«Capitol» e il Palazzo

«Capitol» e il Palazzo «Capitol» e il Palazzo GIANNI VATTIMO Ci si lamenta tanto del potere mistificante dei mass media, soprattutto della tv, che crea c impone all'attenzione acritica del pubblico personaggi e modelli di comportamento mediocri e insignificanti; ma forse non si fa abbastanza attenzione anche alla portata smascherante, critica, a quello che (senza alcuna allusione al segretario politico della democrazia cristiana) si deve chiamare il potere demitizzante dell'immagine televisiva. Una.riprova di questa funzione della televisione la si può vedere nella rubrica inaugurata in queste ultime settimane da Tg2 Studio aperto, che ha affidato a un personaggio del calibro, non solo fisico, di Giuliano Ferrara, il compito di commentare ogni sera, nell'arco di tre minuti, i fatti politici italiani. Non senza buone ragioni, si è sospettato che questa nuova rubrica sia stata ideata dalla dirigenza filosocialista di Raiduc come prima mossa in vista di un'imminente campagna elettorale. L'effetto, tuttavia, almeno a giudicare dall'esperienza di queste prime settimane, rischia di essere del tutto diverso da quello voluto. Non certo per colpa di Ferrara, che pare un personaggio televisivo di sicuro avvenire, he, forse, per colpa della tanto bistrattata classe politica italiana, le vicende dei rapporti tra i partiti e la lotta per il potere (anche nel senso meno ignobile di questo termine), portate sul teleschermo nel quadro di un discorso che si vuole meno rituale, e più. analitico e fine di quelli a cui siamo abituati, rischiano di apparire ancora meno interessanti del solito. L'idea di Ferrara, dobbiamo riconoscalo, poteva sembrare geniale: si trattava di presentare la battaglia politica (un po' come qualche giornale fa con le cronache di Borsa) come una telencvela, un serial pieno di colpi a sorpresa, astuzie machiavelliche, voltafaccia improvvisi e catastrofici, una specie di Capitol nostrano, magari con più pretese di intelligenza e di ironia. L'impresa, però, risulta disperata. Quel commento e quell'analisi, che in una pagina di giornale potrebbero decorosamente figurare in uno spazio laterale su cui l'occhio si ferma solo per un momento, una volta che riempiano,- anche per pochi minuti, tutto intero lo schermo televisivo, si rivelano eccessivi, ancor meno accettabili che gli stucchevoli «pastoni romani» letti dai mezzibusti abituali. Craxi, Forlani, Nicolazzi, persino il «tenebroso» Andrcotti sono personaggi decisamente refrattari a ogni analisi approfondita, nonostante l'acume e la buona volontà di Fatata. Anche loto, come diceva di se stesso Andy Waxhol con un'intuizione epocale, non sono nient'altro da ciò che appaiono (nella cronaca televisiva più ufficiale), non nascondono nulla, e ogni dietrologia, sia pure ironicamente temperata, si rivela eccessiva nei loro confronti. C'è una disperante mancanza di «sostanzialità» negli scontri tra i partiti e pretendere di «scavare» in questa sabbia non può produne nessun risultato. Certo, bisogna cercare di resuscitare l'interesse del pubblico per la politica, se vogliamo che il regirne democratico non perisca di asfissia. Ma si può risvegliare questo interesse descrivendo le «mosse» e «contromosse» dei vari leader nella lotta per il potere come se si trattasse di tattiche e pretattiche di allenatori del caldo? Non scopriremo fatalmente (e forse è un effetto «diabolicamente» calcolato) che, se il calcio sta padendo di interesse, la politica va ancora peggio?

Persone citate: Andy Waxhol, Craxi, Forlani, Giuliano Ferrara, Nicolazzi

Luoghi citati: Ferrara