Tre secoli di cinema di Gianni Rondolino

Tre secoli di cinema UN MUSEO E NUOVI LIBRI Tre secoli di cinema Aveva probabilmente ragione Henri Langlois, il fondatore della Gnémathèque Francai se, a dire che siamo ancora molto lontani dalla fine dei primi «trecento anni del cinematografo», cioè dalla conclusione di quelle ricerche, sperimentazioni, analisi che erano cominciate appunto trecento anni fa, quando il gesuita Athànasius Kircher, nel suo famoso trattato Ars Magna Lucis et Umòrae, aveva studiato e descritto, con appropriati termini tecnici e scientifici, la camera oscura, le immagini reversibili, le lanterne magiche. Ne siamo lontani, perché il cinema d'oggi, e quello che si preannuncia per i prossimi anni, non fa che stupirci, e ancor più ci stupirà, per le possibilità tecniche, i prodigi fantastici, che si fanno, di giorno in giorno, più affascinanti e coinvolgenti. E poiché il cinematografo, nel suo significato etimologico di «scrittura del movimento», cioè di riproduzione e di creazione della realtà semovente, non può che legarsi oggi con gli altri strumenti di registrazione del moto, dalla televisione allo schermo computerizzato, nell'universo delle immagini tanto caro a MacLuhan; il suo passato plurisecolare non soltanto non pare concluso, ma anzi è come proiettato in un futuro pieno di promesse tecnologiche e di prospettive semantiche. Così alle intuizioni di Langlois — i cui scritti sono stati recentemente raccolti e pubblicati da Jean Narboni in un libro emblematicamente intitolato Trois cents am de cinema (Ed. Cahiers du Gnéma-Gnémathèque Francaise, Parigi, 1986) — e alle sue ricerche appassionate, condotte nell'arco di un quarantennio interamente dedicato al cinema e alla sua storia, s» pflssflnQ,ptt. aggiungere i progressi e le innovazioni di questi ultimi decenni, in una prospettiva al tempo stesso tecnica ed artistica, che tende a considerare il fenomeno cinematografico come fattore centrale della civiltà contemporanea. E' pertanto ancor più affascinante immergerci in questa storia di tre secoli, pazientemente ricostruita da Langlois e dai suoi seguaci e precursori, perché ci sembra di trovarci, se così si può dire, «in mezzo al guado». Da un lato c'è un passato che si perde nella notte dei secoli, nella «caverna» di Platone, nei graffiti rupestri, nei teatri d'ombre (precursori ideali del cinematografo), dall'altro c'è un futuro ricco di possibilità ulteriori, di cui si possono già intravedere i traguardi. In mezzo, appunto, ci sono trecent'anni di storia del cinema e del pre-cinema, che fanno ormai parte della nostra esperienz. diretta, della nostra nuova natura di «uomini cinematografici». E' significativo che anche' il Muséc d'Orsay, inaugurato sulla fine del 1986 — in concomitanza con il cinquantenario della fondazione della Gnémathèque Franjaise —, abbia voluto dedicare, nel suo vasto e articolato panorama delle arti, visive della seconda metà dell'Ottocento, una piccola sezione alla nascita del cinematografo, quasi esso fosse il suggello — tecnico e pratico — di una ricerca sul movimento e sulla sua «riproduzione» che in parte aveva dominato la pittura del secolo scorso (ben al di là di Degas). * * E' significativo, perché conferma quell'idea di base, del cinema come elemento costitutivo fondamentale della civiltà contemporanea, che sottende molti discorsi sull'arte e sulla cultura; a non voler parlare, come invece si dovrebbe, del costume c della moda, o addirittura di quello che oggi si chiama «l'immaginario collettivo», di cui il cinema è appunto uno dei principali artefici. A questo punto è d'obbligo lasciate il Musée d'Orsay e avventurarsi alla ricerca del Musée du Gnéma, che Henri Langlois fondò e volle fosse ospitato al Palais de Chaillot. scp 1 Un Musco che oggi porta il suo nome e né riflette la personalità, non soltanto di ricercatore indefesso, ma soprattutto di autentico «amante» del cinema in tutte le sue forme e manifestazioni; non soltanto di collezionista quasi maniaco, ma soprattutto di appassionato storico e archeologo (si veda quanto ne scrive Lotte H. Eisner, la grande studiosa del cinema tedesco, nelle sue affascinanti memorie Ich batte einst ein schones Vaterland, pubblicate ad Heidelberg nel 1984). Ed è passeggiando in lungo e in largo per il Musée du Gnéma, soffermandosi su questo o quell'oggetto, entrando e uscendo dalle sue molte sale, ma più ancora inoltrandosi in certe affascinanti e sorprendenti ricostruzioni scenografiche, che lo «spirito del cinema» e le sue molteplici possibilità di riprodurre e di creare la realtà ci appaiono in tutta la loro pregnanza. Non sono soltanto le immagini incantevoli delle lanterne magiche, i curiosi giocattoli ottici dell'Ottocento, i primi apparecchi di Edison o di Lumière, le scenografie di Georges Méliès o quelle di Ferdinand Zecca, i manifesti, le locandine, i fotogrammi dei primi film, a trasmetterci la sensazione di essere al centro di una «rivoluzione» del costume, cioè di un modo d'essere e di vivere. E' quando entriamo, fisicamente, nella città sbilenca e fantastica del dottor Caligari, ricostruita appositamente per il Museo da Hermann S ! S. Warm, lo scenografo del famoso film espressionista di Wiene, che ci sembra di sfondare il muro dello schermo cinematografico, di entrare in quell'universo immaginario ma «reale» che è l'universo del film. O quando ci affacciamo alla porta del castello di Nosferatu e incontriamo lui, il conte Draculà, che sembra faccia gli onori di casa, il nostro cuore sobbalza e ci pare di essere uno dei personaggi del grande film di Murnau. O infine quando ci imbattiamo nella donna-robot di Metropolis, ricostruita per l'occasione dal suo creatore Walter Schultzc-Mittendorf, il nostro rapporto con la storia e gli ambienti del film di Lang assume un carattere più naturale, più «umano». * ★ La magìa del cinema, si dirà, o meglio il fascino che promana da quella che fu definita la mitologia cinematografica. Non è solo questo. Certo, i mille oggetti che popolano il labirinto di sale e di bacheche del Museo di Langlois ci parlano d'un passato che è ancora — grazie anche alla capillare diffusione della storia del cinema attraverso la televisione — una parte del nostro presente. E non ci par vero di imbatterci in Francesca Bertini o nel tempio cartaginese di Cabiria, in Pantomas o nel cappello di Buster Keaton, in Louise Brooks o nella «scatola del ciclista» del Chien andatoti di Eunuci, nella scenografia di Quaterne jùillet di Clair, nel costume di Scarlet O'Hara di Via col vento o in quello di Ivan il terribile del film omonimo di Eisenstein. Ma, appunto, non è solo questo. Gò che ci attrae è soprattutto il rapporto tra la realtà e la finzione: tra le infinite possrbifitir- tf^rrùtor krprima, riproducendola, ricreandola, registrandola, fissandola una volta per tutte in immagini «eterne», e la contìnua intrusione della seconda. Quasi che la fantasia non fosse altro che il risvolto della realtà, p addirittura la sua anima segreta. Ed è il cinema, o se vogliamo i trecento anni della sua storia, a dimostrarci, con la sua stessa evidenza — con quella che André Bazin definiva l'ontologia dell'immagine cinematografica —,. che la realtà e la fantasia sono inscindibili, e che la loro rappresentazione sullo' schermo è uno dei mezzi più efficaci per coglierne i rapporti reciproci. Il cinema come il lato fantastico del reale e, al tempo stesso, il lato realistico della fantasia. Gianni Rondolino

Luoghi citati: Heidelberg, Parigi