Piazza Vittorio di Luigi Firpo

Piazza Vittorio Schede per la città Piazza Vittorio Non molto tempo fa, intervistato dà Gian Paolo l'ansa, l'ex assessore all'Urbanistica, mi ha rimproverato per aver vergognosamente taciuto circa l'allontanamento dei baracconi carnevaleschi da Piazza Vittorio. Non vorrei che si diffondesse la pretesa di chiamarmi in' causa su tutto e su tutti, come il prezzemolo sul pesce bollito. Credevo, e resto del parere, di poter parlare come, dove e quando mi sembra di aver timidamente qualcosa da dire. Comunque, chiamato così perentoriamente in causa, dirò la mia. Piazza Vittorio è uno dei grandi ambienti storici di Torino, il coronamento, nei primi decenni dell'800, della spinta della Città verso il suo fiume, dal quale a lungo era stata tenuta lontana dalla necessità difensiva di arroccarsi su uno scaglione alto verso la confluenza della Dora. L'architettura è il frutto geniale di un architetto appena ventitreenne, il luganese Giuseppe Frizzi. Questi concepì l'immenso spazio euritmico porticato, che finalmente saldava l'esedra terminale della via Po con il solidissimo «ponte di pietra» progettato da ingegneri napoleonici e con il fondale neoclassico della chiesa della Gran Madre, eretta dal Bonsignore a imitazione del Pantheon romano. Nell'insieme, una visione di grandiosità monumentale, pur nella sobrietà più austera, con straordinari effetti di illusione ottica, perché il terreno declive verso il'Po presenta un dislivello di ben sette metri, che il progettista mascherò, allineando a ogni isolato il bordo delle ringhiere con i ballatoi dei balconi degli edifici a monte. Quando, al di là del fiume, la collina ospitava solo vigneti e sparse residenze agresti, la piazza costituiva un grandioso accesso alla Città, esprimendone mirabilmente il respiro di capitale, l'austerità del costume, il carattere serio e solido, senza sfarzi arroganti. Se abbiamo un minimo di rispetto per il nostro passato, questi sono i significati cui tale spazio urbano va restituito, rifacendo la pavimentazione di pietra, evitando ogni aggiunta arbitraria di aiuole e fontane, allontanando non solo i baracconi e le giostre, ma il mercato ambiguo delle auto usate, il parcheggio selvaggio ai due lati delle corsie di scorrimento e tutto ciò che deturpa e avvilisce un grande lascito di storia e di cultura. Se Torino avesse ancora il coraggio e la voglia di fare, si potrebbe scavare sotto l'intera piazza un immenso parcheggio e approfittarne per aprire una buona volta un sottopasso, che dia libero transito da corso Cairoli a via Napione, mettendo fine alle code snervanti sul ponte stretto e intasato. La Sovrintendenza ai monumenti non dovrebbe aver nulla da ridire, perché nella piazza affiorerebbe tutt'al più una ringbierina, magari di ghisa, eguale a quella che corre lungo le spallette. E poiché ci siamo, eguale opera dovrebbe disporsi davanti alla Gran Madre, lungo quello che é diventato uno dei pochi assi di scorrimento NordSud, profittandone per consolidare le ormai malsicure fondamenta della chiesa. Fra olio, benzina, freni, gomme, tempo e maledizioni si risparmierebbero ogni anno miliardi. Quanto ai giostrai, si dia loro uno spazio attrezzato in un parco di periferia — non al Valentino, sennò imbraccio il mitra! — cioè là dove iniziò il loro insediamento, quando Piazza Vittorio era, per l'appunto, periferia. (Lo stesso vale per il mercato di Porta Palazzo, che sorse in un povero borgo fuori mura, ma che oggi è in pieno centro a 200 metri dal Palazzo comunale). Solo una pigra inerzia — e qualche interesse costituito, ma di pochi, non della collettività — possono opporsi a questa razionalizzazione non differibile, imposta dalla trasformazione di una città di poco più di 100 mila abitanti in una di oltre un milione e dalle trasformazioni radicali dei modi di vita, dei gusti, delle abitudini e delle sensibilità. Più voltcmi sono aggirato fra i baracconi per vedere chi li frequentava ed ho visto una ben triste umanità di ragazzoni protervi, di ragazze sfacciatene, di oziosi e magari di qualche profittatore. Il Castello delle streghe, nel quale si strappava un tempo un bacetto furtivo, è fuori moda, perché oggi i giovani si baciano dappertutto e i film dell'horror forniscono ben altri spaventi. Il torrone è in disuso in epoca di diete dimagranti. L'Ottovolante offre emozioni puerili a chi scorrazza in moto o vola in aereo. I bambini cresciuti davanti al televisore pretendono ben altro che la giostra. Finisce che i poveri divertimenti che la Piazza offre attirano solo più un sottoproletariato giovanile, facilmente spennato dei suoi mal racimolati quattrinelli. I costosi impianti, le luci che sfavillano, lo stesso nomadismo avventuroso sono relitti del passato. Non è la fine delle giostre, ma di tutto il Carnevale, residuo di un Medioevo oppressivo e oppresso, che si liberava in poche giornate di follia esplosiva. Adesso il Carnevale non c'è più, o dura tutto l'anno, o forse sopravvive, ma nelle Usi. Luigi Firpo

Persone citate: Bonsignore, Gian Paolo, Giuseppe Frizzi

Luoghi citati: Torino