Donna tra i pugni di Masolino D'amico

Donna tra i pugni JOYCE CAROL OATES E LA BOXE Donna tra i pugni La prolifica, raffinata narratrice c saggista Joyce Carol Oaies ha sorpreso un po' tutti dedicando un volume intero, sia pure conciso (116 pagine, ma nel conto entrano anche quelle occupate dalle belle fotografie di John Ranard), su di un argomento prettamente maschile com'è quello della boxe: On Boxing, appunto (ed. Dolphin/Doubleday). Non si tratta di una visitazione occasionale, promossa magari da una curiosità alla moda, di tipo femminista; l'autrice spiega che suo padre soleva portarla fin da bambina ai combattimenti del famoso torneo del Golden Giove. E, come ha rilevato un recensore, non c'è una vera contraddizione fra il tema della boxe e quelli dei racconti per cui soprattutto la Oatcs e nota: anche 11 si tratta di persone «che lottano cer; cando di strapparsi vittorie temporanee», anche 11 campeggiano trionfi e sconfitte della volontà, oltre a meditazioni su vecchiaia e morte, ovvero sulla delusione finale che ci aspetta tutti. La Oatcs, che calcola di avere assistito ad almeno 500 combattimenti, para subito, a . pagina 4, la domanda che si sente rivolgere più spesso: «Come ti pud piacere uno sport così brutale.'». La sua risposta è, più o meno: «Non mi "piace" nel senso comune della parola; non è sempre "brutale"; e non lo considero uno "sport"». Riguardo a quest'ultimo punto ella fa osservare che alla boxe non si applica il verbo «giocare» («giocare a tennis, a football, a pallacanestro»). Ma non si lascia nera meno cogliere nella trappola più ovvia, affrettandosi ad affermare di non considerare nemmeno, in quanto scrittrice, la boxe in termini di metafora. Dire che la boxe è come la .vita è lecito, certo.; ma allora anche la vita èl , come la boxe. Io poi, dice la ■ Oates,'ton la boxerei sono cresciuta: per me la boxe non è un'altra cosa, è la boxe, e basta. Joyce Carol Oates ha scritto un libro molto originale e affascinante. Una grande competenza, anche una gran de cultura sulla boxe — l'autrice rivolge ringraziamenti speciali a un collezionista che le ha consentito di rivedere i filmati di moltissimi incontri del passato — servono da struttura nascosta a una serie di considerazioni apparente mente slegate, talvolta quasi aforismi, che nell'insieme costituiscono una vera e propria dissertazione, un essai filosofi co, sulla Nobile Arte. Il lavoro di ricerca affiora qua e là, nei sintetici dati sul le origini della boxe nell'antichità classica, per esempio, o nella discussione delle tensioni razziali mai completamente sopite nella pratica dello «sport»; vedi il fatto, non molto noto oggi, che fra il 1902 e il 19J2 esistette in America un campionato dei massimi riservato ai negri, e che in quel periodo molti pugili bianchi si rifiutarono di incontrare atleti di colore (Jack Dcmpsey, per esempio, girò prudentemente al largo da Harty Wills, detto «La Minaccia Nera»). * * Abbiamo anche una breve discussione dei principali sctittori americani sulla boxe, con il sacrosanto ridimensionamento di Hemingway, che in questo campo diede solo un paio di racconti poco felici, oltre, nel Sole sorge ancora, al ritratto antisemita di un complessato ex campioncino universitario. Giusto merito viene dato invece a Léonard Gardner, autore di Fot Gty, da cui John Huston trasse un bel film; e naturalmente a Norman Mailer. Sono anche ricordati, e sempre con pertinenza, i migliori film sulla boxe; dei vari Socky la Oates ' dice, a ragione, che è boxe da fumetti, e che particolarmen;te assurdi c ridicoli risultano i corpi gonfiati di quei finti pugili, culturisti ipertrofici che non potrebbero mai sostenere un combattimento . j vero. Un po' di erudizione sostiene anche certe considerazioni di portata più ampia, .come quella sulla necessità della sofferenze nella boxe (in questo, ammesso che lot¬ taleleacnGcariraMtauuoglasdplainmvpefprgonrllitgtrddssclscplp tare e aggredire sia «naturale», la boxe appare innaturale, poiché richiede una nonaccettazione, o una accettazione ritardata, della sconfitta). La Oates cita per esempio Gene Tunney, il quale rievocando ia terribile punizione ricevuta all'inizio della cartiera da Harry Greb detto «Il Mulino Umano» — una battaglia dalla quale Tunney uscì col naso fratturato da una testata, con gli occhi e le orecchie tagliati dai lacci dei guantoni dell'avversario, con la mascella tumefatta fino sotto il collo, e in un bagno di sangue — spiegò che proprio grazie al prolungarsi della sofferenza, e alla mancata interruzione del combattimento, non essendo ancora in vigore le moderne misure precauzionali, ebbe il tempo e il modo di imparare come fare per battere Greb: cosa puntualmente avvenuta nella rivincita. ★ * La Oates ha cose intelligenti da dire praticamente su ogni aspetto della boxe, e non la si può citare per intero. Fra quelle che restano nella memoria sono comunque le considerazioni sulla boxe e il tempo: la boxe vive un tempo suo proprio, noi seguiamo di un pugile, spesso, tutta l'esistenza, ossia la carriera, nascita, fulgore e decadenza; il k.o., sospensione della consapevolezza, è un essere temporaneamente costretto a uscire dal tempo. La boxe è isolamento, concentrazione, dedizione, e qui la Oates cita quasi con un senso di sacralità il ritiro cui Marciano si costringeva prima di ogni difesa del titolo: per l'ultimo mese il campione non scriveva lettere, per gli ultimi dieci giorni non riceveva messaggi, non parlava al telefono, non stringeva la mano a nessuno. Il nome dell'avversario non doveva venire pronunciato in sua presenza: tutto quello che non «era» il combattimento doveva essere escluso dalle sue percezioni. Limitate, ma non per questo meno acute, sono inoltre le riflessioni sull'atteggiamento della boxe nei confronti della donna. La donna è rigorosamente esclusa dalla boxe; da questo punto di vista la boxe può essere vista come un mondo che ha abolito la donna, che ha sostituito la guerra all'amore. Ma poi in un certo senso l'avversario è diventato la donna: con lui c'è contatto fisico, spesso lo si abbraccia e addirittura lo si bacia alla conclusione del match. Parlando della condotta di un pugile sul ring, Bundini Brown, il pittoresco mentore di Muhammad Ali, disse una volta, in termini un po' più grevi della mia traduzione: «Bisogna farsi venire l'erezione, e poi conservarla; bisogna badare a non perdere l'erezione, e a non scaricarsi». Infine, qualcosa sulla desiderabilità, sociale o meno, della boxe. La Oates non «ama» la boxe, nel senso che non ne apprezza la violenza; lo spettacolo la affascina mentre le ripugna. Ella trova tuttavia ipocriti i tentativi degli abolizionisti. Per la mag- fior parte dei pugili, la boxe un lavoro; eliminarlo legittimamente comporterebbe eliminare le ragioni che lo tendono desiderabile. C'è poi chi vede nella boxe un'occasione di sfogo di ira, di tensioni represse; si parla della «rabbia» dei pugili. Questa «rabbia» può dipendere da ragioni personali: Jake La Motta desiderava la fflcaesper flgrùrsi di urt>rjm^j dio di cui si credeva respon »**g|o£ dopojS ini siscoprfinnocente, se ogni aggressività.. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, per' la Oates «è ragionevole assumere che i pugili si battano fra loro perché gli obicttivi legittimi della loro rabbia non sono alla loro portata. Non esiste un sistema politico nel quale lo spettacolo di due uomini che si battono non costituisca una immagine forte, per quanto involontaria, dell'impotenza politica della maggior parte degli uomini (e delle donne). Ti batti contro quello che è più vicino, quello che è a portata, quello che è pronto a battersi con te. E se puoi, lo fai per denaro». Masolino d'Amico

Luoghi citati: Léonard Gardner