Coppi e Bartali sulla stessa bici

Coppi e Bartali sulla stessa bici Coppi e Bartali sulla stessa bici tre sole squadre nel mondo del ciclismo agonistico riuscirono, talora a sovrapporre il loro nome al nome dei loro corridori: la Bianchi, la Legnano e l'Atala (quest'ultima vittoriosa nella quarta edizione del Giro d'Italia, anno 1912, prima e unica volta in cui la classifica finale riguardò una compagine e non un singolo). Ma Bianchi e Legnano soprattutto diedero vita ad una rivalità che sta nella storia, grazie ad una cronaca fitta di uomini e di cose. Nel' 1940 il giovane (ventun anni) Fausto Coppi, gregario nella Legnano del ventiseienne Gino Bartali, mancò di rispetto al capitano è andò in fuga, a vincere il suo primo Giro d'Italia. Poi ci fu la guerra, quando tornò la pace e tornò il ciclismo Coppi divenne l'Uomo della. Bianchi contro Bartali uomo della Legnano. Il biancoceleste contro 3 verde-oliva. E per ognuna delle due squadre, il grande guru, lo stratega: Zamboni per la Bianchi, Pavési, Eberardo Pavesi detto «l'avucàt», per la Legnano. Ma il duello Coppi-Banali, Bianchi-Legnano, fu soltanto il momento massimo, o meglio il più vistosamente incarnato da corridori celebri, di una lunga vicenda, .cominciata con il ciclismo agonistico. La Bianchi è del 1885: e subito produsse il primo velocipede completamente in ferro. Due anni dopo Edoardo Bianchi, il fondatore, costruiva un triciclo a motore, e lo inaugurava lui stesso, «con un pauroso capitombolo», come dissero le cronache dell'epoca. Nel 1888 la Bianchi offri al mercato italiano la prima bicicletta con ruote di eguale misura e con pneumatici. La Legnano è più giovane, anzi meno antica: classe 1902, prima vittoria su strada nella Coppa Val di Taro, con un certo Lignon. Propensione per i corridori stranieri (Georget, Dortignacq e il leggendario Lapize, tutti france¬ si). Nel 1908 la ditta venne rilevata da Bozzi, che la potenziò. Nel 1924 la Legnano offri un contratto praticamente a vita ad un italiano che faceva l'imbianchino a Nizza, Alfredo Binda, stessa maglia sino alla fine della carriera (1936). Nel ciclismo moderno la Legnano è stata Baldini, la cui vittoria olimpica a Melbourne 1956 venne persino messa in discussione dalla scoperta di un contratto firmato con quella marca quando ancora era dilettante. La Bianchi è stata Gimondi, che ha ripristinato con le sue vittorie addirittura «sound» dei trionfi del Campionissimo: quando Mario Ferretti diceva alla radio «un uomo solo è al comando, la sua maglia è bian coceleste, il suo nome è Fausto Coppi». E adesso quella maglia è di Argentai. L'invenzione (Fiorenzo Magni, anno 1953: e anche il campione toscano era «passato» per la Bianchi, che gli aveva dato il primo ingaggio da professionista) degli abbi namenti extraciclistici confinò poi le marche di biciclette a spazi sempre meno importanti, sulle maglie dei corridori e nell'economia del ciclismo professionistico, intanto che scoppiava la religione della motorizzazione, dell'automobile. Ma da una dozzina di anni a questa parte petrolio, ecologia e salutismo hanno «ripristinato» la bicicletta, la Bianchi ha ripreso, come l'Atala, il suo ruolo trainarne, ed ora si prende a ruota la Lagnano, come si dice nel gergo ciclistico, per riportarla avanti nel gruppo. Non c'è più la rivalità, c'è l'unione: il romanticismo guerriero lascia il passo al romanticismo arcadico, le due grand' biciclette, una che «abbraccia» l'altra, vanno insieme in un ciclismo che esplorò le grandi strade del mondo per conto dell'auto, e che ora visita splendidi residui sentieri di vita per conto dell'uomo Gianpaolo Ormezzano

Luoghi citati: Italia, Legnano, Melbourne, Nizza