Deng, i padroni e il balzo indietro

Deng, i padroni e il balzo indietro CINA: DOVE PORTA LA LOTTA TRA RIFORMISTI E CONSERVATORI Deng, i padroni e il balzo indietro La «rivoluzione economica» in meno di dieci anni ha raddoppiato la ricchezza del Paese - Gli imprenditori privati sono 17 milioni (96 volte più che nel 1978) e gli operai si dicono contenti - Perché allora tanti sono nostalgici degli Anni 50 e del «giusto equilibrio» tra pianificazione statale e iniziativa individuale? - Ecco voci e retroscena della battaglia DAL NOSTRO INVIATO PECHINO — Ero capitata in un Paese del quale non comprendevo più la lingua: mi sfuggiva il senso dei titoli dei giornali, afferravo a mala pena il filo dei dibattiti che si svolgevano alla televisione. La Cina che avevo lasciata parlava il gergo dell'ideologia, ora invece trionfava incontrastato quello dell'economia. Mi sentivo spaesata, non sapevo neanche più come chiamare il cameriere: ai miei tempi era ottona educazione chiamarlo 'Compagno; e ora? Mi cantilena nell'orecchio: «Senza soldi non si va avanti». Scostumato? Macché, ripete lo slogan di moda, facile perché in cinese «soldi» e «avanti» si dicono allo stesso modo, qian, così: «Wu qian bu qian! ». La sensazione'*di spossamento però è durata poco, neanche una settimana. Subito dopo l'annuncio della destituzione, del segretario del partito Hu Yaobang, i cinesi hanno ricominciato a parlare in •politichese*, i giornali a scrivere articoli che io capivo, tali e quali quelli di una volta. I ragazzoni oggi hanno l'aria già meno strafottente, ho l'impressione che mi guardino con più rispetto mentre bevo il tè al Peking Hotel con un vecchio amico che è un alto funzionario del partito in pensione. Ma è rispetto o timore? Il vecchio amico ne ha passate di tutti i colori — quattro anni a piantare riso all'epoca della rivoluzione culturale — ma è sempre un «alto quadro» del partito. Lo si capisce da come è vestito, abito blu alla Mao, niente cravatta, due penne stilografiche che spuntano dal taschino della giacca, lucenti una d'oro l'altra d'argento. Ma lo si capisce ancora mealiq dal tratto, dà cóme solleva.una mano pe>'fchtó^y«jy,«iòf7Ì-| pagno-, cioè'fi 'cameriere"È' il segno del comando. Nostalgie II vecchio amico è «nostalgico». Mi sorprende molto sentire affiorare nelle sue parole, man mano che la conversazione si dipana a partire dai fatti del presente, l'elogio per il passato felice della Cina. E quale è mai stato? Mi risponde: i primi Anni SO. Un giudizio personale, penso, una forma di nostalgia senile. Mi accorgerò poi che sbaglio. Sono infatti tanti a condividere questa nostalgia, a giudicare felice quel breve periodo in cui l'economia cinese fondeva l'autarchia Stalin-maoista con le •teorie di mercato; peraltro assai primitive, del defunto Liu Shaoqi. Allora, ti dicono i «nostalgici» — e alcuni illustri anziani economisti hanno in questi giorni ritrovato l'ardire di scriverlo sui giornali — si era nel «giusto mezzo»: pianificazione statale e iniziativa individuale erano in armonioso equilibrio, la guida paternalista illuminata del Partito impediva che attecchissero le •erbacce» della speculazione e dell'inflazione. I contadini coltivavano felici il loro appezzamento individuale e fioriva un piccolo mercato libero, era anche permesso un 'piccolo commercio» di piccoli e poveri beni di consumo. La porta era chiusa, dall'esterno non venivano pericolose teorie, la dottrina era unica, tutto era •piccolo» meno il Partito che era grande. jk) V'ero, ma ancora piùm-an^ "de era la Cina, questo foglio di carta Manca sul quale Macrpensava di poter scrivere parole nuove e belle. Quante ne ha scritte lui e quante ne hanno scritte tutti gli altri, in un tale intricarsi di segni che ora, ti dicono i •nostalgici; abbiamo uno •scarabocchio; un pasticcio, un sistema che non è né carne né pesce. E allora, meglio la pianificazione statale centralizzata che questi esperimenti dilettanteschi, da bricoleur pasticcione. Certo, si tratta di un giudizio molto duro sulla politica di riforme voluta da Deng Xiaoping che forse sta per entrare in crisi, nonostante Deng stesso continui a sostenere che nelle riforme si andrà risolutamente avanti. Giudizio duro, inclemente, bigotto, ma molto più diffuso di quanto si immagini, al punto che ci si domanda se sono i diseguali risultati ottenuti finora con le riforme economiche a essere criticati o il concetto stesso di riforme «cosi confuso, cosi vago», ^ come sottolinea uno dei critici, «quando si tratta di applicarlo all'industria e all'economia urbana». Certo, se è stato facile e ha dato immediati tangibili ri-, sultati introdurre le riforme nelle campagne permettendo ai contadini di coltivare quello che vogliono e di vendere i loro prodotti sul mercato, cosa mai vuol dire in un Paese dove non esiste la proprietà privata approvare una legge sul fallimento delle imprese? Il manager Proprio a proposito di quege c'è statabattaglia all'Assemblea nazionale, forse la prima battaglia^parla- méntare della storia della Cina. Infatti, chi •fallisce»? Non lo Stato, il proprietario, ma il management, cioè la gestione. Ha senso, si sono chiesti in molti, punire il manager? Lo ha, se il manager è libero da qualsiasi interferenza del controllo statale che in definitiva è controllo del partito, hanno risposto i riformatori. Ma allora qual è la funzione del partito e dello Stato? Il partito, hanno ribattuto i conservatori, potrebbe controbilanciare il potere del management organizzando gli operai, facendosi portavoce dell'intera comunità. Ottimo, in pratica si sono inventati i sindacati per contrastare il potere di un manager che, in un sistema a partito unico, il partito stesso ha ovviamente scelto. Anche se si dice che il manager può essere eletto — ma da chi? — o assunto tramite inserzione sul giornali; ma ancora, chi decide tra due can- didati? Cosi i «consigli operai» che il partito dovrebbe organizzare nelle imprese, è molto probabile che vengano usati semplicemente per controllare il manager dall'alto, caso mai si prendesse troppe libertà, fingendo che il controllo venga invece dal basso, questo almeno è quanto temono i •riformisti», attenzione, non i •conservatori». La riforma sulla responsabilità del management nell'impresa è stata infatti approvata VII gennaio, quando la battaglia tra riformisti e conservatori era in pieno svolgimento e i riformisti i quali volevano il potere deci- geT^%M"fSttX battuti conservatori rrodbtt»*» ■ consigli operai con diritto di supervisione sui piani di produzione dell'impresa e sulle promozioni e i licenziamenti. C'è qualcosa di eccessivamente tortuoso, quasi di perverso, nelllnventarsi un manager di tipo capitalista per poi subito affibbiargli, con mossa molto populista, un «consiglio di fabbrica» che in teoria dovrebbe difendere la classe operaia dallo sfruttamento mentre invece... Ma è ancora considerata valida la teoria marxista del •plus-valore», 'causa prima dello sfruttamento? I conservatori dicono di si, sostengono che se una fabbrica è a proprietà privata, o mista, lo sfruttamento è inevitabile; e intollerabile se il Paese si qualifica cóme socialista. Pochi mesi fa in tutta la Cina i piccoli imprenditori privati erano 17 milioni, 96 volte più che nel 1978, quando Deng lanciò il suo 'nuovo corso». Sostenevano gli economisti più all'avanguardia, partigiani delle riforme, che il ruolo del capitale privato era fondamentale per dare slancio all'economia e che la teoria del plus-valore andava «sviluppata, arricchita e modificata» perché le fabbriche oggi usano metodi di produzione tecnologicamente avanzati e i lavoratori hanno per di più la possibilità di diventare azionisti. Si, anche di imprese statali che si «privatizzano», trasformandosi in società per azioni si è parlato molto in Cina negli ultimi tempi e se ne parla ancora oggi, anche se con meno baldanza perché tante voci di riformisti sono state messe a tacere, mentre hanno ripreso fiato te voci di chi ricorda, per esempio, che i «padroni» non possono avere alle proprie dipendenze più di sette persone, altrimenti sono degli sfruttatori capitalisti. Espulso Ebbene, è saltata fuori che la metà circa dei piccoli imprenditori hanno più di sette dipendenti. Si chiuderà un occhio o li si obbligherà a licenziare o addirittura a chiudere bottega? Lo scrittore Wang Suowang, uno dei primi a essere espulso dal partito nei freddissimi giorni di questo inverno pechinese, ai primi di dicembre aveva scritto di aver visitato a Wenzhou la fabbrica di un piccolo imprenditore e che gli operai non si sentivano per niente sfruttati, uno anzi gli aveva detto: «Siccome lavoro sodo e bene, il padrone mi permette di fare una lunga siesta e, la sera, di guardare la televisione a colori. Se questo è sfruttamento, è quanto di meglio io abbia mai avuto nella vita». Non c'è dubbio che molti, forse i più, siano contenti della «rivoluzione economica» voluta e"i Deng, grazie alla quale in meno d'un decennio è stato possibile raddoppiare la ricchezza reale del Paese e fare in modo che la gente mangi e vesta meglio, cose già di per sé 'democratiche» anche se non contano molto per chi vorrebbe la 'Vera democrazia». Ma perché allora in Cina sono tanti i -nostalgici» dell'arcadia degli Anni SO? Perché Deng ha dovuto fare all'improvviso un «balzo indietro»? Chiedo a un sociologo di Shanghai, da pochi anni emigrato a Hong Kong, se la lotta di questi ultimi giorni tra riformisti e conservatori, può essere letta in definitiva come una battaglia di potere al vertice, assolutamente slegata dalla realtà e dalle esigenze del Paese. Mi risponde: «Ma lei ha idea di cosa significhi il confucianesimo?». Mi vuol rimandare indietro nella notte dei secoli? «No, la questione è come sempre di grande attualità perché la Cina non è mai stata un foglio di carta bianca, era già scarabocchiata». E mi spiega che Marx vi ha appena tracciato una parentesi che si è dimenticato di chiudere, Mao un punto esclamativo e Deng vi ha aggiunto soltanto un punto interrogativo. Ma enorme, grande quanto tutta la Cina. Renata Pisa Siang Al lavoro in fabbrica. In Cina si parla ancora di imprese statali che si trasformano in società per azioni. Ma fino a quando? (G. Neri)

Persone citate: Compagno, Deng Xiaoping, Dove, Hu Yaobang, Mao, Marx, Peking, Renata Pisa, Wang Suowang