I nuovi marciatori di Luciano Gallino

I nuovi marciatori «Lotta di classe» tra professionisti e politici I nuovi marciatori Una dopo l'altra, categorie ad alta professionalità, che finora non si erano certo distinte per l'inclinazione a scendere in piazza, si mettono in marcia. Anni fa furono i quadri; appena ieri gli insegnanti; ora è toccato ai medici. A parte le motivazioni economiche, che hanno pesato nei vari casi in misura rilevante, due fattori vengono di solito richiamati allo scopo di spiegare questi nuovi tipi di movimento collettivo. Un primo fattore spesso citato è la professionalità mortificata. I quadri reagirono dopo aver visto, per anni, il loro ruolo misconosciuto o negato dalla base operaia e dalle stesse direzioni aziendali. Gli insegnanti non sopportano più di essere trattati, nei fatti, come lavoratori dalla cui attività sembra dipendere, al massimo, la sorte di qualche partita di ortaggi o di lamiere, anziché la formazione culturale delle nuove generazioni. I medici, da parte loro, trovano ormai insopportabile un ambiente in cui cliniche e Unità sanitarie, centri d'analisi e ospedali sono diretti, nella sostanza e spesso anche nella forma, da persone del tutto estranee alla professione medica. Un secondo fattore, spesso mobilitato per spiegare il nuovo attivismo, le marce di questi particolari gruppi sociali, e il degrado del settore in cui ciascuno di essi opera. Mentre i quadri protestarono perché nelle fabbriche stava crollando l'organizzazione produttiva, gli insegnanti denunciano l'inefficienza della scuola, e i medici vogliono attirare con forza l'attenzione del pubblico sulle crescenti storture, gli sprechi e i danni inflitti ai cittadini di quello che si dovrebbe chiamare d'ora innanzi il disservizio sanitario nazionale. Negare l'importanza di questi due fattori significherebbe non saper vedere, o peggio non voler vedere, il deplorevole stato in cui effettivamente versano, per restare agli ultimi due casi, la scuola e la sanità. Ma, al fine di spiegare un fenomeno sociale di simile novità e portata, bisogna formulare altre ipotesi. Una potrebbe essere che ci troviamo dinanzi ad una forma affatto originale di conflitto di classe. Nell'attuale sistema politico é difficile negare che i politici di professione (tra i quali vanno inclusi anche i dirigenti delle maggiori centrali sindacali) siano diventati una delle classi dominanti, se non anzi la classe dominante. E' una classe numericamente esigua, in quanto comprende non più di trenta o quarantamila persone, ma che detiene un potere grandissimo, diretto e indiretto, su settori sempre più vasti dell'organizzazione sociale. Da parte loro le classi ad alta professionalità gradiscono poco l'autorità, l'imposi¬ zione dall'esterno, le norme stabilite dall'alto, al di fuori dei criteri tecnici e morali che fondano le rispettive professioni. Trent'anni fa, l'insieme di queste classi — insegnanti e medici, intellettuali e tecnici — comprendeva poco più di ottocentomila individui. Oggi si stima che siano almeno due milioni e trecentomila, di fronte ad una classe politica le cui dimensioni non sono cresciute di molto, mentre é immensamente cresciuto il suo potere. Fise le marce di questi giorni non trasmettono ancora un messaggio come «professionisti di tutto il mondo unitevi», ma le componenti di un conflitto politico e culturale di fondo (un tempo si sarebbe detto strutturale) tra queste classi in crescita e la piccola classe che occupa il centro politico ci sono veramente tutte. Un'altra ipotesi da considerare rimanda alla crisi delle gigantocrazie. Per tutta una serie di ragioni, l'epoca dei grandi sistemi sociotecnici, giganteschi, omogenei e accentrati, volge inesorabilmente al tramonto, nonostante i colpi di coda. L'aumento della popolazione, i nuovi bisogni, lo sviluppo esponenziale delle comunicazioni, l'evoluzione delle tecnologie hanno reso simili sistemi per un verso incomprensibili e per un altro ingovernabili. L'idea, per dire, di governare dal centro, in ogni suo aspetto tecnico e sociale, un sistema con seicentocinquantamila addetti (la sanità), oppure uno che passa il milione (la scuola), appare oggi, da un punto di vista strettamente organizzativo, un'idea, e diciamo pure un'ideologia, fuori del mondo. Che molti si adoperino per tenere ancora in vita una simile ideologia, con le pratiche perverse che ne discendono, dimostra soltanto quanti vantaggi sappiano ricavare da modi arcaici di organizzare funzioni vitali per l'intera società. Non c'è quindi da stupirsi se, negli elenchi ormai pletorici delle Grandi Riforme che ci attendono dietro l'angolo, non si è mai incluso finora lo smantellamento delle Gigantocrazie. Luciano Gallino A PAGINA 7 Vertenza Sanità: il peso dei medici di Gian Cario Fossi

Persone citate: Gian Cario, Grandi Riforme