E l'Occidente mandò in esìlio l'anima
E l'Occidente mandò in esìlio l'anima E l'Occidente mandò in esìlio l'anima Maurice Henry: «Festa di beneficenza» (1933) pari. do indifferenziato da cui essa è emersa, ciò che non può esser detto in parole chiare e distinte, una voce minacciosa ma anche eternamente generativa. La ragione ha dovuto necessariamente liberarsi di questa Incomoda madre per poter nominare le cose e fare del caos ordine e discorso. Ma, così facendo, è caduta vittima ..del suo stésso gioco, si è condannata alla univocità, perdendo il rapporto con la sua matrice che è insieme naturale e divina, se è vero che il Platone più sciamanico ha visto nella follia un dono divino. Riprendere 1 contatti con l'anima significa allora spor¬ e la forza dissolvente delle passioni. Sembra dunque l'anima come una fanciulla che sia stata acconciata cerimonialmente a festa per un solenne sposalizio con la ragione; ma la sua natura irriducibile, la sua grazia indomita e terribile si spoglia a tratti della grave ragionevolezza per mostrarsi di nuovo scandalosamente nuda, turbante e imprendibile. L'anima non colonizzata dalla ragione occidentale è l'Altro in assoluto: non ciò che si oppone alla ragione, giacché è la ragione stessa a manovrare il gioco delle opposizioni, ma ciò che sta prima della ragione, il fon¬ gersi su un vuoto, affacciarsi oltre quel limite che circoscrive i luoghi in cui solitamente si svolge la vita, esponendosi alle Irradiazioni di un senso non ancora codificato. L'anima è dunque ciò che la cultura occidentale ha rimosso, il luogo in cui essa ancora si esprime, producendo continuamente messaggi strutturalmente contraddittori, è il simbolo. Ma anche il rapporto col simbolo può essere inteso In vari modi. La simbolica cui si appoggia la psicoanalisi freudiana, ad esempio, è manifestamente unidimensionale, puro rimando del sintomo o dell'immagine al si¬ TRE libri di architettura e tre firme stimolanti nella loro diversità. Vittorio Gregotti, progettista e realizzatore ma anche docente, saggista, direttore di •Casabella.. Renzo Piano, il .non architetto, per autodefinizione, estraneo a correnti e scuole, cittadino del mondo. Manfredo Tafuri, lo studioso, il teorico, lo storico. Le diversità sono evidenziate dal confronto fra le tre opere. Emerge un fenomeno analizzato molto acutamente da Vittorio Gregotti nel suo Questioni di architettura: la crescente complessità e contraddittorietà delle posizioni. Sintetizzo quanto dice Gregotti. Ai tempi mitici delle prime avanguardie e della nascita del movimento moderno si ragionava su contrapposizioni nette, su certezze opposte. Persino il conflitto nuovo-antico, domani-passato, innovazione-conservazione appariva chiaro. Oggi si stempera in una prospettiva più sfumata, in cui il progresso non coincide necessariamente col .moderno, né il rispetto della storia con la conservazione acritica. Negli editoriali pubblicati su Casabella dal marzo 1982 al settembre 1986 e raccolti nel volume, Gregotti esplora un orizzonte vastissimo e fa un'analisi lucida del moderno come progetto architettonico in relazione al mondo esistente: mondo fisico, culturale, economico, sociale. Riconosce che l'idea di modernità non coincide più con quella di progresso tecnico. Annota giustamente che le stesse forme possono assumere significati e valori diversi. Il libro di Renzo Plano, Dialoghi in cantiere, coinvolge per motivi opposti. E' un racconto in prima persona. Ha la sua chiave nette primissime pagine: .Ho cominciato a fare l'architetto in modo a dir
Persone citate: Gregotti, Manfredo Tafuri, Maurice Henry, Platone, Renzo Piano, Vittorio Gregotti
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