I mali dell'università, tanta burocrazia e meno potere

I mali dell'università, tanta burocrazia e meno potere Dopo gli articoli di Cavalli Sforza intervengono il vicerettore dell'ateneo di Torino e un esponente del Consiglio nazionale universitario I mali dell'università, tanta burocrazia e meno potere Illustre Direttore, l'Università italiana soffre certamente di molti guai. Ma non le si rende un buon servizio se le critiche, anche giustamente severe, si basano, come spesso capita, su una cattiva informazione circa i suol meccanismi di funzionamento. L'articolo pubblicato da La Stampa VII febbraio, a firma di Luca Cavalli Sforza, intitolato «Il diavolo al concorsi», tocca temi importanti e delicati, ma mostra nell'autore una scarsa informazione. Non è vero che il giudizio dei concorsi a cattedra sia in Italia 'affidato ai commissari del concorso, in parte votati su base nazionale dai colleghi, in parte scelti a caso*. E' vero Invece che le commissioni sono costituite sempre con un sistema misto, ma preciso: per i docenti di prima fascia, elezione di un numero triplo di professori rispetto al numero di professori che dovranno costituire la commissione, quindi estrazione a sorte del membri effettivi (cinque, sette o nove, secondo 1 casi); per 1 docenti di seconda fascia (assodati) procedimento inverso: prima estrazione a sorte, quindi elezione dei membri effettivi tra gli estratti. Il procedimento si presta a molte critiche legittime; ma resta 11 fatto che il momento ■elettivo» costituisce sempre un aspetto centrale nella scelta delle commissioni. Piuttosto l'autore detfartlcolo tralascia di denunciare la vera ragione per la quale i concorsi a docente universitario funzionano in modo discutibile: cioè, il fatto che tali concorsi sono banditi di regola ogni 4/5 anni, anziché essere frequenti, su base annuale, come esplicitamente previsto dalla legge, ovviamente con un minor numero di posti di ruolo disponibili. Altro «peccato nazionale» che l'autore denuncia è l'ec- I cessiva rigidità del programmi .L'insegnamento di ogni facoltà è deciso per legge in Parlamento con incredibile dettaglio*. Ciò è assolutamente Inesatto. Ogni facoltà universitaria ha Invece una larga possibilità di stabilire propri plani di studio, entro maglie molto larghe; e, addirittura, ogni studente ha la facoltà di presentare un «proprio» piano di studi, che deve essere approvato, e in molti casi lo è, dagli organi della facoltà. Piuttosto andrebbe denunciato 11 tentativo, che è in atto e che va combattuto, di predisporre plani di studio rigidi per opera di misteriose commissioni ministeriali, che lavorano nell'ombra Per fortuna non slamo ancora a questo; e tutti 1 docenti dotati di raziocinio, che sono per fortuna la maggioranza, si opporranno a siffatte manipolazioni centralistlche. Il rischio è che sparando nel mucchio, cioè criticando l'università non per 1 suol difetti reali, ma per 1 suoi difetti Immaginari, si faccia poi 11 gioco di chi ha in mente pericolosi piani di destabilizzazione di un ordinamento che va migliorato, ma non sovvertito. Rispettosi saluti. Francesco Traniello Docente della Facoltà di Scienze Politiche Vice-Rettore dell'Università di Torino Egregio Direttore, ho letto il 7 febbraio scorso su La Stampa, in terza pagina, l'articolo del signor Cavalli Sforza riguardante l'Università in Italia e negli Usa A parte poche affermazioni condivisibili, In genere ovvie o arcinoto, a parte una pregnante e fastidiosa «Usatili a» vi si potevano rilevare parecchie drastiche affermazioni, quasi totalmente gratuite: vedasi, ad esempio, il giudizio negativo generalizzato sul dottorato di ricer- Un'afloData lezione all'università di Torino. Ma quanto serv ca, giudizio non ancora formulabile nella sua Interezza non foss'altro perché 1 relativi esami finali, 1 primi nella nostra storia, non hanno ancora avuto luogo. La tesi di tutto l'articolo era sostanzialmente che per l'Università «privato è meglio». Questa affermazione che, se dogmatica, non può essere condivisa, è ancora tutta da dimostrare e richiederebbe in ogni caso un approfondimento ben maggiore quale solo può nascere dal confronto di opinioni cTdl esperienze di più persone competenti nel campi universi tarlo-pubblico e universttarioprivato. Mi ero ripromesso già allora di scriverle In proposito ma avevo poi soprasseduto pensando che si trattasse di un articolo isolato. In data 11 febbraio però, trovo, sempre dello stesso signore, un secondo articolo sull'Università italiana, dal quale si evince chiaramente che il signor Cavalli Sforza l'Università italiana la conosce molto poco. Qui le affermazioni non sono più gratuite, ma obiettivamente errate. In effetti, come al fa a scrivere che 'linsegncmento di ogni facoltà è deciso per legge in Parlamento con un incredibile dettaglio» quando non esistono in Italia due facoltà omonime in cui si tengano tutti 1 medesimi insegnamenti e quando insegnamenti di uguale denominazione hanno contenuti talvolta anche molto diversi? Se c'è una cosa di cui non d si può lamentare è proprio la libertà di insegnamento che a livello universitario è, attualmente ancora, garantita Come si fa a scrivere che i commissari del concorsi sono 'in parte votati su base nazionale dai colleghi, in parte scelti a caso (sic)»? Significa non conoscere (o non aver capito?) il meccanismo (difficilmente migliorabile, credo), valido per i concorsi a professore ordinario, consistente nella elezione, nell'ambito dei docenti dell'area disciplinare, di un numero di professori doppio del numero del commi «nari e nella successiva estrazione a sorte dei commissari stessi fra tutti gli eletti, che sono quelli che hanno evidentemente ottenuto 11 maggior numero di consensi. Nessun meccanismo però potrà In ogni caso eliminare il nepotismo e l'insegnamento dei nostri atedi cui scrive il signor Cavalli Sforza, laddove esso è presente, e lo è non raramente. Ma quale disastro se mal dovesse passare la sua proposta circa 'lettere riservate* con giudizi di «esperti», fossero anco stranieri, come suggerisce per 11 caso dell'Italia 11 signor Cavalli Sforza stesso. In molti infatti non abbiamo ancora dimenticato le nepotlstiche interferenze di qualche professore di Università nordamericane in occasione delle ultime libere docenze del 1969 o del successivi concorsi a cattedra in appoggio a candidati che avevano più o meno a lungo lavorato presso di loro. Nepotismo Usa non è nepotismo? Chissà quali raccomandazioni presso gli «esperti» per e. ere un giudizio «riservat. ■ ivorevole! Come è po&slòlle generalizzare scrivendo di una 'penosa situazione attuale» della nostra Università pubblica in toto, quando, per esempio, i nostri laureati ingegneri sono ricercati anche all'estero, e non solo in Europa ma fin negli Stati Uniti, e quando nostre industrie vendono ! loro prodotti di avanguardia ne. campo del¬ nei per il mondo del lavoro? la meccanica e dell'automazione persino agli Usa e al Giappone, e nostre società . nplantano interi stabilimenti, «chiavi in mano», nell'Urss e in Cina, vincendo l'agguerrita concorrenza del tedeschi, dei francesi e dei giapponesi stessi? Afe sutor supra crepiaam dicevano 1 latini. Lascio pertanto ad altri più al corrente di me il difendere altre lauree (la Fisica, ad esemplo), che pur so molto apprezzate all'estero. Poiché non voglio peccare anch'io di manicheismo, voglio precisare che nel due articoli ho anche trovato qualche posizione condivisibile, quale la disapprovazione al dissemlnamento di piccole Università provinciali e quale la necessità di programmazione dello sviluppo universitario (colgo l'occasione per segnalare al signor Cavalli Sforza che la programmazione è peraltro già prevista per legge mediante lo strumento del plano di sviluppo quadriennale — art. 2 del DP.R. 382/80 —, ma che si hanno semmai difficoltà a che 11 ministero l'applichi sempre) Al fine di non creare inutili equivoci è bene precisare. prima di chiudere questo mio intervento, che non intendo affatto sostenere che nell'Università italiana tutto funziona bene, ma non ritengo nemmeno che per l'Università pubblica tutto vada male come sostiene il signor Cavalli Sforza I problemi e i mail della nostra Università, almeno per le facoltà scientifiche (che meglio conosco), sono in genere ben diversi da quelli che egli Indica; limitandomi ad alcuni del più gravi, sono 11 mancato reclutamento di tutta una generazione di giovani studiosi e ricercatori (con un danno per il nostro Paese che sarà irreparabile in quanto lo si avvertirà soltanto in un prossimo futuro, e si tratta di un danno cumulativo); sono la gravosità e la complessità del vincoli burocratici formali che di giorno in giorno riducono 11 tempo che è possibile dedicare all'attività di ricerca, creando in molti di noi un profondo senso di frustrazione; sono la vergognosa scarsità in alcuni Atenei, soprattutto del Nord, di personale universitario amministrativo e tecnico, con pesanti riflessi sull'efficienza della istituzione. Enrico Antonelli Membro elettivo del Consiglio Universitario Nazionale Signor Direttore, le risposte ai miei articoli sull'Università italiana vertono su molti punti; per ragioni di spazio dovrò limitarmi ai viù. importanti. E' chiaro che i membri della commissione di concorso sono in parte scelti a caso, con una procedura complessa che i signori Traniello e Antonelli, i quali ne sono evidentemente degli ammiratori, hanno voluto riportare in dettaglio. La mia descrizione era inevitabilmente breve ma non erronea. Avendo seguito i concorsi della mia disciplina e di quelle affini prima e dopo la introdu¬ zione della scelta casuale ho notato, se mai, un peggioramento. Io ho poca fiducia nelle elezioni nazionali, perché tendono a riconoscere il potere accademico più che la competenza. Penso si debba rinforzare il potere decisionale delle singole Università, e motivarne le scelte in modo che non abbiano vantaggio a farne un favoreggiamento dei locali. Certo l'eccessivo distanziamento fra concorsi, cosi come la pratica di aprire l'ingresso ai posti universitari in rare ondate, sono esempi della negligenza, e mancanza di programmi, che ho menzionato a proposito dei ministeri e ministri dell'Istruzione. Le due lettere sono anche concordi nel ritenere molto flessibile l'Università italiana. Credo qui {'equivoco dipenda dal fatto che il signor Traniello ed il signor Antonelli hanno ambedue un'idea assai rigida, se posso permettermi questo gioco di parole, della 'flessibilità*. Forse sarebbero scandalizzati dal sapere che qui si può, talora in uno o pochi anni, creare un nuovissimo corso di laurea, un dipartimento, una Facoltà, una Università senta chiedere permessi a corpi elettivi giganteschi, altamente politicizzati, e difficili da accontentare, e a ministeri e ministri, sottosegretari, parlamentari, difficili da muovere. Qui regolamenti e decisioni sono opera soprattutto di piccoli comitati, spesso scelti secondo le necessità. In genere, le procedure democratiche di origine angloamericana, e non solo a livello di Università, tono molto più mette che nel nostro Paese, e il loro stadio potrebbe essere molto utile. Che vi siano anche in Italia buoni «{aulenti o insegnanti, e buone facoltà, e senta dubbio vero, per fortuna. Per questo ho usato un po' di spazio in uno del due articoli per predicare con¬ fronti fra i risultati di corsi di laurea delle diverse Università attraverso esami seri e standardizzati (come si fa tra l'altro negli Usa, se non dispiace troppo al signor Antonelli), cosi da creare confronti obbiettivi dai quali emergano modelli utili e sorgenti di emulazione. Ho insegnato in Università italiane ■per decenni, ed è chiaro che vi erano, e continuano a esistere, forti differenze di qualità tra facoltà e tra sedi. Può essere quindi assai utile raccogliere dati attendibili attraverso esami obbiettivi degli studenti laureati nelle diverse Università. Aggiungo agli scopi prima illustrati un altro vantaggio che pure ne deriverebbe, di evitare che le borse di studio date per concorso nazionale vadano di preferenza agli studenti delle Università che regalano il centodieci e lode. Quanto al vantare gli ottimi risultati dette industrie italiane all'estero, dubito proprio che lo sf debba alla preparazione universitaria dei tecnici. Sono stato anche nell'industria italiana, e so che all'Università ben raramente si insegnano le cose più utili e importanti agli effetti pratici. Credo sta pia giusto lasciare il merito alle industrie. Sul successo dei laureati italiani in Università straniere, non conosco buone statistiche, però vedo in Università amet'.jane non solo colleghi nati in Italia, ma anche in Grecia, Jugoslavia, Spagna, Romania, Ungheria, tuta laureati in Università della patria d'origine. Non per questo cresce la mia ammirazione nette Università greche, jugoslave, ecc. Piuttosto, sappiamo bene che un certo numero di persone riesce a superare handicap iniziali anche gravi. Loca Cavalli Sfona Professore e direttore Dipartimento di Genetica Università di Stanford California