Beirut, la Jihad rilancia di Mimmo Candito

Beirut, la Jihad rilancici Beirut, la Jihad rilancici Consegnato alla Croce Rossa un elenco dei 400 prigionieri che Israele dovrebbe liberare - Tra loro anche i 3 fedayn condannati per l'attentato al Muro del pianto - Nuove minacce per gli stranieri DAL NOSTRO INVIATO BEIRUT — Ieri a Beirut, in una giornata finalmente di sole, sul campus dell'università americana si 6 fatto festa. Raggiante, Feria! Politili, moglie di uno degli ostaggi, diceva a tutti: •Siamo orgogliose dei nostri uomini, e ringraziamo i sequestratori per aver usato comprensione verso i nostri mariti-. Attorno a lei tutti applaudivano. Eppure, sottratti per ora alla morte, 1 quattro ostaggi non sono certo salvi; prigionieri in qualche misteriosa viuzza della Beirut musulmana, debbono aspettare che vada avanti 11 gioco aperto sulla loro pelle. Ma nessuno sa fino a dove. li ricatto che scambiava la vita dei quattro professori con la liberta del quattrocento prigionieri arabi è stato soltanto sospeso, non è finito. Alan Steen, Robert Poibill, Jesse Turner, e l'indiano Stngh, sono stati risparmiati dai loro sequestratori senza che, formalmente almeno, la richiesta venisse accolta; ma 1 segnali che Tel Aviv aveva lanciato a «Guerra santa per la liberta della Palestina» erano già più di un'apertura di negoziato. Peres aveva detto che le trattative su ostaggi e prigionieri non si conducono pubblicamente, ma aveva precisato che, certo, Israele è molto interessata a riavere indietro 1 suol soldati catturati dal nemico. E queste parole valevano quanto una risposta all'offerta che il capo sciita Beni aveva lanciato da Damasco, quando aveva detto: 'Scambiamo i quattrocento con a pilota israeliano che abbiamo catturato a ottobre». Quindi si è avviato anche qui uno di quel dialoghi tra sordi che sempre accompa- gnano le storte di ricatti e di ostaggi I sequestratori guardano a Israele e dicono: voi dateci i quattrocènto e noi vi restituiamo 1 quattro americani; Israele guarda a un'altra parte, verso gli Stati Uniti, e dice: noi con i quattro ostaggi non c'entriamo, se gli Usa non ci chiedono ufficialmente un aiuto, ma possiamo discutere sui quattrocento da scambiare con il nostro uomo; gli americani ignorano Israele, guardano ai. rapitori, e dicono: noi a Gerusalemme non chiediamo niente, ma 1 nostri quattro uomini debbono essere salvati. Tutti fingono di essere rigidi e incrollabili nei loro propositi, ma poi in realtà, e per fortuna, tutti mostrano di voler arrivare a qualche risultato concreto. n gioco del ricatto, dunque, resta aperto. Quelli di «Guerra santa», che hanno sospeso l'esecuzione degli ostaggi soltanto cinque mi¬ nuti prima della mezzanotte, usando una cinica consapevolezza della tensione emotiva e del suo valore politico, dicono che due fatti li hanno convinti a bloccare il meccanismo infernale delle minacce e della ritorsione: una disponibilità d'Israele, che andava chiarita; la riduzione della pressione militare americana. E per far seguire subito le parole al fatti, rilanciano sul tavolo della trattativa consegnando alla Croce Rossa Intemazionale la lista dei quattrocento prigionieri arabi dei quali chiedono la libertà Lunedi Peres aveva dichiarato a Tel Aviv che «non si sa nemmeno se i quattrocento sono davvero prigionieri d'Israele*. I sequestratori di «Guerra santa per la libertà della Palestina» gli rispondono immediatamente con l'elenco del nomi. E leggendolo si vede subito che la sua accettabilità da parte di Israele è molto problematica: accanto a trecento sciiti del Sud del Libano accusati di essere militanti antl-lsraeliani, ci sono novanta palestinesi imprigionati per la loro appartenenza all'Oip; e tra loro, anche i tre fedayn che l'anno scorso sono stati condannati all'ergastolo per l'attentato al Muro del pianto. Non è difficile notare come già si vadano disegnando i profili di altri ricatti a catena. E la spirale del negoziato, una volta avviata, trascina poi i suol protagonisti in un gioco'di pressioni e di rinvìi dove sempre si ripropone il problema del fino a quale punto sia giusto cedere. Poiché è chiaro che il governo di Gerusalemme, già messo in difficoltà due anni fa dallo scambio di 1150 prigionieri palestinesi con tre suol soldati prigionieri, ora deve fare 1 conti con pesanti malumori interni. E i nomi di quel tre fedayn del Muro del pianto sono, per esempio, un grave intoppo a qualsiasi soluzione. Le parole di Shultz poi, che ha denunciato duramente le responsabilità di tutti 1 libanesi e definito •animali» 1 sequestratori e chi 11 appoggia, aggiungono amarezza e rabbia alla paura delle ultime settimane. L'ex presidente della Repub¬ blica, Hoss, ha detto per tutti che queste .Insolenze* sono «irresponsabili». Dietro la lunga attesa di questa settimana la minaccia di un intervento militare americano, qui è diventata sempre più una convinzione diffusa. Se non sarà domani o per fine settimana, arriverà comunque tra dieci giorni, o un mese, o forse più. E comunque arriverà E in preparazione di quest'attacco, e nell'ultimo febbrile tentativo per fermarlo, si sta scatenando qui una caccia allo straniero che ha l'obiettivo di mettere tra le mani di misteriosi sequestratori (ma molti ieri a Beirut intravedevano il volto di Khomelni) almeno un paio di ostaggi per ogni Paese che possa essere sensibile a un ricatto. Già gli americani avevano ordinato ai loro cittadini di abbandonare il Libano, poi è stata la volta dell'Australia, ora anche della Gran Bretagna, che consiglia ai suol di allontanarsi Tra 1 ventlsel ostaggi tenuti segregati qui a Beirut, ci sono francesi, tedeschi; svizzeri, inglesi, oltre agli americani. Ci sono poi molti che spariscono negli intrichi misteriosi di questa città e un italiano, Alberto Molinari, scomparso due anni fa, è probabilmente in questo elenco. Si spara e si muore senza gloria, senza storia. E nel massacro finiscono, trascurate, le cronache disperate dai campi palestinesi, dove l'assedio continua a esigere ogni giorno il suo stillicidio di morti. Per gli assediati ieri si è aperto uno spiraglio di speranza: Amai ha annunciato che permetterà oggi l'ingresso nel campo di BourJ el-Brajneh di rifornimenti alimentari. Mimmo Candito Beinit. La scritta «Matte in Usa» è tutto ciò che rimane intatto tra le macerie d'un negozio dopo l'attentato di lunedi che ha ucciso dodici persone e ne ha ferite più di cinquanta (Telefoto Ansa-Afp)

Persone citate: Alan Steen, Alberto Molinari, Feria, Hoss, Jesse Turner, Peres, Robert Poibill, Shultz