Strauss, «lite» sulle parole e alla fine trionfa la musica di Giorgio Pestelli

Strauss, «lite» sulle parole e alla fine trionfa la musica A Bologna «Capriccio», direttore Weikert, regista Ronconi Strauss, «lite» sulle parole e alla fine trionfa la musica L'opera tradotta in italiano da D'Amico - Arduo per la Kabaivanska lo «stile conversazione» BOLOGNA — Capriccio di Strauss nella versione ritmica italiana di Fedele D'Amico, diretto da Ralf Weikert con la regia di Luca Ronconi, è stato salutato al Teatro Comunale da accoglienze trionfali; dopo due ore e mezzo di spettacolo filato, senza segni di attenzione attenuata o stagnante, grandi applausi liberatori! per tutti e chiomate a gran voce per Ronconi che ha ritardato a lungo la sua apparizione al proscenio mentre 1 contanti con vivace mimica sembravano dirsi: .Afa dov'è? Ma dove è andato? Non c'è! Non si trova più/» : teatro nel teatro insomma, secondo lo cifro magistrale dell'ultima, straordinaria opera di Strauss. Ricordiamone in breve la situazione. Nel pressi di Parigi nel 1775, in piena querelle fra Qluck e Picctnni, 11 poeta Olivier e il musicista Flomond disputano su una vecchia questiono, se nell'opera 11 primo posto spetti olla musica o alle parole (Prima Za musica poi le parole, era l'operino di Salieri e Costi da cui Stefan Zweig aveva per il primo suggerito a Strauss il nucleo di un futuro lavoro); assistono il direttore teatrale La Roche (forse una controfigura di Max Relnhardt), lo contessa Modelelne, giovane e vedova suo fratello e l'attrice Clolron di cui sto innamorandosi. Allo fine dovendo allestire uno spettacolo per festeggiare il compleanno dello contesso e non sapendo più che pesci pigliare, il conte ho l'idea di fare un'opera sulla discussione accademica intrattenuta fino a quel punto (Convertanone per musica in un atto è 11 sottotitolo di Capriccio); la contessa, amata dal musicista e dal poeta, dovrebbe scegliere fra i due e portare cosi l'opero a conclusione; ma non sa e non può, cosi come l'opera non può scegliere fra poesia e musica, dovendosi adottare alla sintesi indissolubile del due fraterni elementi, con le fatiche, le pene, le memorie che l'operazione comporto. Dobbiamo essere grati a D'Amico per la fatica durata a rendere in Italiano il libretto geniale e mobilissimo di Olemens Krauss e di Strauss stesso: intanto, ora possediamo uno strumento sicuro (assieme al saggio di Bortolotto in Consacrazione della casa) per favorire la circolazione e lo comprensione di quest'opera anche in Italia; e poi, anche sul «Capire le parole» in teatro. nonostante le facili battute al guardaroba («Non ho capito nulla, tanto valeva farlo in tedesco») bisogna dire che una accettabile porzione di testo arrivo all'orecchio dell'ascoltatore, specie se prèviamente avvertito dell'Ideo generale. SI capiscono bene 1 dialoghi di Flomond e Olivier (1 bravi William Motteuzzl e Armando Ariostini) e cosi pure gli interventi del direttore del teatro James Johnson, e quelli di Florindo Andreolli nella macchietto del suggeritore. Un po' meno si fa intendere Nelson Portello (il conte), meno ancora Glenys Linos (l'attrice) e meno di tutti Raina Kabaivanska'che trasvola sulle ali di un conto non fatto per lo stile di conversazione (ma piuttosto per,gli slanci lirici, che intraprende con commovente intensità). Nei pezzi d'assieme le parole si azzuffano come in tutte le lingue (ma nel coretto degli otto servi quasi nulla va perduto); semmai la versione Italiana limita quell'effetto di sgorgo, di intenerimento sublime che 11 vocalismo .Italiano produce di colpo nel contesto tedesco quando intervengono 1 due cantanti italiani, qui Adelino Scorabelli e Pietro Ballo. D'altra parte il problema della versione migliore non si pone nemmeno; le traduzioni, come anche D'Amico ha sempre sostenuta sono funzionali al grado di conoscenza che il pubblico ha di una determinato opero. B maestro Weikert ho di¬ retto l'orchestro del Comu naie con scrupolo e viva sensibilità per 11 fluire, quanto mal imprevedibile, del discorso strausslano. Ronconi, con 11 contributo di scene e costumi splendidi di Margherita Polli e di Cario uiappi, ho realizzato uno spettacolo di g.-ande fascino figurativo e spaziale, radicato in un Settecento malinconico e autunnale: la realta diventa scenica e la scena si anima al trascolorare del personaggi, delle loro conversazióni, monologhi, riflessioni consegnate all'orchestra; lo specchio, gronde protagonista, e minacciosi tendaggi che frusciano definiscono un ambiente sospeso come in un sogno. Languida e vaporosa lo attraversa la Modelelne dello Kabaivanska che indugia allo specchio o all'arpa con deliziosa malinconia. Con tutto ciò la regia di Ronconi, acclamata a ragione per 11 suo rigore tecnico, a me sembra troppo aduggiata di ombre: le quali, se colgono l'evidenza superficiale di una situazione anacronistl co (come ha detto lo stesso regista in un'intervista: bombardamenti del '42) soffocano la verve e l'arguzia di mille particolari e non rendono giustizia all'Intrepidezza affermativa ol vitalismo malgrado tutto testimoniato dall'ottuagenario compositore: stilisticamente cosi anacronista perché cosi incredi' burnente sincero. Giorgio Pestelli Raina Kabaivanska, commoventi in «Capriccio» i suoi slanci Urici

Luoghi citati: Bologna, Italia, Parigi