Orfeo con Damiani diventa una festa

Orfeo con Damiani diventa una festa Gluck al Regio di Parma diretto da Oestmann Orfeo con Damiani diventa una festa Divertenti invenzioni del regista - Interpreti Bohman e Kuhlmann PARMA — S'è temuto di dover rifare le valigie e tornare a casa a bocca asciutta quando l'altra sera, poco prima dell'inizio dello spettacolo, la direzione del Regio di Parma ha annunciato che per un guasto improvviso ad un ingranaggio del palcoscenico la rappresentazione dell'Or/eo ed Euridice di Gluck era in serio pericolo. Poi tutto s'è appianato, il direttore Arnold Oestmann ha attaccato l'Ouverture e lo spettacolo di Luciano Damiani, regista, scenografo e costumista, ha potuto mettersi in moto con i suoi spettacolari movimenti scenografici, e la suggestione alata di tante piccole, garbate invenzioni. Damiani ha coinvolto tutto lo spazio del Regio, invadendo la platea con processioni di ninfe e pastori, e il corteo delle ombre beate nello spazio luminoso dei Campi Elisi; ha fatto scendere 1 cantati dal palco portando Orfeo tra gli spettatori senza rompere l'illusione scenica ma, anzi, dando a noi quella di essere in un altro mondo; ha circondato la figura un po' convenzionale e petulante di Amore con una piccola corte di amorini alati, bimbi in carne ed ossa, completamente nudi, con culetti al vento, che dal palco di proscenio uscivano a grappoli, arrampicandosi a quattro zampe sul palcoscenico. Sulla base di un elemento fisso, Damiani ha trasformato efficacemente la scena per rendere 1 vari ambienti, ha velato di garza il palco per sfumare in una luce indistinta la danza delle furie con teste di toro, e alla fine non ha rinunciato al suo ormai celebre lenzuolo, che scende dall'alto, si gonfia e palpita mosso dal vento per celebrare il lieto fine con una caduta di petali sulle teste di attori e spettatori. Belli i costumi: quello settecentesco di Orfeo, con parrucca bianca, all'Inizio disturba un po', poi ci si abitua, e quando la silhouette al TJWiUa, -scura 'ètt!fo'ìrMrtcWr,ur luminato, si pensa all'immagine di Mozart, l'Orfeo disceso in terra appena sei anni prima che Gluck componesse il suo capolavoro. Il cast dell'opera comprende tre soli personaggi, e di solito non è difficile trovare 1 cantanti adatti: Lucetta Blzzl ha disegnato un Amore opportunamente più vivace e piccante del solito, Ounnel Bohman ha cantato con garbo e partecipazione nella parte di Euridice ma soprattutto è piaciuta Kathleen Kuhlmann nel ruolo di Orfeo. Gluck, come si sa, destinò il personaggio protagonista ad un castrato, il contraltista Gaetano Guadagni, ma non è questo che conta: l'importante è che lui abbia abbandonato lo stile artificioso del belcanto settecentesco per mirare, attraverso un canto semplice e lineare, all'espressione diretta dei sentimenti. Sulla voce del contralto egli fondò l'immagine d'un semidio di bellezza efebica e miticamente idealizzata: tenerezza, malinconia, dolcezza. La Kuhlmann ha compreso tutto questo ed ha veramente cantato in modo commovente e commosso. Unica cosa, la sua vocalità non è tale da giustificare l'inserimento di quell'aria belcantistica scritta da Ferdinando Bertoni e piazzata, per tradizione esecutiva, alla fine del primo atto. Sotto questo profilo si poteva far di meglio, e usare l'edizione critica della partitura viennese del 1762, disponibile da più di vent'anni, evitando cosi anche lo strano pastrocchio d'un finale che malamente se ne allontana. Per fortuna li colpo di scena preparato da Damiani, con l'accensione d'una luminarla disposta torno torno alle pareti della sala, e il volo sino al soffitto di Amore ci ha fatto dimenticare 1 nostri crucci filologici. L'opera è finita cosi come una vera «festa teatrale», rendendo omaggio al genere cui appartiene: e massimamente festosi sono stati gli applausi. Paolo Gallarati

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