E-42, deserto di pietra per il duce

E-42, deserto di pietra perii duce A ROMA LA MOSTRA «UTOPIA E SCENARIO DEL REGIME» E-42, deserto di pietra perii duce All'Eur 10 mila fotografie, 5 mila disegni raccontano come doveva essere l'Esposizione universale del 1942, poi bloccata dalla guerra Il primo progetto non voleva fasci, né aquile, né statue, ma arte e palazzi moderni - Poi ci furono l'influenza di Hitler, le manovre di Bottai, il «tradimento» dell'architetto Piacentini verso l'avanguardia - E si puntava a esaltare l'autarchia, la romanità e la razza DAL NOSTRO INVIATO ROMA — «Se noi avessimo intenzione di accendere la miccia, se noi covassimo reconditi disegni aggressivi, noi non ci dediche/emmo ad un'opera di cosi vasta mole quale un'esposizione universale», disse Mussolini il 20 aprile 1939, in Campidoglio. Gli bastò poco più di un anno per aggredire la Francia già vinta da Hitler e rinviare a tempi imprecisabili l'esposizione universale, batieagata^ìH&Vprpp^ei^nata a solennizzare i vent'anni fasciano con unOjoQlima^ctòirrcMraV » Lo scenario del regime rimase incompiuto. Ha le sue testimonitìUTe gelide e inquietanti nel quartiere dell'Eur, un po' ville e un po' patassi per uffici, il laghetto che mostra segni di decadenza come i prati e i giardini. Massimi simboli la candida chiesa dei Santi Pietro e Paolo (la più grande cupola di Roma, dopo San Pietro) e il dechirichiano Palazzo della Civiltà Italiana, detto il colosseo quadrato: un blocco di 205 mila metri cubi, alto 68 metri, forato da 216 archi puramente decorativi come le lastre marmoree applicate alle quattro facce su cui scorre la scritta voluta da Mussolini: «Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori*. Non ci fu posto per i contadini. L'E-42 ritorna oggi alla ribalta con la grande mostra 'Utopia e scenario del regime' allestita all'Archivio centrale dello Stato (il catalogo è pubblicato da Marsilio). Mostra ricchissima per testimonianze dirette e per quantità di documenti: 5 mila disegni tecnici, progetti, appunttrtìéttare ufficialli40Q caWbiW&fr%schi e moìatéf'j non realizzati, oltre 10 mila fotografie. Il materiale'era rimasto per decenni ad ammuffire negli scantinati dell'ente-Sur. Venne recuperato da Luigi di Majo, già commissario dell'ente, e depositato presso l'Archivio di Stato il cui sovrintendente, Mario Serio, ha promosso la Mostra con la collaborazione del Comune, dell'Università La Sapienza e dell'Eur. Col distacco consentito dal tempo viene ricostruita la genesi di quella che doveva essere la più grande impresa propagandistica del regime. Come ricorda Eugenio Garin, Giuseppe Bottai fece credere cìu. l'E-42 «fosse una specie di visione profetica di Mussolini quando andava maturando l'impresa etiopi¬ ca». Ma nel 1934 l'idea aveva già assunto forma plastica nello studio BBPR (Banfi, Belgioioso, Peressuttl, Rogers) ed era condivisa da Valentino Bompiani. Bottai ne ricavò un suo progetto e lo sottopose a Mussolini nel giugno 1935. L'esposizione internazionale di Roma, da aprire nel 1939 (vent'anni dalla fondazione dei fasci) o nel 1942 (ventennale del regime) venne proposta al duce come «la presentazione efficiente e definitiva, tipi corpoi «IWWfinna ^scìat^'-ò^endwperò lo sguardo rivolto ai grandi' précédenti'di 'Parigi, di Chicago, di Bruxelles, con l'ambizione di offrire una rassegna cui avrebbero partecipato tutte le nazioni del mondo. Doveva essere la più vasta per superficie (400 ettari), fondata sull'ideologia del •duraturo» opposta all'effimero delle mostre consuete, con architetture destinate a segnare «lo stile di un'epoca». Mussolini approvò, fissando l'inaugurazione al 1942. Nel giugno 1936 arrivò la conferma del Bureau International des Expositions. Bottai riuscì a far leva su buona parte del mondo scientifico, su artisti e architetti. Dice Riccardo Mariani, docente di urbanistica all'Università di Firenze e autore del libro £-42 un progetto per l'ordine nuovo (Edizioni di Comunità) che esce nei giorni della Mostra: «Doveva essere una mediazione generale, creando una nuova accademia e definendo l'immagine del fascismo, col ricorso alle menti migliori d'Italia in quegli anni Enrico Fermi avrebbe dovuto organizzare la sezione della fisica, Ougliemo Marconi quella dell'elettronica. Due soli personaggi illustri rifiutarono di collaborare: Roberto Longhi fin dall'inizio, Giuseppe Terragni dopo un ripensamento». Eugenio Garin ricorda che nelle commissioni organizzatrici c'era un po' di tutto e di tutti, dalla scienza al teatro, dall'arte all'agricoltura. Nella commissione per l'Umanesimo e il Rinascimento Gentile aveva con sé Chabod, De Francovich, Cantlmori e Baldini. L'importanza della scienza veniva enfatizzata per affermare primati italiani col ricorso a Leonardo e Galileo. <L,'E-j42 doveva essere 11 cczAsmedlfc1bpmtvgPvr•pvsrtoto»$M&Mko del sis*4à a ma fascista, in tutti i campi per affermarne la validità all'interno e per proporlo come modello di "Ordine Nuovo" ad altri Paesi», dice ancora Riccardo Mariani, ricordando che l'unica nazione ostile al progetto fu la Francia, decisa al boicottaggio. L'esposizione universale non si fece. Sono rimaste le note arshitetture che la Mostra consente di analizzare in rapporto al diversi climi culturali in cui il progetto di Bottài fu concepito e poi parzialmente realizzato. Dice Italo Insolera, autore dell'opera L'Eur e Roma, pubblicata da Laterza: «Nel primo progetto generale, affidato a Giuseppe Pagano, Marcello Piacentini Luigi Picchiato, Ettore Rossi Luigi Vlettl (1937), mancava, a tutto onore dei progettisti la piaggeria del regime. Niente fasci, niente aquile, niente statue o scritte di Mussolini Le architetture immaginate non avevano nulla in comune con quelle che vediamo: grattacieli alla '■'endelsohn, strade degne di un Le Corbusier, reminiscenze futuriste e cubiste». Quel progetto fu ben presto messo da parte; Piacentini divenne regista e ispiratore. «Non va sottovalutata l'influenza culturale dell'avvicinamento politico tra Mussolini e Hitler. Spiega l'opportunismo, la superficialità di alcune conversioni, gli irrigidimenti di Piacentini il rifiuto di alcuni dei migliori progetti», annoto Paolo Portoghesi. Mussolini non poteva più permettersi di patrocinare l'architettura moderna che Hitler aveva messo al bando. Oltre tutto non la condivideva. Ludovico Quaroni ricorda: «Piacentini mi raccontò in privato che il duce gli aveva detto: ma questi architetti moderni quando capiranno che 11 razionalismo non è adatto a celebrare l'Impero?». Lodovico Belgioioso, che partecipò col gruppo BBPR alla progettazione del palazzo delle Poste, racconta: «H piano Iniziale aveva un'impronta razionalista, il linguaggio era quello del movimento moderno. Piacentini ne elaborò un altro di nascosto, molto più accademico, e lo sottopose a Mussolini avendone l'approvazione. La .storia di quel tradimento mi sembra di averla appresa da Giuseppe Pagano, estromesso assieme a Picchiato, Rossi e Vietti». Vieta ricorda: •La prima stesura del plano era all'insegna della purezza razionalista già indicata da Mies Van der Rohe, Le Corbusier, Gropius. Poi tutto fu cambiato, basti pensare alla chiesa di Forchini, al palazzo della civiltà di La Padula. Anche il laghetto era diverso: doveva seguire l'andamento del terreno, con anse e promontori. Piacentini lo disegnò come è oggi». Noi conosciamo appunto l'Eur di Piacentini e dei suoi fedeli, secondo il progetto complessivo adottato nel 1938 mentre venivano distribuiti gli incarichi e gli appalti. Quando i primi edifici monumentali emersero dal terreno spianato, si levò la voce critica di Giuseppe Pagano. Su Casabella defini Piacentini «artificiale Vitruvio», parlò di «enfatica aberrazione monumentale», di •due miliardi e mezzo spesi per monumentalizzare il vuoto». La rivisto fu sequestrata. Pagano doveva morire a Mauthausen, dopo essere stato comandante partigiano. Tragico sigillo di una crisi di coscienza (era stato fascista della prima ora) che 4^.*ft«M» WfMjWS * .*CrevuiplrmmcncdMgscgnplAurlr\ non ebbe tempo per manife- Marti-cornpiutamente it^ar-d La mostra ^suggerisce ] .**arc* eeoVotinè^ un'annotazione non marginale: nell'intento di sgombrare il campo da pregiudizi e di leggere il passato con distacco sereno si corre il rischio di trascurare alcuni aspetti più grossolani della progettata Esposizione Universale. Come sottolinea Riccardo Mariani nel libro già citato, «i concetti fondamentali da esaltare erano l'autarchia, il corporativismo, la romanità, la razza». Una colossale autocelebrazione, ben diversa da una vera e propria mostra universale in cui fossero a confronto scienza, tecnica, arti, culture di altri Paesi. MarinetU e il pittore futurista Enrico Prampolini avevano presentato un progetto di padiglione ielle avanguardie, col contributo di Mies Van der Rohe, Le Corbusier, B. Taut e altri. La risposta fu negativa. Il rifiuto delle avanguardie e la conversione totale al servilismo nel definire all'E-42 uno stile fascista produssero il «deserto di pietra» di cui parla Maurizio Calvesi, e l'assegnazione all'arte figurativa di un compito monumentale, antimoderno. La mostra ci fa scoprire quel che doveva essere il patrimonio di statue, pitture, mosaici, arredi, commissionati a decine di artisti. Francesco Messina preparò una quadriga che doveva essere posta sulla facciata del palazzo dei congressi. I quattro cavalli di gesso finirono in una cantina di Brera. Tra i bozzetti più audaci Quello del simbolo dell'E-42: disegnato da Adalberto Libera nella sua ultima versione, doveva essere un arco imperiale, con luce di 330 metri, da costruire impiegando 1000 tonnellate di una nuova lega d'alluminio, Avional. Anche quello un progetto non realizzato. \ Sul terreno dell'Eur abbiamo -d ereditato soltanto ben diver- e ] Mario Fazio dpdgercm Il bozzetto della quadriga ideata da Francesco Messina per la facciata del Palazzo dei ricevimenti e dei congressi (Tel. Ansa)