Il testamento morale di Primo Levi profeta gentile che parlava ai giovani di Primo Levi

INTERNO. INTERNO. D testamento morale di Primo Levi profeta gentile che parlava ai giovani Fino all'ultimo il grande testimone del lager invitava a non dimenticare e a non illudersi sul futuro dell'umanità. Ma seppe anche narrare la vita in fabbrica. L'impegno civile e il dialogo con gli studenti prevedibili. / sommersi e i salvati è un invito, meditatoe corale, a riflettere, a non dimenticare e a non illudersi sul futuro dell'umanità. L'attenzione costante che Levi dedicò ai giovani credo assuma anche questo significato. Pubblicò in edizione scolastica molti suoi libri, assunse persino l'incarico di presidente del consiglio d'istituto del liceo D'Azeglio di Torino, nella speranza, presto rivelatasi utopistica, di dare un suo contributo diretto al mondo della scuola. Molti giovani hanno sentito Levi come un autore vicino a loro, da leggere non L'emozione profonda per la traglcn morte di Pruno Levi mi impedisce di scrivere con la necessaria lucidità su un testimone del nostro tempo, su uno dei punti di riferimento morale, prima ancóra che culturale, della nostra vita. Solo un cinico o un gelido esteta potrebbe in queste ore analizzare la figura e l'opera di Primo, tralasciando ciò che egli ci ha dato sul piano umano, malgrado la timidezza che lo caratterizzava e che, a volte, si faceva anche scontrosa, ma solo come forma di difesa di una sensibilità davvero ineguagliabile. Ho pensato olle parole del filosofo austriaco Jean Améry, deportato ad Auschwitz e morto suicida nel 1978. di cui Levi ha scritto ne I sommersi e i salvati: •Chi è stato torturato rimane torturato. Chi ha subito il tormento non potrà più ambientarsi nel mondo, l'abominio dell'annullamento non si estingue mai.. Primo definì queste parole spaventose, ma la sua morte ce le rende ancora più vere, drammatiche e agghiaccianti. Forse dietro la maschera timida di Levi si celava 11 segno indelebile lasciato da Auschwitz, anche se alcuni suoi libri potevano far pensare alla vittoria dell'intelligenza sull'angoscia dell'annullamento e dell'uomo sulla morte. Norberto Bobbio ha definito il primo libro di Levi Se questo à un uomo come un memoriale che dice «cose profonde in modo semplice:', perché ci ha fatto davvero comprendere il significato della disumanizzazione, cioè della morte morale, che diventa nel lager l'unica alternativa alla morte fisica. Quelle pagine — ha osservato Calvlng --^ furonp,: prima che .un fatto d'arte, un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo. Se questo è un uomo e La tregua sono infatti la testimonianza umana ed anche politica di una storia nefasta che va ricordata sempre ed ovunque. II. senso dell'ultimo libro di Levi I sommersi e i salvati rappresenta un ripensamento «dilatato, di quella storia, ma è anche un monito che ciò che è avvenuto allora potrebbe accadere di nuovo. Purtroppo si tratta di un passato che. non si può relegare negli archivi perché rappresenta un'esperienza esemplare, non un fatto concluse. La libertà è un bene prezioso che va semprer tutelato e 1 pericoli che essa deve affrontare sono continui e Im¬ spesso in modo sbagliato, cioè ideologico. Aveva sicuramente ragione Elio Vittorini, quando nel 1961 su Menabò sosteneva che la scelta di affrontare là realtà Industriale non doveva ridursi alla semplice sostituzione di un nuovo tema a quelli tradizionali. Va tuttavia anche aggiunto che alcuni scrittori hanno affrontato l'argomento spinti, da un furore ideologico che non ci ha mai convinto. Innovativo è Invece 11 discorso di Levi con il suo romanzo La chiave a stella. Ha colto bene 11 valore di quell'opera Aldo Giudice quando scrive che essa «da corpo alla figura di un montatore meccanico torinese il quale in tutte le parti del mondo svolge a regola d'arte il suo lavoro a cui è orgogliosamente attaccato: ne deriva un profilo di un uomo nuovo, diverso dai soliti schemi letterari, valido non solo per la realtà che rappresenta ma soprattutto per la esemplare umanità che lo vivifica». Per molti anni Levi non si senti uno scrittore: tra 11 primo libro del 1947 ed il secondo passarono ben 16 anni. Forse solo negli ultimi tempi egli si sentiva scrittore a pieno, titolo. Ricordo die una volta mi disse che la letteratura è un lavoro creativo e non un lavoro vero e proprio per arrivare presto a far quattrini, con 11 rischio di prostituirsi. Era stato chimico, anzi nella prefazione a La tregua raccontò che proprio la sua professione lo aveva educato a pesare ogni parola con lo scrupolo di chi esegue un'analisi quantitativa*. Quando un'altra volta, gli domandai a bruciapelo quali libri avrebbe salvato, nel caso di un incendio destinato a. distruggere un'intera biblioteca,'egli mi citò solò la Divina dpmmedla e / Premessi Spost Da un chimico imprestato alla letteratura mi sarei aspettato tutt'altra risposta e rimasi fortemente colpito da quelle scelte. Vent'annl fa Mario Pannunzio, il roffinato letterato che amava Proust, volle essere sepolto con U grande libro di Alessandro Manzoni. Sabato, quando ho saputo dello morte di Primo, mi è venuta alla mente questa singolare affinità tra due uomini tanto diversi. Forse anche Levi nelle pagine manzoniane ritrovava — al di la delle Innumerevoli «bestialità» di questo secolo, di cui egli visse la più tragica ed immane — quella serenità e quella civiltà che, «laica o non laica che sia», come diceva Croce, dà ancóra un senso al •male di vivere*. Pier Franco Quaglieni Levi grazie alla sua drammatica fuga dal treno in corsa che lo_ conduceva in Germania. Levi va tuttavia anche visto come uno scrittóre che esprime alcuni aspetti importanti della società industriale contemporanea perché seppe affrontare in modo originale il rapporto fra letteratura ed industria. Certo, in lui era viva l'esperienza diretta della vita di fabbrica: dal 1948 al 1975 aveva diretto uno stabilimento di resine e vernici. Ma è anche vero che il rapporto letteratura-fabbrica e entrato tardi nella nostra cultura e vi è entrato perché il professore lo consigliasse, ma perché meritevole, di per sé, di essere conosciuto. Persino negli anni più bui delle occupazioni selvagge, dell'assemblearismo anarcoide, del vandalismi e della totale mancanza d'Interesse per lo studio, ho conosciuto giovani che leggevano Levi, forse, a volte, senza coglierne l'insegnamento più profondo ed autentico. In un'intervista concessa nel '79 a Vanna Nocerino Levi dimostrò una rara capacità di analisi e di comprensione del problema giovanile: •Essere giovani è sempre stato difficile, ma oggi lo è particolarmente. Un giovane ha bisogno di certezze, di mete, e oggi mancano; non che non vengano proposte, ne vengono proposte troppe, in troppo rapida successione, e fra loro contraddittorie: Levi fu un Intellettuale Impegnato nel senso migliore del termine; fu un uomo di cultura che non si lasciò mai ingabbiare nel grigiore conformistico dei partiti, non subì mai la seduzione del potere e del successo. In lui c'era una passione civile unita ad una lucida sfiducia che non sfociava mai nella rassegnazione. Era stato partigiano di «OL« prima di finire ad Auschwitz. Nel 1985 si candidò a Torino per Democrazia Proletaria. Non è questa la sede per analizzare il lungo cammino compiuto, anche se io resto convinto che In lui certe Idee siano rimaste una costante di sempre. Voglio invece raccontare di un nostro incontro del maggio 1985 che mi è rimasto profondamente impresso nella memoria. C'erano state le elezioni ed alcuni di noi si èrano iasciati.sedurre», sbagliando,' dA..chl„ erj^alla ,rtc<&cajvdl voti più che di apporti e di collaborazioni. In quell'occasione Levi mi parlò — ovviamente non riferendosi a se stesso — con grande amarezza dello squallore di certe operazioni elettoralistiche Intese a «catturare» (usò proprio questa espressione) gli intellettuali per tentare impossibili operazioni di cosmesi politica. Rimasi stupito dell'asprezza del suo linguaggio e della sincerità, non velata dal consueto riserbo, con cui si espresse in quella circostanza. Se questo è un uomo è la più sconvolgente delle sue opere, un classico della letteratura europea sui campi di annientamento, come mi disse una volta Mario Bonfantlni, scampato fortunosamente alla sorte toccata a

Luoghi citati: Auschwitz, Germania, Torino