10 febbraio '47: quando gli Alleati tradirono la nuova Italia

10 febbraio '47: quando gli Alleati tradirono la nuova Italia A Parigi, dopo esitazioni e polemiche, fu sottoscritto il trattato di pace: Croce lo definì «un'inutile umiliazione» 10 febbraio '47: quando gli Alleati tradirono la nuova Italia -, Il 10 febbraio 1947 l'ambasciatore Antonio Meli Lupi di Soragna sottoscrisse a Pa'rigi il trattato di pace tra gli .Alleati e l'Italia. Fu per quest'ultima una decisione dolorosa, tanto che venne accompagnata con una nota di protesta contro un patto che non era stata chiamata a negoziare, e che non aveva tenuto conto del fatto che il popolo italiana era riuscito •a liberarsi per primo da un regime di oppressione,- fornendo poi agli Alleati durante la guerra di liberazione dei vantaggi diretti e indiretti cui non è stata resa sufficiente giustizia». Frutto di un difficile compremesso tra t Grandi, questo trattato fu particolarmente ingiusto con l'Italia, che aveva dato un contributo importante alla vittoria finale.. Nell'affannosa ricerca di estendere la loro influenza frt Europa, gli Alleati si dimenticarono presto dèlie molte promesse fatte all'Italia •cobelligerante-, e la trattarono come un Paese nemico. Non a caso si alzarono tante autorevoli voci contro la ratifica del trattato di pace: quella di Benedetto Croce, che lo giudicò una «inutile umiliazione», quella di Vittorio Emanuele Orlando che lo defini un patto ,scellerato e disonorevole», quella di Nenni favorevole alla «sospensiva», mentre l'on. Francesco Saverio Nitti, che pure si era rifiutato di sottoscrivere il trattato di Versailles (vi mandò l'ex ministro degli Esteri Sonnino), ritenne la ratifica necessaria, nonostante che il trattato fosse «iniquo». E così Ferruccio Pani, che vide nella ratifica •un passaggio obbligato». L'Assemblea Costituente si espresse in favore della ratifica con 261 voti contro 68 e 80 astenuti. Una decisione sofferta ma anche opportu¬ na. L'inchiostro non si era ancora asciugato, che l'Argentina si fece promotrice di un'azione per la revisione del trattato in seno al Comitato politico delle Nazioni Unite, vanificata dall'opposizione del blocco orientale e non solo di questo. Tuttavia, come osservò l'ambasciatore Vittorio Zoppi, -le linee direttive adottate dal governo italiano contemporaneamente, alla ratifica del trattato di pace hanno .avuto una prima sanzione morale. Il problema della revisione è stato e rimane posto sul tappeto diplomatico oltreché dinanzi all'opinione pubblica mondiale». r Tanto è fero che l'Italia poteva partecipare a quel «piano Marshall», che doveva diventare l'asse portante della ricostruzione economica e politica dell'Europa occidentale. Seguirono l'ammllamento o la riduzione delle riparazioni e il progressivo, seppur faticoso, inserimento del nostro Paese nel consesso internazionale. Si trattò comunque di un percorso lungo e in salita, che mantenne l'Italia legata ad alcune condizioni limitataci, nonostante che l'on. De Gasperi insistesse, con coraggiosa tenacia, per la revisione del trattato. Quando, pochi mesi dopo, si parlò di una possibilità per l'Italia di partecipare all'alleanza franco-inglese o patto di Dunkerque, il presidente del Consiglio italiano pose come condizioni: l'annullamento del trattato di pace; perché, disse, l'Italia non poteva contare meno del Lussemburgo. Occorre aggiungere che anche l'on. Nenni, nel suo breve passaggio a Palazzo Chigi, aveva abbinato la dottrina di una «neutralità equidistante» alla condizione di una «revisione pacifica» del trattato di pace. In quell'occasione persino la Francia mostrò qualche resistenza alla richiesta italiana: la Francia che pur doveva, poco tempo dopo, insistere per l'ingresso dell'Italia nell'Alleanza atlantica. L'adesione dell'Italia al Patto Atlantico, non significò automaticamente la decadenza delle restrizioni imposte dal trattato di pace. Si creò cosi una situazione assurda e anacronistica che, nonostante la soluzione di piccoli contenziosi, continuò per qualche anno ancora. • Una lettera di Sforza al ministro francese Schuman nel febbraio del 1951, con cui lo esortava a eliminare un trattato,' ch'era diventato •un intralcio per noi e per l'Intesa europea» non ebbe seguito, né lo poteva, a causa soprattutto della dolorosa, tormentata e tormentosa questione di Trieste. Così l'Italia dovette accontentarsi che nel settembre del 1951, in occasione del Consiglio Atlantico di Ottawa, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna si dichiarassero pronti «a considerare favorevolmente una richiesta del governo italiano tendente a rimuovere... le restrizioni e le discriminazioni permanenti attualmente In atto, che sono superate dagli eventi o Ingiustificate dalle circostanze attuali». Un messaggio che in realtà, nelle sue espressioni esortative, conteneva implicite riserve. Occorrerà attendere il memorandum d'intesa su Trieste (ottobre 1954) perché la situazione, in un certo senso, si sbloccasse. Il ministro degli Esteri Gaetano Martino telegrafò il 20 maggio 1955 ai nostri rappresentanti di comunicare a quei governi che l'Italia, avendo completata la procedura della partecipazione sua e della Repubblica Federale di Germania all'Unione Europea Occidentale, «considera ormai definitivamente decaduto 11 trattato di pace del 1947, precisando peraltro che tale dichiarazione non intende avere effetti per quanto concerne modifiche territoriali e oneri economici conseguenti al trattato stesso». Pochi giorni dopo, e precisamente ti 20 maggio, in occasione della riunione a Parigi del Consiglio Atlantico, il Segretario di Stato Foster Dulles, dichiarò solennemente: «H mio governo desidera chiarire che esso considera i vari aspetti discriminatori del trattato di pace con l'Italia superflui e non più consoni con la posizione della nuova Italia A tale dichiarazione si associarono immediatamente i delegati, presenti a Parigi, dei governi firmatari del trattato di pace. Il 14 dicembre dello' stesso 1955, l'Italia venne ammessa all'Onu. Enrico Serra