« Non ostaggi, ma amici »

« Non ostaggi, ma amici » I due tecnici italiani, tornati a casa* raccontano la prigionia « Non ostaggi, ma amici » L'assalto al campo di Tana Bales, la lunga marcia, le notti all'aperto - «Ma i guerriglieri non ci hanno fatto mancare nulla, dicevano che eravamo fratelli» DALLA REDAZIONE ROMANA ROMA — Prigionieri, ostaggi? Non proprio. «Ci hanno trattato come amici, come ospiti, ansi, come dicevano, fratelli: I 40 giorni con i guerriglieri etiopi del Prpe nel racconto di Giorgio Marchiò e Dino Marteddu ricordano più una vacanzaavventura che un sequestro. Superato il grande spavento per la battaglia nel cantiere di Tana Beles, 1 due Italiani hanno vissuto un'esperienza strabiliante, anche se scomoda per i continui spostamenti: nel cuore dell'Africa, in teoria esposti ad ogni rischio, compreso quello di essere mitragliati dall'aviazione etiope, leggevano giornali italiani, copie arretrate solo di qualche giorno, conoscevano attraverso le radioline quello che accadeva nel mondo, partecipavano, sparando, a battute di caccia insieme al guerriglieri. E poi birra, vitto e sigarette a volontà. «Non ci hanno fatto mancare neppure l'acqua di colonia», hanno raccontato ieri, appena atterrati a Roma. Ma anche se i due tecnici hanno sdrammatizzato radicalmente la loro vicenda, quel lieto-fine all'acqua di colonia non chiude il dibattito politico sulla questione di fondo: se sia giusto continuare a finanziare progetti umanitari dai quali trae vantaggio anche il regime etiope di Menghistu. Alla schiera del critici da sempre — i radicali, 1 missionari di Nigrizia, e in generale i cattolici a giudicare dalle posizioni del quotidiano Avvenire — si sono aggiunti, ieri, i socialisti: chiedono «una severa verifica- degli indirizzi della cooperazione italiana. L'invito ad un ripensamento della politica italiana nei Corno d'Africa viene dall'articolo di Margherita Boniyer che appare pggi su VA' vanti. Il psi di fatto legittime lei accuse mosse dal .Prpe che contesta allItalia di offrire con i suoi aluti umanitari «un insostituibile appoggio ed un contributo alla stabiliti della dittatura etiopica», e censura la Farnesina per la politica di ^equidistanza» tra l'Etiopia filo-sovietica e la Somalia filo-occidentale (invece la critica di radicali e cattolici investe anche il regime somalo, considerato brutale e corrotto). Contro la strategia Italiana in Etiopia si scaglia anche la resistenza eritrea, che da 25 anni cerca di cacciare i soldati di Addis Abeba. •L'aiuto italiano — ci dice Fessahazian Petros, portavoce del Fronte popolare per la liberazione dell'Eritrea — permette '■ a Menghistu di spendere ,ctfre. astronomiche per tenere occupata l'Eritrea con 150 mila uomini. E il vero scopo della politica dei finanziamenti italiani — attrarre l'Etiopia nell'orbita occidentale — è assolutamente illusorio, se si considera il colossale indebitamento del regime nei confronti dell'Urss, contratto per pagare armamenti*. Le accuse rivolte da più parti non coinvolgono solo la Farnesina e il suo Dipartimento per la cooperazione, ma ancbje il Fondo aiuti italiani (Fai), guidato da Forte. Oli si Imputa, tra l'altro, una scarsa considerazione per i rischi degli italiani del .campo di Tana Beles. E si ipotizza che nel cantiere si stesse costruendo una strada in zona di guerra, ^più^a-varotaggio delle truppe di Menghistu che ' dei contadini etiopi. Forte ha annunciato un'indagine per chiarire se i lavori del cantiere fossero già stati autorizzati dal Fai o se l'impresa sia stata 'precipitosa». A soffrire davvero per la vicenda sono stati i familiari dei rapiti. 'Finalmente è finita», può dire Cai-melina Incorvaia, la moglie di Giorgio Marchiò, alle sei di ieri sera, quando riabbraccia il marito. Atterrati insieme a Forte all'aeroporto di Clampino a bordo di un aereo speciale del Fai, Marchiò e Dino Marteddu sono stati sottratti dalla polizia all'assedio di cronisti e fotografi e in serata hanno fatto ritorno a casa (Marteddu In Sardegna, Marchiò ad Aprllia. vlcmo .^Rójna)^' Degli, otto etiopi rapiti e liberati Insie¬ me a loro, uno si è unito alla guerriglia, gli altri sette sono a Khartum in attesa del visto per l'Italia. »Siamo stati trattati bene», hanno raccontato 1 due Italiani' — aria distesa, aspetto curato — sotto il lampeggiare dei flashes. «Certo non sono mancati i disagi, abbiamo dormito per 40 giorni sotto gli alberi, cucinando su tre sassi. L'unica vera preoccupazione era l'impossibilita di comunicare con le famiglie. Ma per il resto non ci è mancato niente. Siamo stati perfino a caccia e a pesca» («Io ho abbattuto quattro fagiani con un fucile calibrò dodici dei guerriglieri», sottolinea Marteddu, buon cacciatore). All'inizio, una grande paura. «£' stata una vera e propria battaglia, giù nel campo. Una lunga sparatoria, tanta confusione. Siamo passati in mezzo a morti, a feriti che chiedevano aiuto, quando i guerriglieri ci hanno portato via, dopo aver dato fuoco a tutti ì mezzi meccanici. Piii tardi ci hanno detto: siamo dispiaciuti per i d^eci operai etiopici che abbiamo ucciso, noi combattiamo i militari, non chi lavora». Tra i guerriglieri, un centinaio, molte donne, 'armate forse più degli uomini- ; una pareva il comandante militare. Alcuni parlavano l'italiano. »Sulle prime abbiamo temuto che per la nostra liberazione chiedessero un riscatto, o la liberazione di detenuti politici che si trovano nelle prigioni etiopi. Per fortuna non è stato cosi. E passata la paura, abbiamo preso gli aspetti positivi di questa storia». Che sono stati molti: i guerriglieri hanno avuto molti riguardi per 1 loro «ospiti», e forse 11 Fai non è estraneo a questo speciale trattamento. 'Avevamo da mangiare e da bere in grande quantità. Birra, liquori e tayite ■ sigarette. Alla fine ci hanno.■procurato anche salviette profumate e colonia». i Roma. Forte, Marchiò e Marteddu ieri all'aeroporto di Cianipino appena giunti da Khartum