Ha ucciso il datore di lavoro
He ucciso il datore di lavoro In assise processo per il delitto di Rivoli nel novembre 1985 He ucciso il datore di lavoro no»' Io il cadavere*' m sacco dell'immondìzia e, a notte fonda, lo portò alla discarica TORINO—Uccise l'ex datore di lavoro perché non voleva rilasciargli una lettera di »buone referenze», poi trasportò il cadavere, avvolto in un sacco dell'immondizia, in una discarica e tentò di bruciarlo. Il delitto avvenne nel novembre '85 a Rivolt La vittima: un noto commerciante, Mario Armando, 45 anni, vedovò, una figlia, titolare di tre grossi negozi (tra Rivoli e Rlvalta) di moquettes, tendaggi e tappeti. L'assassino: Enrico Vivolo, 22 anni, ex tappezziere con ambizioni di indossatore di moda, un'espressione da studente liceale, freddo, un 'Consumato attore sotto le luci del riflettore» per lo psichiatra. Ieri, 11 processo in seconda assise (pres. Damiano, pm Tinti) per omicidio premeditato e tentata distruzione di cadavere. Di quest'ultimo reato risponde anche Massimiliano Vivolo, 17 anni, fratello dell'assassino (avv. Bertolino), che sarà giudicato dal tribunale dei minori. In completo grigio, impermeabile bianco, capelli a spazzola, Enrico Vivolo ha raccontato in aula: «Ho fatto l'apprendista decoratore per tre anni con Armando, poi ho deciso di andarmene perché guadagnavo poco. Cercai altri posti di lavoro, ma senza risultato. Forse Armando dava cattive informazioni su di me». E si arriva al 22 novembre, al delitto, n commerciante va a casa dell'ex dipendente. Dice l'assassino: «Èra arrabbiato, mi rimprovero perché non gli avevo ancora dato 600 mila lire per una moquette che avevo preso nel suo negozio. Mi aggredì, lo spinsi, afferrai qualcosa in un cassetto, era un coltello da torta, lo colpii alla schiena. Mi cadde addosso, ranto- lava, gli misi una coperta attorno alla testa». Mentre Vivolo uccideva, la sorella Michela faceva le pulizie. Con calma e grande freddezza l'assassino (difeso dall'aw. Vighetti) continua: «Lo infilai in un sacco dell'immondizia, poi la sera con l'aiuto di mio fratello, ignaro di tutto, lo trasportai alla discarica di Bruere. Tentai anche di bruciarlo». H cadavere rimase nascosto in casa per 4 ore. Enrico Vivolo continua a raccontare, il tono sempre uguale, senza emozione, ossequioso con la corte («Afi scusi vostro onore, la prego di credermi signore»): in aula c'è un clima quasi irreale. Alessandra, la figlia della vittima (1 famigliari di Mario Armando si sono costituiti parte civile con gli avvocati Maria Grazia Cavallo e Romana Vigliarli), fissa l'assassino quasi inebetita, non c'è odio nel suo sguardo, solo orrore. Il processo continua oggi.
Persone citate: Bertolino, Enrico Vivolo, Maria Grazia Cavallo, Mario Armando, Massimiliano Vivolo, Vighetti, Vivolo
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