Libano, pietà per i cannibali di Gianni Vattimo

Libano, pietà per i cannibali n messaggio dell'ulema ai palestinesi assediati nei campi Libano, pietà per i cannibali Perché provare tanto orrore e raccapriccio per il responso con cui Vulema Hussein Fa dlallah, in nome del Corano, autorizza i palestinesi assediati nel campo di Bourj el-Brajneh, a «cibarsi di carne umana morta» piuttosto che morire di fame? L'argomento dell'alma non fa, logicamente, una piega: è vero che il Corano vieta in modo assoluto di mangiare carne umana; ma quando è in gioco la sopravvivenza, è lecito fare un'eccezione. Non si tratta di autorizzare l'omicidio; la risposta di Fadlallah allude evidentemente ai corpi di persone morte per cause «naturali», se naturali si possono chiamare le condizioni in cui la gente vive e muore Oggi in Libano, sotto la sguardo inerte delle grandi potenze del mondo «civile». Davanti a questo ragionamento, il nostro orrore trova difficile formulari' in termini ■ altrettanto chiari e fondati. Nel caso eccezionale previsto da Fadlallah, il dovere del rispetto per le persone, che si estende normalmente anche al rispetto per i loro corpi senza vita, entra in conflitto con il rispetto che si deve alla vita come tale; è quest'ultimo dovere che, secondo la sua risposta, deve prevalere Del resto, non abbiamo forse imparato anche noi, dalla tradizione greca e da quella ebraico-cristiana, che la vera sostanza della persona è la sua anima? Il rispetto dovuto ai corpi dei defunti ha certo una grande importanza; ma è stato praticato, nella storia, in forme molto diverse, e talvolta ha preso, in certe culture, proprio l'aspetto dell'antropofagia rituale: presso alcune popolazioni si usava mangiare le ceneri del capo morto proprio perchè egli potesse continuare a vivere negli altri membri della tribù. E lasciare che i corpi dei nostri simili si disfacciano nella terra o siano inceneriti dal fuoco è poi tanto più rispettoso che «usarli» per i fini della sopravvivenza — non solo nella forma estrema dell'antropofagia — ma, per esempio, nella forma del trapianto di organi? Sono domande che si osa appena formulare, che toccano i confini estremi della nostra visione della vita e del mondo. Quando s'incontrano questi confini, questi tabù, l'atteggiamento più ragionevole consiste davvero neU'accettare solo ciò che si può «dimostrare»? In realtà, mangiare la carne degli altri uomini ci ripugna — moralmente e fisicamente — più per motivi di simpatia e di consuetudine che per motivi rigorosamente razionali. Non solo non vogliamo mangiare i nostri simi¬ li, ma proviamo un disagio invincibile all'idea di mangiare i nostri animali domestici e, sempre più, gli animali in genere, ai quali ci legano solidarietà vissute che non è facile formulare in dimostrazioni. Ai motivi (nazionali» dell'ulema Fadlallah possiamo opporre soltanto il richiamo alla simpatia, alla pietà, alla gentilezza; e anche, forse, la persuasione che, se si sacrificano questi valori, la stessa sopravvivenza non abbia più significato. Che senso ha questo discoi so, confrontato con la situazione degli assediati del campo di Bourj el-Brajnch, e con il grande massacro libanese? A una tale situazione è certo più adeguato il discorso del v cannibalismo autorizzato». Ma ne mostra anche, sotto una luce più cruda, tutta l'intollerabile assurdità. Gianni Vattimo

Persone citate: Fadlallah, Hussein Fa

Luoghi citati: Libano