Quel servo, implacabile seduttore di Osvaldo Guerrieri
Quel servo, implacabile seduttore All'Adua il dramma di Maugham con la compagnia dell'Elfo, regia di De Capitani Quel servo, implacabile seduttore TORINO — Che bella tragedia in grigio è II servo di Robin Maugham, adattato e diretto per il Teatro dell'Elfo da Elio De Capitani e in scena all'Adua per la stagione del Gruppo della Rocca. Lo spettacolo, si ricorderà, era atteso la scorsa estate al festival di Asti, ma all'ultimo istante disertò 11 debutto. Fu, Immaginiamo, un atto d'onestà. La rappresentazione del Serro richiede una spossatezza di tempi che, mal governata, potrebbe scivolare in una pericolosa sfilacciatura espressiva. Esempio di cannibalismo psicologico, si regge sull'esitazione, sull'equilibrio instabile dei sentimenti e della seduzione, sui soprassalti dell'anima conquistatrice o schiava, sulle impudiche abiezioni. De Capitani sposta l'azione in un Varesotto molle e pigro. Siamo negli Anni Trenta ipnotizzati dal fascismo, folgorati dalla guerra d'Africa confortati dai tanghi argentini e dalle stridule effusioni canore del trio Lescano. Nella casa piacentiniana di Marcello arriva il servo Ferri che, da impeccabile factotum, si trasforma gradualmente (come sanno coloro che hanno visto il film di Losey) in padrone assoluto. Il disegno di Ferri è allarmante fin dall'inizio. E' un servo troppo perfettp per non lasciar trasparire mire inconfessabili. Con l'aiuto di Maria, sorella-amante-complice, provoca il distacco tra Marcello e la fidanzata Lidia; con sinuosa e fredda insolenza, smantella le scarse difese psicologiche del padrone-rivale e lo rende schiavo, lo imprigiona in un sordido triangolo, lo impiglia nelle reti dell'omosessualità. Ma il pregio della riduzione di De Capitani non è tan¬ to nella descrizione del ribaltamento dei ruoli e dell'implacabile lavorio sèduttlvo. Aveva ragione Ouido Davico Bonino quando annotava che questo S'ervo •vuol essere il ritratto di un'età e di una società senza ideali-. Questo lassismo, il disorientamento, Il vanissimo girotondo esistenziale ritmato dalle ideologie chiassose e dalle smodate bevute emanano dallo spettacolo una soffocante morbosità. E bisogna dar atto a De Capitani di aver saputo sviluppare questa inconsistenza patologica con un ineccepibile ordito di gesti e di silenzi. Gesti e silenzi sono poi il traliccio che sostiene il lavoro degli attori, bravissimi nel regolare i meccanismi della dissoluzione, nel consegnarsi alle correnti d'odio e alle solidarietà gelide 0 sanguigne. Ferdinando Bruni (autore anche dei costumi) è il servo cerimoniale, allusivo e crudele. Giovanni Visentin è il passivo Marcello. Cristina Crippa è l'Infantile, istintiva Maria. Ida Marinelli è la pragmatica e «sana» Lidia. A tutti 1 calorosi applausi di un pubblico non folto ma partecipe. Osvaldo Guerrieri
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