Mario con Antonio può essere chiarificatore. Anche Antonio ha viaggiato, è stato prigioniero in terre lontane, è riuscito a fuggire ed è tornato al paese ancora in tempo per assistere ad altri orrori. Si è messo con una vedova, la madre di Nicola, cerca di conquistare un difficile ruolo paterno nei confronti del ragazzo, cerca soprattutto di smussare le asperità del ricordo. Il male si cicatrizza ed esorcizza vivendo, seppellendolo sotto una coltre di ribrezzo e di non ostentata pietà, lasciandolo consumare nel passaggio delle generazioni. La diffidenza che il parroco ha per Antonio, letta controluce, può diventare ra- riB,onelVdJ> appr^wamento: ..ftyuellfitpmo, forse, non è malvagia. Ma ha girato tanto, ha conosciuto tante traversie, ha trovato un modo, tutti i modi, per tirarsene fuori..: Non sembra avere appreso quell'arte Mario Torga, l'arte di tirarsi fuori da quella che ha tutta l'aria di essere una fascinazione del male, una disposizione tutta astratta a intraprendere un viaggio signora Leicester» tamente dimentica prensibile, confusa, ora quasi impercettibile ora composta da un coro di sillabe disperse. In ultimo, l'impressione che si precisi gualche frase, che ormai assedia II personaggio solitario e sempre più Impaurito e ansioso, un'infinita presenza di voci, che non arrivano mai alla soglia di un messaggio completo e identificabile, ma pure sono indubitabilmente frammenti di parole, di frasi. A questo risultato, però, il libro arriva con estrema lentezza, attraverso un ragionare minuzioso, attento a ogni successivo passo nella vicenda dei rumori che si fanno a poco a poco, da inanimati e astratti, sempre più precisi fino a rivelarsi il frutto di una volontà di espressione, paura o disfacimento, coscienza o Impotenza che sia: voci, Insomma. Il procedere del discorso è per domande, proposte, insinuazioni di spiegazioni, negazioni subito corrette, affermazioni che immediatamente si fanno incerte per poter aprire la via a nuove ipotesi, finché ogni passo, nella storia che va dal rumore alla voce, si RUMORI o voci di Giorgio Manganelli ha l'andamento di un lungo apologo in forma di poema non lirico né narrativo, ma piuttosto raziocinante: un'indagine sottile, accanita, un poco sofistica. Si svolge come dialogo e, meglio, ammonizione e ammaestramento da parte di un interlocutore che guida il discorso nei confronti di un innominato e non precisato personaggio che ne è il destinatario e che non interviene mai, tanto da apparire, alla fine, non più che un termine di riferimento generale, una sorta di rappresentante muto dell'intera umanità che si trova di fronte a una situazione oscura, inquietante, angosciosa, e attende una spiegazione, una qualche luce che faccia comprendere ciò che intorno accade. L'ambientazione è puramente allegorica: un quartiere forse abbandonato di una città, prima di un fiume, nel cuore della notte, costituito da case che sembrano sul punto di disfarsi, da muri che si incrinano, con porte che sbattono, in un vuoto che pare assenza di ogni vita. Sembra che domini un silenzio assoluto: ma poi, a poco a poco, colui che, nel libro, solo, ha la parola incomincia a far notare al muto personaggio, che si è venuto a trovare nelle tenebre in quel quartiere, che qualche rumore pare potersi avvertire, di cose abbandonate, puri effetti di disfacimento. Ma quei rumori lentamente sembrano trasformarsi: forse suoni non soltanto materiali e meccanici, poi, sia pure in modo incerto e dubitoso, come la sensazione che si tratti di rumori dovuti a qualche essere animato, poi ancora una specie dt lamento, un gorgoglio, un gemito, infine il precisarsi ulteriore del suono in voce, in una sorta di parlata incom¬ in una fotoincisione del 1900 ligure», ed. Costa & Nolan) che altri, e lo stesso Antonio, hanno dovuto subire. E un giorno Mario sparisce, insalutato ospite. Si ritrova appena, lungo la scogliera, la sua barca vuota. Senza che l'autore insista sull'indizio, vien da pensare che Mario abbia ceduto al richiamo dell'abisso. E' soltanto un'ipotesi di lettura, la mia. alla quale altre se ne potrebbero affiancare: perché Sergio Ferrerò costruisce questo romanzo di qualità affidandosi all'arte dell'insinuazione e della distrazione, dell'allusione sfocata e retrattile. Il titolo emblematico sottolinea una estraneità che finisce per escludere reciprocamente il paese marino e il fore- bandonata su) letto .prima della .fdga7,">Ntórfi)Jn{JH'è riuscito a travasare nulla di quel che cercava, ma non ha lasciato neanche nulla di se stesso. Resta al lettore l'ultima parola su questa materia cangiante in cui si riflette il tranquillo enigma che è la vita. Lorenzo Mondo Sergio Ferrerò, «La valigia vuota», Longanesi, 132 pagine, 18.000 lire. «Gomorra» di Angeli DOPO la peste, il cancro e l'Aids. l'Sdb, sii già di Sweet Death Blow (soffio di tenera morte), è la terribile malattia Q; piie, semina milioni damarti. nel mondo del Duemila. ! ;• Da quest'idea apocalittica nasce 11 terzo romanzo di Claudio Angelini, Gomorra, un po' contratto nella scrittura ma abile nell'Intreccio, che soprattutto nel finale sfodera il ritmo forsennato di certi film di Spielberg. Protagonista della vicenda è Albert, un giornalista con i capelli bianchi che, munito di un minuscolo registratore cinese, intervista politici, filosofi, teologi e conclude per riprendere subito dopo Il nuovo ragionamento, Il nuovo processo di conoscenza e di interpretazione. Domina il libro un ritmo Incalzante, avvolgente, inquietante, che ne fa una sorta di grande sinfonia perfettamente adeguata al tema, che è sempre più angoscioso, ma anche esaltante, del rumore che si fa voce e poi parola, fino a sfiorare il compendio per allusioni e frammenti di tutte le possibili letterature del passato, che sembrano voler ventre fuori dal buio e dal silenzio. La rivelazione conclusiva del significato di tutto quanto è detto nel libro è, al tempo stesso, grandiosa e terribile: «Che è mai questo frastuono? Questo subito fragore, quale mai hai udito? Questo urlare della notte, scheggiata in una moltitudine di notti, perle, gocce di notte? Che è questo rombo, farnetico, frastuono, quale rissa governa il mondo, dilata lo spazio?... E che vuoi che sia, mio caro nottambulo, mio sedentario delle tenebre, se non questo, questo appunto — la resurrezione del morti?». Ecco: tutto il senso è qui, in questa ultima parola, che getta sull'intera opera l'Improvvisa luce di una splendida e, al tempo stesso, tremenda meditazione metafisica, quale essa è, sull'essere e sulla comunicazione, sulla morte e sullincancellabilità della parola a malgrado di distruzione e di disfacimento e anche sul processo di conoscenza e d'Interpretazione che è ogni esperienza. Rumori o voci è questo: e non è davvero poco, come trionfo di una letteratura che vuole essere, al tempo stesso, di idee e di mirabili ritmi di stile. Giorgio Barberi Squarotti Giorgio Manganelli, «Rumori o voci», Rizzoli, 145 pagine, 20.000 lire. lini: un'idea apocalit "\ yfOLTISSIMI ap- <7 I Yl Puntl crltlcl h<> ""•■già preso sulla tua opera postbellica e un bel giorno esploderò». Sono parole di Oreste Macrì, esponente professo della critica cosiddetta ermetica, scritte ti 19 ottobre 1967 a Salvatore Quasimodo. Appartengono al carteggio pubblicato a cura di Anna Dolfi in appendice al volume dello stesso Macrì, La poesia di Quasimodo, appena pubblicato da Sellerio (pp. 393, L. 35.000)- Il volume raccoglie in un discorso critico unitario e compatto Unterò Itinerario del poeta. Centrato sull'analisi strenua del testi, muove dal margini di un credo e fissa la continuità di un filo poetico assai teso, in cui si fondono «Insolenza prometeica» ed «estatica serenità», biografia e simboli, esilio e «dimore vitali». Con una formula fortemente Incisa, si va dalla 'poetica della parolaalle -parole della vita-: i due tempi di un Quasimodo esplorato al di là delle apparenze più esteriori. , Macrì ha i suoi spunti polemici: contro idealismi e marxismi. Il suo metodo misura {'«aspra fatica d'amare e parlare della poesia nostra». A Quasimodo scrive: «Io sono oscuro, ripeto le stesse cose, sono testardo e voglio rendermi conto di tutto». JVe è frutto, in un lungo giro di anni, questa infaticabile illuminazione di parole e di motivi, in cui viene saldato l'anello «tra poesia pura e significato umano-esistenziale». Mitologia e simboli, storia e struttura di una poesia «alta e tersa, arìda e solenne nell'umiltà e onestà del suo canto». Giovanni Tesio tica del futuro bra un -museo di vecchie fiabe-, è il teatro della scena finale, dove l'utopia di una vita a ritroso, di un'esistenza capovolta che inizia con la vecchiaia e termina aon l'infanzia, diventa il meteo magico' per sconfiggere^ la mortifera epidemia. E' un guizzo di fantasia che anima anche l'ultimo libro di Angelini edito da Bompiani, La ragazza mia madre, versi e prose in cui una donna e una città s'intrecciano come anelli della memoria.