IL PCI E LE SOCIALDEMOCRAZIE

La via mancata IL PCI E LE SOCIALDEMOCRAZIE La via mancata Il rapporto fra il pei e il riformismo è uno dei temi che maggiormente hanno occupato nell'ultimo decennio la riflessione degli studiosi della politica italiana. E' un tatto di cui tutti abbiamo conoscenza, poiché questa riflessione, per i suoi immediati risvolti nella lotta partitica, sconfina persino nel chiasso. Leonardo Paggi e Massimo D'Angelillo sono tornati su questo tema in un volumetto, 1 comunisti italiani e il riformismo. Un confronto con le socialdemocrazie europee, (Einaudi), che va suscitando attenzione e fornendo stimoli a questo permanente dibattito. L'interrogativo che i due autori si pongono è perché in Italia non siano decollate una concezione e una pratica moderne del riformismo né sul versante del capitalismo e dei partiti di governo né su quello del movimento operaio e del partito comunista. Per giudicare della realtà italiana, essi ricorrono, quale metro di misura, alla realtà politica e sociale di Paesi come la Svezia, l'Austria e la Germania federale. Il saggio si articola così come un serrato «confronto», appunto, con la politica delle socialdemocrazie di quei Paesi nel corso degli Anni Settanta, arrivando a identificare una diversità di fondo, e cercando poi le radici del «caso» italiano nella nostra storia nazionale. Quel che subito emerge è il distacco o meglio il capovolgimento della tesi cara al pei negli Anni Settanta (c si pensi anzitutto a Ingrao), secondo cui la situazione italiana si presentava nei termini di un «laboratorio» particolarmente avanzato e la via socialdemocratica andava perciò, .respinta in quanto inadatta e troppo «limitata», donttìfjjpbhfcndo ad 'èssa la «terza via». Paggi e D'Angelillo a questa tesi fanno un funerale di prima classe; sostenendo che la politica del pei era non avanzata, ma, all'opposto, arretrata rispetto all'esperienza delle socialdemocrazie europee. * * Che cosa ha di così positivo c «moderno» l'esperienza socialdemocratica? Essenzialmente il fatto di dar luogo a sistemi di relazioni industriali '■molto centralizzati e formalizzati», all'interno dei quali forze di governo, sindacato, imptenditori, agiscono bensì ciascuno come soggetti volti all'esercizio del proprio specifico ruolo e alla protezione degli interessi che rappresentano, ma nel perseguire i loro scopi instaurano un codice di lealtà reciproche, che diventano in definitiva vantaggi per la società nel suo insieme. La conflittualità viene per un verso esaltata, per l'altro razionalizzata e in ultima analisi depotenziata da trattative efficaci, sulla base — ecco il punto — del pieno reciproco riconoscimento da parte dei vari soggetti. 11 male italiano, apparso in pieno nei tumultuosi e contraddittori Anni Settanta, sia sul versante dei partiti di governo che su quello sindacale e comunista, è invece nel fatto che il capitalismo e [ suoi interpreti culturali, politici e in senso stretto governativi, non hanno mai inteso riconoscere la realtà e, potremmo dire, i diritti del movimento operaio italiano. Un atteggiamento e una filosofìa di governo radicata nel lungo periodo, apparsa fin dagli inizi del procc-: di modernizzazione capitali stica e, dopo di allora, mai modificata nelle linee di fondo, nonostante tutti i mutamenti politici e istituzionali. Una strategia complessivamente rivolta a «escludere», a ridurre a soggetto non riconosciuto il movimento operaio. In conseguenza, i sistema italiano è stato pri vato di quella contrattualità legittimata fra i grandi soggetti della modernizzazione, che è il presupposto del raoderno riformismo politico e sociale. 11 «trasformismo» altro non è stato, ad avviso degli autori, se non il sistematico strumento per mo¬ 9 Li dernizzare attraverso la emarginazione delle rappresentanze sindacali e politiche dei lavoratori dal livello più alto della trattativa. Dal canto suo, il partito comunista, interprete primo del movimento operaio italiano dagli anni del secondo dopoguerra, non è riuscito a darsi una moderna coscienza socio-politica, che è dire riformistica. ★ * Accampatosi in una sorta di «Aventino» (il che ha soddisfatto il suo bisogno di identità di «escluso»), esso ha portato avanti la sua celebrata «politica delle alleanze» intesa a costituire un completo «blocco» di forze contrario a quello suo avversario, col risultato di rendere impossibile una efficace selezione di interessi da proteggere e di non riuscire mai a dar luogo ad una incisiva contrattualità riformistica. Non è così rimasto al pei che restare congelato o spendersi senza reali contropartite (vale a dire tanto nobilmente, quanto debolmente). La politica di solidarietà nazionale è stata un esempio tipico; allora la debolezza è diventata addirittura subalternità «alla cultura liberista dominante». La prospettiva che i due autori indicano come positiva è, dunque, la «fuoriuscita dal modelle trasformista», cioè un «cambiamento profondo» dell'intero sistema di relazioni fra il pei e le sue controparti politiche e sociali. Sennonché, ritenendo importante soprattutto la concretezza delle cose, essi mostrano di considerare la richiesta al pei di dar luogo ad una Bad Godesberg quale richiesta astratta di un rito formalmente ideologico, di un atto inutile di contrizione. .In tal. modo,impostato,, il volumetto ha il valore di 'uria''duplice e correlativa denuncia: delle insufficienze del pei per un verso e per l'altro dei partiti di governo. Nelle linee di fondo, l'analisi ha le sue acutezze e fecondità. Ma la maniera in cui viene condotta la ricerca di lungo periodo del nodo venuto pienamente alla luce negli Anni Settanta in Italia mi sembra forzata e troppo selettiva, mentre fanno giocare come «figure di teatro» le categorie del «trasformismo» messo in atto dalle forze di governo o antioperaie e del 'identificazione negativa con cui gli «esclusi» hanno reagito, gli autori non ne ana¬ ★ * lizzano le concrete radici e i modi di espressione storica dererminata. Ed è curioso che, mentre invitano tanto energicamente il pei a trasformarsi in agente di moderno riformismo, essi si attestino su posizioni che non comprendono i motivi tutt'altro che di scena i quali giustificano nella storia di un partito gli atti alla «Bad Godesberg». Proprio perché non dedicano attenzione alla cultura politica del movimento operaio italiano e del pei negli anni dello «stalinismo-leninismo» (e anche prima), laddove ne dedicano parecchia a quella della controparte (seppure essenzialmente e assai unilateralmente nel filone liberista). * * Paggi e D'Angelillo finiscono per svilire il problema e l'importanza della revisione dei principi comunisti. Eppure la socialdemocrazia tedesca, che non era un partito comunista, sentì bisogno di una Bad Godesberg; e non come inutile rito, ma premessa concreta di una azione nuova e di vasta portata. Le Bad Godesberg in sé e per sé non sono cause sufficienti, è ovvio; ma rappresentano segni, simboli, linguaggio necessari per capirsi. Massimo L. Salvadori LUCI E OMBRE PER IL RITRATTO DEL FARAONE Parigi. La maschera d'oro del faraone Psousennes risplende alla luce dei rifinitori mentre un fotografo scatta alcune istantanee. La maschera, che risale a circa 3000 anni fa, fu ritrovata nel 1940; con altri reperti dell'antico Egitto è esposta al Grand Palais (Ap)

Persone citate: Angelillo, D'angelillo, Einaudi, Ingrao, Leonardo Paggi, Massimo D'angelillo, Paggi, Salvadori

Luoghi citati: Austria, Egitto, Germania, Italia, Parigi, Svezia