LA SVOLTA DI UN TEMPIO DEL GIORNALISMO AMERICANO di Furio Colombo

LA SVOLTA DI UN TEMPIO DEL GIORNALISMO AMERICANO LA SVOLTA DI UN TEMPIO DEL GIORNALISMO AMERICANO La rivista vetrina di talènti perde copie e cambia direttore - Dopo 35 anni, Shawn, ottantenne inflessibile, è sostituito, non dal suo «erede», ma da Robert Gottlieb - Dimissioni, proteste di collaboratori (150 tra i più noti scrittori d'America) - Una crisi di rinnovamento che colpisce anche altri settimanali Usa, alla rincorsa di gusti e marne del pubblico NEW YORK — Due mesi fa la rivista settimanale New Yorker, famosa nel mondo • per le sue vignette umoristiche, per i suoi testi letterari, e per essere l'unico sèttimanaie che ospita servizi giornalistici di trenta o quaranta pagine, ha pubblicato un cartoon il cui significato sari sfuggito a molti, forse a tutti, tranne ai silenziosi protagonisti della vita quotidiana di quel giornale. Si vede un vecchio signore che alea la testa dalla sua imponente scrivania, vede che qualcuno lo sta spiando dalla porta socchiusa e gli grida: «Okay, Charlìe, lo sappiamo tutti che sei destinato a essere l'erede. Ma per adesso smettila di sbirciare nella mia stanza». Charlie è Charles Afe Gratti, capo della sezione letteraria del New Yorker, uno vita passata nel «corridoio strettissimo, negli ufficetti claustrofobie!» (come li descrive Jan Mclnerney in Le mille luci di New York), indicato ormai da tutti come •erede apparente» del direttore. L'uomo anziano è William Shawn, 79 anni, da trentacinque direttore del New Yorker, che al momento del suo ritiro ha creduto di poter nominare il successore. La vignetta non menziona il terzo intruso, Robert Gottlieb, 55 anni, presidente di una delle case editrici più prestigiose d'America (Knopf), nominato direttore del settimanale con una mossa a sorpresa che non ha precedenti nel giornale (il New Yorker ha avuto, nei suoi sessantadue anni, solo due direttori, Harold Ross e William Shawn, entrambi •generati' dall'inferno) e che non è molto frequente in America. Nessuno a New York cambia mestiere, e certamente mai dopo i cinquantanni. C è stato un, «ose celebre fiel gtokìkiMfr %*iìrt**o, tue anni fa., quando Mortimer Zuckerman, magnate dèlie costruzióni a New York, ma nostalgico del giornalismo, che ha sempre considerato la sua vocazione, ha comprato IVs news and world report, ha licenziato il direttore, ne ha assunto la guida e — con stupore di tutti — ne sta facendo uno dei migliori settimanali d'America, Robert Gottlieb non viene dall'industria, viene dai libri, ma porta con sé lo stesso peccato che gli americani non sono in vena di perdonare: non ha l'esperienza, non ha mai impaginato, non è mai andato in tipografia. Inoltre era al vertice di un'impresa piti grande, più solida, protagonista di punta del mercato editoriale negli Usa. Come mai si è lasciato tentare? «Mi ero stancato di leggere brutti manoscritti» pare abbia detto al suocero, Niccolò Tucci (io scrittore toscano), come ragione per accettare quell'occasione e cambiare, con una svolta radicale, la vita. La svolta però non era ciò che il New Yorker andava cercando, non era ciò a cut erano stati preparati, da un regime di delicata e ferrea tenuta, i suoi dipendenti. Non corrispondeva al carattere rigorosamente tradizionale della pubblicazione fatta di continui richiami al passato. Un punto di frattura si era prodotto, rispetto alla tradizione, due anni fa, quando il settimanale, altezzosamente fiero della propria indipendenza assoluta, era stato comprato dal gruppo Newhouse. Promesse di continuità ce n'erano state, formali e solenni. Mail New Yorker ha dovuto cambiare il formato (sia pure di tre quarti di centimetro per lato) per adattarsi alla stampa in un nuovo stabilimento, e ha silenziosamente ceduto su un altro fronte: pagine e pagine di vistosissima pubblicità a colori hanno fatto irruzione nella forma di un inserto patinato, che certo avrà fatto sussultare i vecchi redattóri e l lettori abituati al passato. Nonostante gli inserti però il New Yorker ha continuato a perdere inserzioni. Ne aveva più di tremila nel 1985, poco più di duemila all'anno nel 19S6. Il giovane Cy Newhouse, responsabile di quel piccolo possedimento dell'impero editoriale di famiglia, ci ha pensato e ha preso due decisioni. La prima era di non tener conto dell'.erede apparente» nonostante le promesse fatte al vecchio Shiwn; la seconda era di pap persuadére Shawn che, a 79 anni, poteva forse andare in pensione. «E' il momento giusto, non ie pare?», ha detto il giovane ^proprietario, che ha trentanove anni. •Non è mai il momento giusto», ha risposto William Shawn. Però ha accettato. Raccontano suoi amici letterati: non ha mai dubitato che sarebbe stato designato l'uomo da lui prescelto. Neppure gli altri redattori. ne avevano dubitato. Niente era mai accaduto al New Yorker senza il gesto apparentemente cortese e in realtà inflessibile del ^vecchio,,, come lo chiamavano in redazione. Gli scrittori che collaborano al New Yorker — circa 150 fra i più noti d'America, molti pubblicati da Gottlieb presso la casa editrice Knopf — hanno supplicato il nuovo direttore di non accettare. Il più vigoroso fra tutti è stato J.D. Salinger, l'autore del Giovane Holden, che vive da anni in rigoroso ritiro. Ma in pubblico Gottlieb non ha ripetuto che era stanco di leggere brutti manoscritti. Ha dichiarato; nella buona tradizione americana, che gli piaceva la sfida e che intendeva accettarla. La scene, inimmaginabile ha cosi avuto luogo venerdì 20 febbraio al diciottesimo piano del cupo edificio della 4T Strada, a Manhattan. Il direttore uscente, impeccabilmente vestito in grigio scuro e camicia rosa a righe con cravatta blu a tinta unità', si è presentato al solito orario, le undici e trenta del mattino, tra due ali di redattori muti. Qualcuno aveva portato dei fiori. Uno, Jonathan Schell, celebre autore de II destino della Terra (un instani bestseller sul futuro post atomico), aveva in mano la lettera di dimissioni. Robert Gottlieb è arrivato verso mezzogiorno. Indossala una giacca a vento, pantaloni di fustagno e una camicia a scacchi. Senza cravatta. Per quel giorno avevano tutti e due il titolo di .direttore-. Per quel giorno (il primo e l'unico, nella vita di William Shawn) hanno lavorato insieme. Alle dodici e quaranta in punto di solito William Shawn conclude la sua mattina. Lo attende una tavola al ristorante. Alla stessa ora Robert Gottlieb, più adatto alle nuove condizioni del mondo, ha estratto un sacchetto marrone dalla giacca a vento. Conteneva uri panino. Sotto gli sguardi sorpresi degli edit-ors ha cominciato ad addentarlo dan¬ do un'occhiata alle bozze. Tra coloro che hanno firmato la «vibrata protesta» solo Jonathan Schell se ne è andato. Gli altri, interpellati dai colleghi delle televisioni e dei quotidiani, hanno dichiarato «un cauto ottimismo». E aspettano. Il problema è: si può cambiare un settimanale come il New Yorker? Esce con la stessa copertina, quella del primo numero, che raffigura un Dandy immaginario, Eustache Tiller, simbolo della •casa». Lo ha fatto anche nell'edizione datata 23 febbraio, che era già sotto la responsabilità di Robert Gottlieb. Gambiera impercettibilmente, si dice. Ma questa lenta e delicata trasformazione c'era già stata. Prima il formato, sia pure con un ritocco minimo, che però «è costato moltissimo al mio orgoglio», aveva confessato il vecchio Shawn. Poi l'irrompere di pubblicità clamorosa, «come far sfilare uomini sandwich all'interno di Buckingham PaIace>, lia detto il signor Crow (nessuno lo chiama per primo nome, solo «Signor Crow», capo redattore della parte non letteraria). Infine l'arrivo di nuovi prodotti, reclamizzati, non solo cosmeti¬ ci, eleganza e turismo, ma anche automobili, cusinart, macchine per la ginnastica in casa. Tutto è pronto ormai per toccare il contenuto, la composizione della rivista, il dosaggio tra giornalismo e letteratura, tra informazione e vetrina dei talenti. Cambierà l'orientamento? Shawn aveva gusti e scelte inflessibili. E' lui linventore degli scrittori minimalisti e, fra essi, solo di quelli delicati, eleganti e senza storia. Il classico tipo di racconto che gli viene •imputato' da coloro che non lo amano comincia allincirca cosi: «La mamma a quell'ora aspettava sotto il portico nel suo abito di organza bianca. Immanuel Kant, il gatto di Margaret, era regolarmente steso ai suoi piedi. Mio fratello Virgil aveva un po' di marmellata sulla guancia e mi faceva gran segni». Nella sezione -poesia» (il New Yorker pubblica due poemi per numero e mai Gìnsberg o Kenneth Koch, quasi sempre autori meno noti e più intimi) esiste una tipica parodia: •Al vento del Maine la tua chioma odorava di frutta nel rumore del mare». Ma nei •secoli» (lui dice) della sua direzione, William Shawn ha pubblicato il grande giornalismo di Joan Didion, .Lettere» da Parigi, da Berlino, da Bombay, da Tokyo che avrebbero fatto invidia a qualunque grande settimanale. E' il New Yorker che ha pubblicato il primo servizio da Hiroshima dopo la Bomba. E' il New Yorker che ha scoperto J.D. Salinger e John Updike. Ed è stato sul New Yorker, snob e ritroso rispetto all'irrompere dell'attualità, che Jacopo Timerman ha pubblicato in due parti il suo celebre Prigioniero senza nome, Cella senza numero, rapporto terrificante sulla persecuzione politica e razziale nell'Argentina dei generali. La patata bollente passata a Gottlieb perciò ha molte facce, e la decisione se .rompere» o continuare è solo una piccola parte del problema. Fra i cambiamenti del gusto provocati dalla televisione e la concorrenza colorata e audace di periodici come il New York Magazine, immediato rivale, come Connolseur, che strappa terreno sul versante dell'arte, di Harper's e Atlantic, che attraggono scrittori, affermati e nascenti, qual è il posto per questo illustre giornale che sta lentamente ma inesorabilmente perdendo copie? Intanto i due .grandi» del giornalismo periodico americano, Time e Newsweek, hanno migliorato la propria struttura, ampliato la riflessione di costume, lo spazio per i fatti culturali, perfezionato la qualità grafica. E sta vincendo Time, guidato dal settantenne profugo viennese Henry Anatole Grunwald, mentre il continuo inseguirsi di giovani editore (tenuta media, due anni) a Newsweek mantiene la redazione nervosa e l'andamento del giornale meno sicuro che nel passato. Tra i due, è il giornale «giovane» a perdere co- riviste peggiori e migliori premono Jùl mercati da quelle che restringono i temi eppure allargano il pubblico (il caso tipico è la ■rivista di pura politica New Republic,» a quelle che rincorrono gusti e manie per nuovi gruppi e nuovi prodotti (il computer, il tempo libero) che però, sottraggono a tutti lettori e pubblicità. L'avventura del New Yorker, allora, comincia, finisce 0 continua? I lettori saranno costretti a spiare i cambiamenti numero per numero. E' già un bell'impegno. Al di là c'è quella che Robert Gottlieb ha giustamente chiamato «la sfida». Sembra il problema speciale di una vecchia e illustre pubblicazione. In realtà è «lo shock del futuro» che attende tutti 1 settimanali. Furio Colombo