Mamoulian,lo stile innanzi tutto
Niamoulitmf lo stile innanzi tutto Dopo la retrospettiva a Berlino del quasi novantenne regista armeno-americano Niamoulitmf lo stile innanzi tutto Ha realizzato solo sedici opere, fra il '29 e il '57 - Una cultura fin troppo raffinata e mitteleuropea per inserirsi del tutto nel sistema del cinema americano - Badava più all'eleganza che ai contenuti BERLINO — Strana carriera, quella di Rouben Mamoulian, il regista americano d'origine armena, oggi quasi novantenne, al quale il Festival di Berlino ha dedicato una retrospettiva completa, per molti versi sorprendente. Strana carriera, perché Mamoulian c stato paradossalmente un poco ai margini della grande produzione hollywoodiana, pur essendone per oltre un ventennio uno dei più illustri e noti rappresentanti. I suoi film sono infatti soltanto sedici, realizzati fra i| 1929 e il 1957, un po' poco per un regista di Hollywood coronato dal successo del pubblico e della critica mondiali. Il fatto è che, da un lato, Mamoulian aveva alle spalle, una cultura fin troppo raffinata e mitteleuropea (soprattutto teatrale) per inserirsi totalmente nel sistema cinematografico americano; dall'altro è sempre rimasto un poco freddo, distaccato, formalista, neli'af Cromare la. realtà drammaturgica dei suoi film: commedie, drammi, polizieschi, avventurosi, musicali, storici. Opere magari eleganti e raffinate, stilisticamente innovative, ma sostanzialmente prive d'una loro carica vitale, d'un pathos autentico. . Cosi, a rivedere oggi i suoi film, raggruppati tutti insieme in una rassegna invero non troppo seguita dal pubblico berlinese, pare di trovarsi continuamente sballottati tra la ricerca artistica e il kitsch più smaccato, il discorso culturale e le esigenze dello spettacolo popolare, una raffinatezza squisita e una volgarità mal contenuta. Come se Mamoulian, passando indifferentemente da un tema all'altro, da una storia all'altra, si portasse dietro semplicemente il suo «stile», senza troppo curarsi se esso poteva andar bene per tutti gli usi, cadendo spesso nelle più ovvie banalità o nei più scontati luoghi comuni. E dire che il suo film d'esordio, Applau.sc (1929), sul piccolo mondo del varietà, conteneva non poche scene di eccellente virtuosismo cine¬ matografico. Un virtuosismo che si nota anche in certe caratterizzazioni ambientali del successivo Le vie della città (1931), nell'ardita sequenza iniziale, tutta «in soggettiva», del Dottor Jekyll (1931), nell'ampio brano d'apertura di Amami stanotte (1932), in taluni squarci drammatici della Regina Cristina (1933) con Greta Garbo. Ma sono schegge d'oro che brillano su uno sfondo alquanto sbiadito, convenzionale, di riporto. Sicché film pure famosi come // cantico dei cantici (1933) con una improbabile Marlene Dietrich, Resurrezione (1934) dal romanzo di Tolstoj, Becky Sharp (1935) dal romanzo di Thackcray, o Sangue e arena (1941) dal romanzo di Blasco Ibanez, risultato' alla fine mediocri prodotti di consumo, a volte noiosi e ripetitivi, ben al di sotto del grande- cinema hollywoodiano, non soltanto degli Hawks o dei Ford, ma anche dei Walsh, dei Cukor, dei Curtiz, degli Dwan. Forse Mamoulian, che in teatro era stato un innovatore, un regista spesso coraggioso e anticonformista, a Hollywood fu soprattutto un imitatore (degli espressionisti tedeschi, di Sternberg, di Clair, di Stroheim, di Vidor, •a volta a volta '«citati» in questo film o quel film). Anche il suo ultimò musical del 1957, La bella di Mosca, fu un rifacimento in'chiave di commedia musicale della Ninotchka di Lubitsch. Bello, divertente, applauditissimo a Berlino, ma, appunto, di riporto. Un Mamoulian in gran forma, come nel suo primo film, ma anche e soltanto un grande manierista. Gianni Rondollno Marlene Dietrich tra Helen Freeman e Lionel Arwill in una scena di «Cantico dei cantici» (1933)
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